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Lutero… per chi non ha tempo

di Steven D. Paulson
Fonte: Claudiana

Inframezzato dalle vignette di Ron Hill, il libro di Steven D. Paulson ripercorre con incisività e senso dell’umorismo la vita e le principali posizioni teologiche del monaco agostiniano tedesco che nel 1517 diede origine alla Riforma protestante proponendo alla discussione 95 Tesi sulle indulgenze appese al portale della chiesa del castello di Wittenberg.

 

Introduzione

lut1Attento, lettore! Lutero si è più volte rivelato rivoluzionario quanto Copernico, e ancor più controverso. Lutero riteneva di essere stato violentemente interrotto nel suo piano di costante progresso verso il cielo da Dio stesso, sceso a lottare con lui addirittura fino alla morte. La lotta aveva assunto la forma dell’interrogativo: dove trovare un Dio misericordioso? La pressante domanda rifiutava quella che Lutero bollava come oziosa speculazione, quasi che uno avesse tutto il tempo del mondo per ottenere una risposta e che indagare fosse pericoloso quanto leggere un buon libro. Quando Lutero smise di accettare le false risposte di coloro che lo circondavano, ciò che si sentì dire da Dio fu qualcosa di strabiliante, di mozzafiato, soprattutto dal momento che la chiesa stessa aveva ripetutamente falsificato la verità, sostituendo la propria storia a quella di Cristo.

Dio, scoprì Lutero, non voleva opere, imprese o giustificazioni del perché uno pratichi le proprie arbitrarie, idiosincratiche assurdità religiose o antireligiose. Dio, che è giusto in se stesso (essendo Dio), ha deciso non solo di essere un Dio per se stesso, ma di essere il nostro Dio, rivolgendosi direttamente a noi tramite delle parole, e non delle parole qualsiasi, ma degli specifici comandamenti e promesse che egli è determinato a farci ascoltare. E quando Dio è determinato, è uno spettacolo santo da vedere, che coinvolga Abramo, Maria, Pietro, Lutero, o noi, oggi. Questo spaventa a morte quanti si sono costruiti una loro propria religione, così come spaventò Lutero che temeva che la sua religione cristiana, scrupolosamente praticata, potesse essergli tolta da Dio, in quello che sulle prime gli parve un grande atto di divina rapina. Eppure, quella che sulle prime gli parve una grande perdita di direzione, di equilibrio e di ancoraggio in una tradizione tanto grande come quella del cristianesimo latino, divenne ben presto il suo accesso alla vita eterna mediante la risurrezione dai morti. Il Padre di Gesù Cristo ha mandato suo Figlio a morire per i peccatori, Lutero incluso, così che la loro non-fede possa finire, ed essi possano essere ri-creati dallo Spirito santo in quanto peccatori perdonati.

La storia di Lutero

Giovedì 18 aprile 1521, il «caso Lutero» scoppiò nel modo più clamoroso sulla scena mondiale. Quel giorno, Lutero, un monaco tedesco apparentemente insignificante, si trovò sotto processo dinanzi alla chiesa e all’impero. Le due grandi potenze di questo mondo gli chiedevano di abiurare tutti i suoi scritti, in quanto a loro detta bestemmiavano Dio. Lutero considerò il suo destino dinanzi agli uomini (non voleva deludere i suoi genitori, né essere arso vivo sul rogo) e dinanzi a Dio (che non intendeva bestemmiare), alla luce della reiterata accusa contro la sua teologia: «Siete voi l’unico saggio al mondo?».

Ma Lutero sapeva che il suo era assai più che il caso di una coscienza individuale che tentava di esprimersi contro i poteri che sopprimono l’individualità. Quel momento del suo processo pubblico era diventato, a suo modo di vedere, un momento cruciale della grande lotta tra Dio e il demonio, e nessuno ne era più sorpreso di lui, l’oscuro eremita agostiniano. Là a Worms egli pronunciò infine formalmente la sua famosa confessione:

Se non sarò convinto mediante le testimonianze della Scrittura e chiare ragioni – poiché non credo né al papa né ai concili da soli, poiché è evidente che hanno errato e si contraddicono – io sono vinto dalla mia coscienza e prigioniero della Parola di Dio a motivo dei passi della Sacra Scrittura che ho addotti. Perciò, non posso né voglio ritrattarmi, poiché non è sicuro né salutare fare alcunché contro la coscienza.

E aggiunse in tedesco: «Dio mi aiuti. Amen».

«Vincolato dai passi delle Scritture» con una coscienza «prigioniera della Parola di Dio» non suona molto come «libertà». Ma la libertà della Scrittura non è mai stata un concetto isolato, individualista, solipsista e in ultima analisi mortifero, come quelli che catturano la nostra immaginazione oggi. La vera libertà si lascia conquistare dalla promessa di Cristo del perdono dei peccati. È come avere in testa una melodia di cui non si riesce a sbarazzarsi, solo che ora, anziché un ritornello legalistico, «Hai fatto abbastanza?», ripete una promessa: «Dio è contento di te, per merito di Cristo». Come giunse Lutero a essere vincolato e prigioniero della parola di Dio in questo modo?

lut2Lutero nacque da una famiglia contadina il 10 novembre 1483. Il giorno della festa di San Martino il padre lo portò alla chiesa di Eisleben, in Germania, per farlo battezzare e imporgli il nome del santo del giorno. La famiglia presto si trasferì a Mansfeld, dove il padre iniziò a lavorare in una miniera di rame. Benché nelle grandi corti europee stesse sbocciando il Rinascimento, per i Lutero la vita quotidiana era una lotta per sopravvivere e conquistare ragionevoli prospettive di vita eterna. Allora come oggi, la chiesa impartiva una sorta di regola «spirituale» di base: «Fa’ del tuo meglio; Dio farà il resto». Uno dei più eminenti teologi del tempo, Gabriel Biel, amava citare il detto latino facere quod in se est, «fare del proprio meglio», che Dio poi, per sua grazia, accetta come «sufficiente». Che così fosse era massimamente chiaro nell’obbligo di confessarsi a un sacerdote almeno una volta l’anno. Il sacerdote avrebbe poi comminato una penitenza che poteva includere doveri quali preghiere ai santi oppure pellegrinaggi a luoghi santi, con le loro «reliquie» (ossa e altri reperti appartenuti a santi defunti).

Ma per i Lutero il centro della vita religiosa era la messa, che veniva offerta a Dio come sacrificio per i peccati da un sacerdote appositamente ordinato, in comunione con il suo vescovo e con il papa. Si credeva che l’ufficio pontificio che autorizzava una vera messa risalisse all’indietro nel tempo fino a Pietro, il primo tra i discepoli, e quindi a Cristo stesso. Il sacrificio della messa assumeva la forma di una preghiera strutturatasi nel corso del tempo attorno alle ultime parole di Gesù ai discepoli, che offriva il calice del vino e il pane in modo tale da compiacere il Signore. Da lungo tempo quest’atto era divenuto così sacro e separato dai peccatori, che timori di abusi trattenevano i sacerdoti dal concedere il calice ai fedeli congregati in chiesa. Nacque così la pratica della «comunione visiva», la partecipazione mistica alla sofferenza sacrificale di Cristo da parte dei fedeli riuniti, che fissavano il pane sull’altare mentre veniva elevato dal sacerdote durante la lunga preghiera di consacrazione, il canone della messa. Si insegnava che persino l’atto di un sacerdote che diceva messa in privato, senza nessuno che ascoltasse o partecipasse del corpo e del sangue di Cristo, liberasse dal peccato, tanto in questa vita quanto in quello che era diventato noto come «purgatorio». Si credeva che quest’ultimo fosse un luogo in cui le anime non ancora giuste né del tutto condannate si trovassero per scalare la grande montagna dell’obbedienza e liberarsi dal peccato. In cima a tutte queste pratiche ecclesiastiche stava l’ufficio del papa, in quanto capo di tutta la cristianità. Il papa aveva l’autorità di approvare e consentire una smisurata varietà di modelli di vita religiosa, ivi compresi movimenti riformatori e gruppi religiosi di vario genere, a patto che rimanessero fedeli alla sua autorità di vicario (sostituto) di Cristo sulla terra e signore della chiesa, per diritto divino, come veniva definito. «Diritto divino» significava che si credeva che l’ufficio fosse stato istituito da Dio e fosse il suo mezzo di estendere la legge alle nuove situazioni che via via si presentavano nella storia. Le dottrine potevano variare, anche riguardo al significato della messa; la fedeltà al papa no.

La vita religiosa e una nuova scoperta

Tuttavia, per la maggior parte della gente ai tempi di Lutero, la presenza forse più evidente della chiesa era costituita dall’eccezionale crescita delle comunità monastiche. Lutero in seguito ritenne che se i monasteri si fossero attenuti all’insegnamento, rivolto soprattutto ai poveri, avrebbero assolto uno scopo encomiabile, ma essi erano disastrosamente divenuti una «forma migliore» di vita religiosa rispetto alle vocazioni ordinarie dei cristiani a essere padri, madri, avvocati, medici e così via. Egli stesso entrò frequentemente in contatto con comunità religiose, durante gli anni della sua formazione, che lo portò da ultimo all’Università di Erfurt. Nel 1505 divenne magister artium e intraprese gli studi di diritto. Ma iniziava ad avere ben altri pensieri. Mentre tornava alla sua università dopo aver fatto visita ai genitori, fu sorpreso da un violentissimo temporale, e terrorizzato fece voto a sant’Anna, patrona dei minatori, di farsi monaco se si fosse salvato. Sulle prime suo padre si adirò, ma poi si convinse che la sua era davvero una vocazione dettata da Dio.

lut3Lutero si sbarazzò di tutto ciò che possedeva ed entrò in quello che veniva definito il Monastero Nero dell’ordine degli agostiniani osservanti a Erfurt, divenendo un frate mendicante; e non un frate qualunque, ma uno eccellente sotto ogni profilo. Come spesso osservava, «Se mai qualcuno potesse guadagnare il cielo facendosi monaco, io avrei davvero potuto essere uno di quelli». Ma ben presto (nel 1537, negli Articoli di Smalcalda) avrebbe definito tutte quelle pratiche religiose null’altro che «pura invenzione umana, senza fondamento nella Parola di Dio, assolutamente non necessaria e non comandata […] inutile [e anzi causa di] affanni pericolosi e vani […]: fatica vana». A dire il vero, Lutero da ultimo giunse alla stessa conclusione per quanto riguardava il papa, la messa, i pellegrinaggi, le preghiere rivolte ai santi, le congregazioni, il purgatorio e il sistema della penitenza: tutto ciò, a suo dire, non faceva che sostituirsi a Cristo.

Dopo essersi fatto monaco, Lutero divenne anche sacerdote, e iniziò quindi a dire messa. Fu presto identificato dai suoi confratelli in monastero come un leader, ma essendosi schierato dalla parte sbagliata nelle controversie della comunità, fu allontanato e inviato nella assai poco amena cittadina di Wittenberg, con la sua nuova università in mezzo al fango e in cui si alzava volentieri il gomito. Lutero implorò il suo superiore e padre confessore Johann von Staupitz: «Ma sarà la mia morte!», e così fu, in un certo senso, ma come Lutero stava per subire il colpo ferale della mano sinistra di Dio, così l’università non sarebbe mai più stata la stessa, né, se è per questo, lo sarebbe stato il mondo. In breve tempo, nel 1512, Lutero divenne dottore, prestando pubblico giuramento sulla Bibbia di insegnare solo la vera dottrina e di identificare quanti insegnavano falsità. Di lì a pochi giorni fu incaricato di insegnare la Scrittura, la più alta delle discipline, unitamente ai suoi tanti altri compiti di predicatore da diversi pulpiti, lettore ai pasti della comunità, supervisore di monasteri, officiante della messa e delle ore giornaliere di preghiera, nonché autore di un fitto epistolario.

Mentre era affaccendato nello svolgimento nelle sue molteplici mansioni, Lutero iniziò a percepire, in quegli stessi testi della Scrittura che andava attentamente studiando, una nuova voce. A dispetto di tutte le sue pratiche religiose e spirituali, fu sorpreso di scoprire quello che egli chiamava «l’evangelo» come qualcosa di distinto dalla «legge». Solo Cristo giustifica i peccatori dinanzi a Dio e solo mediante la fede, cioè senza le opere della legge che noi compiamo. Una volta che ebbe iniziato a cogliere questa reiterata affermazione della volontà di Dio nelle Scritture, per lui la teologia non poté più essere la stessa. L’essere un predicatore, un officiante della messa, un giudice del pentimento, un esortatore alle opere buone, ogni cosa doveva cambiare, al fine di trasmettere le promesse che egli andava rinvenendo nella Bibbia.

Poi, Lutero fu rapidamente condotto a una serie di sorprendenti conclusioni circa le pratiche ecclesiastiche con cui era cresciuto. Il fatto che nel 1517 un predicatore delle «indulgenze» di nome di Johann Tetzel si fosse insediato nelle vicinanze di Wittenberg fu solo uno dei motivi per cui Lutero iniziò a protestare pubblicamente. L’indulgenza, così come il purgatorio o il sacrificio della messa, era un’estensione di due cose: l’autorità papale di espandere le dottrine delle Scritture in ambiti di cui esse non parlavano, e la crescente pratica della penitenza in senso legalistico, anziché come promessa di assoluzione dal peccato. Lutero iniziò a rifiutare sia il papato sia la penitenza, dapprima lentamente, poi con ferrea e imperterrita determinazione, che portò avanti per tutta la sua vita. Affisse sul portone della chiesa del castello di Wittenberg 95 Tesi contro la vendita delle indulgenze che iniziavano con le famose parole: «Il Signore e maestro nostro Gesù Cristo, dicendo “Fate penitenza”, volle che tutta la vita dei fedeli fosse una penitenza». Iniziò a distinguere tra teologi che conoscevano la differenza tra la parola di Dio come legge e come evangelo (teologi della croce) e altri, come Tetzel, che la ignoravano (teologi della gloria).

lut4A questo punto, il papa e la curia vaticana iniziarono a prendere atto dell’esistenza dell’oscuro monaco tedesco. Lutero fu convocato per un colloquio con il cardinale Caetano nell’autunno del 1518, e gli fu chiesto di abiurare i suoi errori, tra cui le sue dichiarazioni sulle indulgenze, sull’autorità papale riguardo le Scritture e sulla giustificazione per sola fede. Benché il cardinale lo minacciasse del carcere, della scomunica e di conseguenze ben peggiori, Lutero non abiurò.

Iniziò quindi per lui una serie di anni di intensa concentrazione sulle Scritture e forti pressioni dall’esterno affinché smettesse di insegnare ciò che insegnava. A difesa della sua causa, Lutero produsse nel 1520 alcuni scritti che sono spesso ritenuti i suoi principali: La cattività babilonese della chiesa riguardava il sistema sacramentale della chiesa e come i sacramenti potessero essere rivoluzionati dall’evangelo; l’appello Alla nobiltà cristiana della nazione tedesca negava che i sacerdoti costituissero una classe speciale, sostenendo che la loro autorità di annunciare il perdono rendeva tutti i credenti sacerdoti del regno di Cristo; e La libertà del cristiano descriveva come un cristiano sia al tempo stesso peccatore e santo, giustificato soltanto per merito di Cristo, e come una volta che un albero è divenuto buono, produce buoni frutti a servizio dei bisogni del prossimo.

Ma il decennio 1520-1530 rappresentò per Lutero anche un periodo di forti pressioni esterne. Egli godeva della protezione del principe che governava sulle sue terre, l’elettore di Sassonia Federico il Saggio. Questi sovraintendeva sia alla ortodossia nelle questioni teologiche sia affinché nessun suddito tedesco o docente della sua università venisse maltrattato dai poteri superiori. Malgrado la protezione del principe elettore, nel 1521 Lutero era ormai due volte fuorilegge: prima agli occhi del Vaticano, e poi, dopo il suo celebre processo nella città tedesca di Worms, anche agli occhi del Sacro romano impero e del suo sovrano, Carlo V. La comunicazione ufficiale, o «bolla», emanata dal papa, intitolata «Lèvati, o Dio, e giudica la tua causa» (Exsurge Domine), era stata pubblicata nell’estate del 1520 come mezzo tramite il quale scomunicare Lutero dalla chiesa. Entro la primavera successiva fu ordinato a Lutero di comparire al cospetto dell’imperatore per subire un processo, che si concluse con il rifiuto di Lutero di ritrattare i suoi scritti: «Qui io sto. Non posso fare altrimenti. Dio mi aiuti. Amen».

Lutero era abbastanza certo che sarebbe finita anche per lui come per i riformatori precedenti, tra cui il boemo Jan Hus, e che sarebbe stato arso vivo sul rogo per eresia. Ma durante il suo viaggio di ritorno a Wittenberg dove avrebbe atteso la sua fine, l’elettore Federico lo fece rapire dalla sua carrozza e nascondere in uno dei suoi castelli, la Wartburg. A Lutero, sulle prime, l’idea non piacque, ma poi seppe mettere a frutto quel tempo per tradurre la Bibbia in tedesco, convinto com’era che le Scritture non fossero un affare per pochi, ma dovessero essere diffuse il più possibile in quanto parola di Dio rivolta ai peccatori.

L’Università di Wittenberg e le nuove chiese

Da una parte, Lutero combatteva la vecchia religione che aveva seppellito Cristo con il coacervo del suo papato, delle sue messe, della sua penitenza e dei suoi monaci. Dall’altra, Lutero scorse il primo di una schiera di «riformatori» che in breve divennero dei tiranni che volevano purificare la chiesa o sostenevano una ribellione violenta contro i governanti politici. Un collega di Lutero all’università, Andreas Karlstadt (Carlostadio), fu tra i primi a sostenere una Riforma di tipo coercitivo, ma subito dopo venne Thomas Müntzer, che divenne un leader dei rivoltosi nella guerra dei contadini del 1524-1525. L’aspetto più preoccupante di questi riformatori tirannici (Lutero li definiva «fanatici») non era tanto il terrore che incutevano, quanto le «rivelazioni» mistiche che a loro dire ricevevano da Dio. Come si può discutere con qualcuno che crede di essere il nuovo strumento dello Spirito perché ha ricevuto visioni e messaggi speciali dal cielo, come sosteneva Müntzer? Questi prometteva ai suoi seguaci contadini che avrebbe catturato i proiettili dei principi nelle maniche del proprio mantello e che la loro rivolta avrebbe trionfato. Nessuna delle due cose si realizzò. La sua rivolta fu soffocata senza pietà ed egli fu giustiziato. Lutero capì che coercizione e tirannia potevano anche venire da riformatori, e decise pertanto che era giunto il tempo di tornare a Wittenberg con la vera autorità delle sue riforme a predicare entrambi: legge ed evangelo. I cambiamenti dettati da Dio sarebbero avvenuti per mezzo delle parole. Alle sue comunità egli insegnava che l’amore non costringe nessuno ma serve ognuno. La fede viene soltanto dalla promessa di Cristo, e così dava loro sia il giudizio di Dio sulle loro opere sia il loro Salvatore, Gesù Cristo, a prescindere dalle loro opere.

In questo modo, Lutero assunse la guida della causa evangelica. A contare era la parola predicata, non la lotta di classe o governi «purificati» mediante la violenza. «Io non ho fatto nulla», dichiarava Lutero, «la Parola ha fatto tutto e tutto ha conseguito. Se io avessi voluto proceder con irruenza, avrei sommerso la Germania in un bagno di sangue; e se avessi voluto, avrei potuto combinare a Worms un giochetto tale da minacciare la sicurezza dell’imperatore». Lutero è ancora oggi spesso criticato per la veemenza con cui ripudiò la ribellione come strategia per ottenere un certo grado di libertà politica per gli oppressi, soprattutto perché viceversa, ispirandosi a ciò che la Scrittura chiaramente insegnava, non negava l’uso della spada ai governanti. Egli sviluppò sì una forma di resistenza all’autorità, ma non del genere che ponesse il potere di ribellarsi nelle mani del «popolo», qualunque esso fosse.

Dal suo ritorno a Wittenberg nel 1522 alla sua morte, avvenuta nel 1546, Lutero esercitò la sua vocazione di dottore della chiesa e con le sue parole e i suoi scritti combatté incessantemente il partito papale, da un lato, e i riformatori «fanatici», dall’altro. Predicava, teneva lezioni sulle Scritture, dibatteva contro gli avversari e serviva i bisogni dei singoli e delle nuove chiese. In breve, contribuì a trasformare le chiese in assemblee in cui veniva predicato l’evangelo, e che pertanto vennero dette «evangeliche»; chiese che si sarebbero infine diffuse in tutto il mondo, e che tuttora proseguono la loro missione.

 

Lutero… per chi non ha tempo | Paulson, Steven D. | Claudiana | 2016 | pagine 224 | euro 17.50

Fonte: Claudiana
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