Il Diavolo in letteratura: tutti i volti del Male Assoluto
L’Inferno di Dante, la “Gerusalemme liberata” di Torquato Tasso, “Paradiso Perduto” di Milton, “Faust” di Goethe, “Il ritratto di Dorian Gray” di Oscar Wilde, “Le lettere di Berlicche” di C.S. Lewis, “Il Maestro e Margherita” di Michail Bulgakov e molti altri: un percorso tra i grandi classici della letteratura che hanno fatto la storia dei libri “a presenza demoniaca”
Archetipo narrativo fra i più riconosciuti e variamente interpretati, da sempre la figura del Diavolo (dal greco diabàllo, colui che divide, pone frattura) racchiude in sé una quantità di significati tali da renderlo contenitore ideale per raccontare tanto i limiti della condizione umana, quanto la natura delle sue contraddizioni.
Satanasso, Mefistofele o Belzebù sono solo alcuni dei mille travestimenti sotto cui il demonio ama trarci in tentazione; Legione (o moltitudine) l’accezione che, in senso biblico, meglio ne evidenzia la struttura polimorfa e l’innegabile propensione per il conflitto. Ciò premesso, e lungi dal volere affrontare il tema da un punto di vista morale o religioso, vi presentiamo una panoramica d’insieme su alcuni tra i grandi classici della letteratura che, sotto il segno del Male assoluto, hanno fatto la storia dei libri “a presenza demoniaca”.
Morfologia del Diavolo: il dio Cornuto
Introducendo l’argomento, pare d’obbligo un cenno al padre della psicanalisi Carl Gustav Jung il quale, nel suo Gli Archetipi dell’inconscio collettivo definisce il Diavolo una variante del principio dell’Ombra, ovverosia quell’insieme di qualità negative che, nel contrapporsi alla rappresentazione positiva della Luce, permettono all’uomo di discernere il mondo fenomenico nel suo linguaggio duale e complessivo. Non a caso, è sin dai tempi delle culture proto-storiche che la simbologia della divinità caprina – metà umana e metà animale – è stata utilizzata per sottolineare la vicinanza del Demonio ai processi naturali di vita e morte, con ciò legando la sua immagine a quegli elementi grotteschi che, in epoca medievale, lo identificheranno come un essere mostruoso dotato di zoccoli, barba e lingua biforcuta.
Il Lucifero dantesco, principe della superbia
Personificazione, detta ultima, che verrà adottata anche dal padre della lingua italiana Dante Alighieri il quale (oltre a canzonare il diavolo Barbariccia con il celebre verso del canto XXI dell’Inferno) ci descrive Lucifero come una creatura fantastica e dotata di sei ali, esiliata dal giardino dell’Eden per aver combattuto contro Dio e sobillato all’espulsione i suoi Angeli Ribelli. Qui, sprofondato a testa in giù nella quarta zona del nono cerchio (la ghiaccia del fiume Cocito), la Stella del Mattino è condannata senza tregua a flagellare le anime dei traditori, colpevoli, come lui, nell’aver disobbedito alla Chiesa e nell’aver rinnegato i valori fondamentali dell’Impero e delle sue istituzioni.
Il Plutone di Torquato Tasso, un antagonista lirico
È nel canto IV della Gerusalemme liberata che l’iconografia del Maligno si libera dalle connotazioni tradizionali per approssimarsi, invece, a quelle di una solenne divinità greca (Hades o Plutone), effigie di certo più convincente per esaltarne l’aspetto di monarca rovesciato dai cieli ma nondimeno combattivo e intenzionato al riscatto. Qui, alla reggenza di un conciliabolo di demoni, il Diavolo avverte i suoi seguaci delle mire espansionistiche dei crociati cristiani i quali, nella loro avanzata attraverso l’Asia, rischiano di convertire le anime destinate all’Inferno; per rallentarne l’offensiva, il Re dell’oltretomba intimerà alle sue milizie di adottare ogni stratagemma utile, ivi comprese le lusinghe della seduzione e l’arte della sensualità femminile.
Il discorso di Satana nella poesia di Milton
Rinnovato nelle fattezze come pure nell’orgoglio, il Satana di John Milton è quindi pronto a restituirci la sua versione dei fatti nel poema epico il Paradiso Perduto, opera in versi sciolti del 1667 avente a tema la cacciata dal Paradiso terrestre. Sprezzante come non mai nella sua dichiarazione “Meglio regnare all’Inferno, che servire in Paradiso”, l’antieroe per eccellenza sembra mosso da uno spirito di libertà molto simile a quello che aveva guidato i rivoluzionari inglesi nel periodo delle guerre civili, e ciò sia nei confronti di Dio (al quale Satana non si è mai inginocchiato, come pure i repubblicani di fronte alla monarchia), sia nei confronti di Adamo ed Eva (i primi uomini ai quali il Serpente dona il frutto della conoscenza, ma anche il popolo-sovrano che assume la responsabilità finale delle proprie azioni). L’autore, che nel supportare un approccio politico sembra militare dalla parte del male, è stato a lungo accusato di sostenere il culto satanico; ciò che, invece, non è mai stato messo in discussione è il valore del testo, da sempre considerato pietra miliare della letteratura inglese nonché internazionale tutta.
Il Faust di Goethe e il patto col diavolo
Quel che è certo è che, a far data dai moti rivoluzionari dell’epoca di Milton, il ruolo del Demonio si è fatto sempre più presente come istigatore del desiderio umano, esaudendone ogni richiesta a fronte di una preziosissima merce di scambio: l’anima. Ed è questo ciò che accade, per l’appunto, al protagonista dell’omonimo dramma di Johann Wolfgang Von Goethe Faust, un incauto scienziato – ma benvoluto da Dio – il quale, costernato da un’esistenza di insuccessi e continui fallimenti, si concede alle lusinghe di Mefistofele pur di esperire un barlume di divino nel frangente della vita terrena. Il Diavolo (che sarà ben lieto di accontentarlo), intraprenderà con lui un vero e proprio viaggio alla scoperta dei sensi e della magia, al termine del quale reclamerà per sé il tributo precedentemente concordato. Ma proprio quando lo sventurato medico sarà nel transito verso la sua destinazione finale (l’Inferno), l’intercessione dell’amata Margherita e la discesa di una schiera di angeli gli garantiranno il perdono divino, salvandolo così dall’eterna dannazione.
Il quadro di Dorian Gray e l’incantesimo di vanità
Diversa sorte toccherà, invece, al bellissimo Dorian Gray di Oscar Wilde, passionale aristocratico la cui perfezione viene immortalata nel meraviglioso ritratto per lui dipinto dall’amico (e spasimante) Basil Hallward. Persuaso che piacere e avvenenza siano gli unici motivi per cui valga la pena vivere, l’ambizioso protagonista conseguirà una demonica giovinezza in cambio della sua perdizione, intraprendendo così un’esistenza dissoluta e ai limiti dell’amoralità. E mentre l’uomo commetterà ogni sorta di peccato rimanendo intatto nella sua apparenza, il volto nel ritratto andrà via via invecchiando sino al giorno in cui, trafitto dallo stesso Dorian, restituirà al protagonista le sue fattezze originarie. Portandogli via, assieme alla vita, ciò che di più caro Dorian aveva barattato: la salvezza della propria anima.
Berlicche e Malacoda, l’educazione del Demonio
Ma non limitiamoci a meri giudizi di disvalore: se approcciato con le dovute cautele, l’insegnamento del Male può anche rivelarsi illuminante e foriero di discernimento. Ce lo insegna, ad esempio, lo scrittore di narrativa fantastica C.S. Lewis (l’autore de Le Cronache di Narnia, fra gli altri) il quale, nel suo Le lettere di Berlicche impartisce lezioni di teologia attraverso lo scambio epistolare fra Malacoda (un diavolo alle prime armi desideroso di indurre i propri “pazienti” ai peccati più estremi) e suo zio Berlicche (un demone vecchio stampo ma ancora incline alle tentazioni veniali). Lewis, che nel determinare il comportamento del diavolo “modello” si sofferma su tematiche fondamentali quali l’amicizia, l’amore e la sessualità, ci ricorda quanto la Ragione rappresenti l’unico strumento utile per distinguere il bene dal male e quanto ogni tipo di estremismo – anche quello storico o politico – porti, inesorabilmente, alla sconfitta dell’uomo moderno.
Woland, il mago oscuro ne Il Maestro e Margherita
Uno zampino, quello del Diavolo, in grado di insinuarsi in ogni tipo di situazione, come ben ci conferma il doppio piano narrativo del romanzo di Michail Bulgakov Il Maestro e Margherita, opera postuma del 1967 e capolavoro di satira russa ai confini della letteratura simbolista. Sviluppato su due piani temporali paralleli ma intersecantesi – quello della prima parte, dedicato alla Mosca degli anni trenta, e quello della seconda, riguardante la Roma antica di Ponzio Pilato -, gli interventi del mago Woland influenzeranno la Storia in maniera all’apparenza assurda, ma tuttavia lineare nel conferire all’opera non soltanto una precisa missione di trama – ricongiungere l’amante Margherita con lo scrittore anonimo “Maestro” – ma puranche la capacità di destrutturare il romanzo nel suo formato tradizionale, ampliandone gli sviluppi a possibilità narrative insolite e sino ad allora inesplorate. Fra le tante immagini che tornano alla memoria, il volo sulla scopa della strega Margherita e il ballo della donna con Satana in persona, alla presenza del maggiordomo Korov’ev, del sicario Azazello e del gatto nero parlante Behemoth.
Il Figlio del Diavolo e la piaga della superstizione
Senza voler tralasciare i principali successi di vendite in campo gotico e/o orrorifico (come i celeberrimi Rosemary’s Baby di Ira Levin o L’esorcista di William Peter Blatty) nel presente letterario è Il Signor Diavolo (Guanda) di Pupi Avati a porre l’attenzione su un sintomo di malignità fra i più negativi del nostro Paese: la piaga della superstizione. Ambientato nel 1952 e collocato nel profondo nord-est italiano, il romanzo racconta la vicenda processuale dell’adolescente Carlo Mongiorgi, un quattordicenne che, secondo le carte, avrebbe ucciso il chierichetto Emilio (“il figlio del Diavolo”) convinto che fosse lui il responsabile per la morte dell’amico Paolino Osti. Nel condurre l’indagine e nel tentativo di fare luce sulla reale colpevolezza di Carlo, il funzionario ministeriale Fulvio Momentè spalancherà il racconto su una serie di maldicenze, pregiudizi e insabbiamenti (anche a opera di religiosi) che davvero nascondono il Male proprio lì dove meno ce ne accorgiamo: la coscienza di tutti noi.
Vita e amori di una Diavolessa di Fay Weldon
Volendo concludere con una nota di colore rosa, non di soli diavoli si compone la schiera demonica: nel romanzo Vita e amori di una Diavolessa di Fay Weldon (1983), il Diavolo è femmina e si chiama Ruth. Casalinga bistrattata e madre insoddisfatta, la protagonista ne combinerà di ogni pur di vendicarsi del tradimento del marito con Mary Fisher, l’acerrima nemica che l’ha privata della sua dignità ma che, nonostante ciò, non si esime dal chiamarla “Diavolessa”. Un appellativo che – ce lo ammette la stessa Ruth – finirà per calzarle a pennello. Dal romanzo anche il film She-Devil (Lei, il Diavolo), con Roseanne Barr e Meryl Streep nel ruolo delle antagoniste.
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