In vista del convegno dell’11 e 12 aprile 2024 dove si intrecceranno i concetti di giudizio, responsabilità, pena e riparazione, grazie anche alle opere di Alessandro Manzoni, l’incontro che si è svolto giovedì 26 ottobre ha approfondito il tema intersecando il punto di vista letterario e quello giuridico, mettendo al centro i due più famosi scritti del Manzoni. Ha corredato l’evento l’esposizione di collezioni manzoniane de I promessi sposi, degli Inni sacri, delle Osservazioni sulla morale cattolica e altri scritti cattolici, e altri documenti (Scritto critico autografo di Enzo Noe su Manzoni e Testo di Franco Loi su Manzoni) della Biblioteca d’Ateneo.
«La Storia della colonna infame è il luogo del giudizio e del giudizio sul giudizio perché è una grande accusa nei confronti degli inquisitori milanesi – ha dichiarato il professor Forti -, mentre I promessi sposi è il luogo delle storie e della narrazione, dove il giudizio è secondario rispetto all’abbandono al gusto di affabulare». I due testi vanno letti l’uno alla luce dell’altro, come sostiene unanimemente la critica letteraria. «Non a caso i due concetti fondamentali sono quelli di perdono e di provvidenza che hanno in comune un abbandono all’esistente umano sospendendo il giudizio» – ha continuato Forti. Questo rapporto tra il giudicare e il comprendere è un tema su cui riflettere sempre, anche oggi. Il giudizio, infatti, evoca la colpevolezza e il rimprovero ma ciò che ci definisce umani è l’espressione dei giudizi morali nei confronti di noi stessi e degli altri che implicano una serie di sfumature. Non ci si può limitare al determinismo dato dalla concatenazione causale che definisce la colpevolezza, occorre considerare l’elemento umano, proprio come Manzoni ci aiuta a fare attraverso I promessi sposi.
Qui il diritto si nutre di due concetti fondamentali – come ha sottolineato il professor Pierantonio Frare, docente di Letteratura italiana in Università Cattolica: «La ricerca di giustizia e la riparazione dell’ingiustizia. Il narratore commenta la domanda retorica di Renzo se ci sia giustizia a questo mondo dicendo “Tant’è vero che un uomo sopraffatto dal dolore non sa più quel che si dica”. C’è una giustizia più alta che tiene insieme questo e l’altro mondo. Ci sono, infatti, una giustizia umana e una giustizia divina».
Accanto al tema della giustizia c’è sempre in Manzoni quello della responsabilità, anche se questo termine non è stato utilizzato frequentemente fino a metà dell’Ottocento perché non di origine italiana. Frare, analizzando con dovizia di particolari diversi brani de I promessi sposi, ha spiegato che «la parola nasce e si diffonde con il declino dell’Ancien Régime e si applica all’ambito giuridico, poi politico e poi morale. In ogni caso implica l’unione dei concetti di responsabilità e risposta».
Emblematico è il caso di Gertrude, la monaca di Monza, che nella dinamica del domandare e rispondere ci propone un dilemma interiore. Frare ha evidenziato la questione del come «rispondere diversamente?» a domande che rinchiudono la persona in un destino già scritto. E ha citato il passo del capitolo IX “La sposina ebbe da dire e da fare a rispondere a’ complimenti che le fioccavano da tutte le parti. Sentiva bene che ognuna delle sue risposte era come un’accettazione e una conferma: ma come rispondere diversamente?” (I promessi sposi, cap. IX 14). «Gertrude percepisce il valore implicito in ogni risposta, ovvero la promessa che porta in sé una responsabilità. La domanda retorica è rivolta da Gertrude a sè stessa e conduce all’ultima risposta che non lascia alcun dubbio: “La sventurata rispose” (cap. X)».
Il romanzo pone sempre i personaggi di fronte a una scelta di responsabilità: «Il narratore risponde al lettore e risponde della storia e della sua bellezza. Un atto responsabile è sempre un atto di giustizia».
Un binomio condiviso anche dall’avvocato e scrittore Niccolò Nisivoccia che ha dichiarato come la giustizia sia strettamente legata alla responsabilità individuale. «Non è mai colpa delle leggi, le responsabilità sono sempre di ciascuno di noi, personali, perchè siamo noi a fare le leggi». E siamo noi a scegliere la strada da intraprendere a ogni bivio che la vita ci presenta. Ma il diritto come risponde alla domanda di giustizia di cui ciascuno di noi è portatore?
«La giustizia non coincide mai necessariamente con il diritto, è sempre eccedente ed esorbitante rispetto ad esso – ha continuato Nisivoccia -. Potremmo dire che il diritto è la terra e la giustizia il cielo. La giustizia è sempre alla stazione successiva verso la quale tutti dovremmo sentirci diretti». Nel momento in cui siamo di fronte alla violazione di un nostro diritto ci aspettiamo almeno che un giudice ristabilisca l’ordine pregresso, ma la nostra fiducia è ben riposta? Le nostre aspettative sono legittime? «Sì e no – ha spiegato l’avvocato -. È giusto aspirare alla giustizia ma anche accettare che nessuna parola potrà proteggerci dal dolore, dal male, dall’insensatezza. Se la giustizia è eccedente rispetto al diritto, a maggior ragione lo è la vita. Nessuna sentenza potrà fornire un senso che non siamo capaci di trovare dentro di noi».
I promessi sposi contengono l’idea di una giustizia diversa e una possibile risposta alle ingiustizie impostata sulla fiducia relazionale, perché a fare la differenza è l’irruzione dell’altro da noi in carne e ossa, una persona nella sua umanità e unicità al di là dei torti e delle ragioni. Come è successo a Renzo di fronte a don Rodrigo morente, a fra’ Cristoforo davanti al fratello di colui che aveva ucciso, all’Innominato la cui conversione comincia nel momento in cui incontra lo sguardo di Lucia. «Allora il diritto può rispondere al nostro bisogno di giustizia non dimenticando mai che dietro le norme ci sono sempre degli occhi, delle persone. È qui che la giustizia incontra l’umanità, come scriveva la filosofa Simone Weil. E a questo dovrebbe aspirare il diritto, nemmeno alla giustizia ma alla giustezza, all’equilibrio, alla concordanza di norma e singolo caso, norma e casi umani a cui va applicata».
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