Pietra è una bambina. È stata abbandonata ad un mese dalla nascita. Non sa chi sia suo padre. Sa che sua mamma era tossicodipendente e questo ha segnato la sua vita sin dal primo istante. Pietra è la bambina che dà il titolo a un libro emozionante, struggente. Un libro che ha fatto sua, nella scrittura e nel ritmo, la fragilità di quelli che sono i suoi veri protagonisti. Perché chi l’ha scritto, Francesco Cicchi, più che autore fa da portavoce di queste storie che hanno attraversato la sua vita, sempre in prima linea. Cicchi ha partecipato alla fondazione nel 1981 di una comunità, Aquilone, sulle dolcissime colline che dividono Ascoli dal mare. Con gli anni è cresciuta si è fusa con un’altra realtà, la comunità Ama. Oggi costituiscono una delle più belle e innovative esperienze sociali del territorio. “Bella” nel senso più esplicito e verificabile del termine, nei gesti, nella cura del contesto, nei prodotti dell’attività agricola.
Dopo tanti anni, ora, con estrema discrezione, Francesco Cicchi ha voluto dare voce ad alcune delle persone che sono passate per la comunità o l’hanno anche solo sfiorata, con diversi destini. A volte le tracce arrivano per un loro spontaneo disegno: lettere, piccoli fogli di carta sgualciti, spesso scritti dal carcere da ragazzi o ragazze che sono passati dalla comunità e che hanno mantenuto un legame.
È un libro pieno di delicatezza, a partire dalla scrittura, sempre intensamente lirica, tessuta di struggimento e affetti profondi. Una scrittura che accarezza le storie senza mai volerne prendere possesso. Ci si può chiedere da dove nasca il bisogno di un libro così. In parte dal desiderio di dare voce a «una narrazione che non si racconta». Che non ha mai avuto l’opportunità e la forza di “dirsi”. C’è anche il desiderio di testimoniare non solo schegge di storie, ma un tessuto di vita in cui inquietudine e stupore continuamente si passano il testimone.
Non è un libro di risposte. Non è un libro consolatorio. È un libro profondamente ferito, perché le ferite dei suoi umili protagonisti segnano in profondità la scrittura. Lo nota Eraldo Affinato nel bell’intervento introduttivo al libro. Dice Affinati: «Se la scrittura non certifica l’esperienza che intende rappresentare rischia di fallire il proprio compito: certo è un problema di forma, ma chiama in causa soprattutto la tensione etica che alimenta il testo. In questo caso mi sembra che l’adozione di una struttura narrativa ritmica scandita dalle ore del giorno, da un’alba all’altra, secondo l’impostazione che Francesco Cicchi ha dato ai suoi ritratti, ai pensieri e alle testimonianze, indichi la volontà di creare un nesso fra le storie raccontate e la misura universale della condizione umana nella quale sono state collocate, alla maniera, appunto, di un messale laico».
Al fondo della narrazione e dell’esperienza di Francesco Cicchi sta una convinzione: che la fragilità sia in realtà una forza. «Adesso abbraccio le mie fragilità come la mia forza», confida Maddalena, violata dal padre, e poi rimasta incinta in un rapporto sbagliato. «Fragilità come imperfezione, inadeguatezza, conto sbagliato, gorgo interiore», sottolinea Affinati nel suo intervento introduttivo. «Ma perché le persone più interessanti sono proprio queste? Me lo sono chiesto spesso insegnando ai ripetenti, ai ragazzi difficili, a chi non riusciva a stare al passo con gli altri. È come se loro mi chiamassero a un rendiconto speciale che, invece di frenarmi, rilanciava la mia attività».
Pietra | Cicchi, Francesco | la meridiana | 2017 | pagine 100 | euro 13,50
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