Si sono veramente letti solo i libri che si sono riletti
Anch’io avevo letto sul Venerdì di Repubblica del 2 settembre la scandalosa notizia: risultava che Natalia Aspesi, per sua ammissione, non aveva mai letto Ugo Foscolo. Lei stessa onestamente pubblicava nella sua rubrica “Questioni di cuore” la letterina indignata della signora Maria Visentini (un’insegnante, credo) che le rimproverava la madornale lacuna scolastica. Il rimprovero era espresso nel tono più contundente, una vera “bacchettata” sulle mani, come succedeva nelle nostre scuole ancora negli anni Cinquanta.
Anche io ero sorpreso. Non meno sorpreso ero però dell’educatissimo, umile, quasi contrito tono della risposta della Aspesi, in cui la sola frase infelice era la prima: perché scandalizzarsi di una tale quisquilia dato che “ci sono altri fatti” che dovrebbero scandalizzare? Con questa logica dovremmo considerare normali gli errori d’ortografia, le gomitate in metropolitana, le dita nel naso al ristorante, perché i veri scandali “sono altri”, sono la corruzione, la mafia, il razzismo, le guerre…
Comunque questa minima vicenda ha scatenato nei giorni successivi un’ondata di sboccate aggressioni verbali. “La giornalista che non aveva letto Foscolo” diventò così il bersaglio di una specie di linciaggio morale. Ma i facinorosi indignati lo avevano letto Ugo Foscolo? La signora Maria Visentini, autrice della rimproverante letterina, sono sicuro che non solo lo ha letto Foscolo, ma sinceramente lo ama poiché lo definisce (affermazione un po’ azzardata) “il nostro più grande poeta dopo Leopardi”.
Ma cosa significa, mi chiedo, “aver letto Foscolo?”. Umilmente la Aspesi aveva risposto: “Foscolo l’avrò studiato e prontamente dimenticato, mi spiace”. Non sono rari, credo, non solo i laureati ma gli intellettuali, i giornalisti, i politici che (se si facessero coraggio) potrebbero dire più o meno la stessa cosa: “Forse l’avrò studiato e prontamente dimenticato, mi spiace”.
È piuttosto diffusa, se non sbaglio, l’abitudine di “credere di aver letto” autori che si sono appena annusati e che si finge (anche con se stessi) di aver letto. I classici italiani non sono mai stati molto letti e ora sono letti sempre meno. Il novanta per cento della narrativa e della poesia che si pubblica oggi è scritta da autori che non leggono un verso di Foscolo dal giorno in cui, diciottenni, ebbero il giorno dopo l’interrogazione di italiano a fine trimestre.
È recentissimo il libro di uno dei nostri migliori critici e italianisti, Giorgio Ficara, intitolato Lettere non italiane perché, secondo l’autore, l’attuale letteratura italiana non ha più niente a che fare con la nostra tradizione letteraria. Non solo Foscolo, ma tutti i nostri classici, Parini e Dante, Pietro Verri o Machiavelli, Vincenzo Cuoco o Petrarca, Metastasio e Tasso, Baretti e De Sanctis, sono pochissimo letti e, se letti, “prontamente dimenticati”.
Oggi più che mezzo secolo fa, il destino dei nostri classici e di tutti i classici è lo stesso: può venire in mente il nome, ma poi non si leggono, né a scuola né dopo, manca il tempo. Arriverei a dire che la stessa persona colta merita di essere considerata tale, sia perché ha letto molto, sia perché vive di rimorsi per gli autori e i libri che non ha letto, o che ha letto e “prontamente dimenticato”. Ricordo bene i romanzi che ho letto più di una volta. Di quelli che ho letto una sola volta, ne ho chiaro il significato, ma non credo che sarei facilmente in grado di riassumerli: certo non, per esempio, Le anime morte, non La lettera scarlatta, non Padri e figli, e anche con Mastro don Gesualdo, se interrogato a un esame di maturità, non farei una gran figura. Ho letto due volte l’Orlando Furioso, ma la Gerusalemme mai interamente, mi sembra, ma chissà, forse non ricordo. Neppure degli autori che amo e ho amato di più ho letto tutto. Soffro di questa superstizione: preferisco lasciarmi qualcosa di riserva, qualcosa che di loro potrò ancora leggere.
Si capirà che ho anche una convinzione: si sono veramente letti solo i libri che si sono riletti. La poesia, poi, sarebbe bene saperne a memoria una certa quantità. Ho notato che fra i più giovani critici letterari, anche fra quelli, pochi, che si occupano di poesia, quasi nessuno sa a memoria un po’ di versi. Se la poesia italiana tecnicamente oggi è ridotta così male, è anche perché i nuovi poeti non sanno a memoria nessuna poesia né classica né moderna e quindi non hanno mai acquisito un sufficiente senso della forma, della misura, né della trasgressione consapevole.
I primi a fare finta di aver letto sono comunque i professori di scuola. Il fingere di aver letto è perciò una finzione che si impara a scuola. Ma d’altra parte chi potrebbe, chi vorrebbe aver letto tutto quello che sarebbe bello e utile leggere? Ognuno legge gli autori e i libri che si merita. Con gli studiosi si dovrebbe fare infine un discorso diverso: studiano, sì, ma leggono quello che studiano? Studiano Virgilio o Kafka, ma lo meritano?
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