Leggere e pubblicare libri nell’Ucraina in guerra: reportage da Kiev
“È impossibile scrivere di qualsiasi cosa che non sia la guerra”. La War Literature è stata inevitabile protagonista all’International Book Arsenal Festival, la cui 12esima edizione si è da poco conclusa a Kiev. Eppure, dopo due anni di conflitto e tensione costante, con attacchi diretti anche ai centri nevralgici dell’editoria, in Ucraina, come racconta in questo reportage per ilLibraio.it Francesca Varotto, la voglia di leggere – soprattutto “storie fantastiche, per rimuovere le immagini della distruzione” e “saggi storici, per capire”, oltre ai classici – è molto forte. Lo confermano le code al festival e le librerie della capitale piene. In tempi tanto drammatici, il governo ucraino sta investendo nella promozione della letteratura del proprio paese. E un ruolo centrale lo svolge la lingua ucraina…
A Kiev si arriva in treno, lo spazio aereo è chiuso all’aviazione civile da più di due anni. Volendo, ci sono anche gli autobus, o la macchina, ma dicono che il treno è più sicuro, perché il trasporto militare avviene su strada e le carrozze dei pendolari non sono un bersaglio strategico.
Da Chełm, sul confine polacco, per attraversare cinquecento chilometri di territorio ucraino e raggiungere la capitale ci vogliono in media dodici ore. Se si viaggia di giorno, l’arrivo è previsto verso le undici di sera, quando manca un’ora al coprifuoco. Eppure, fuori dalla stazione, il traffico è ancora intenso e la gente chiacchiera. Anche se manca solo un’ora al coprifuoco, anche dopo due anni di guerra.
Oltre alle battaglie che si combattono nelle province orientali con i mezzi della guerra, il governo ne combatte un’altra, altrettanto decisiva, insieme ai libri.
Le iniziative sono numerose, la più importante e più amata dal pubblico è l’International Book Arsenal Festival che, alla sua dodicesima edizione, si è svolto quest’anno dal 30 maggio al 2 giugno: una manifestazione interdisciplinare, premiata nel 2019 dalla Fiera di Londra nell’ambito degli International Excellence Awards, festival letterario e fiera del libro, con spazi per editori e librai (più di cento), incontri con gli autori, dibattiti e spettacoli, mostre, laboratori per i bambini. Una ricca serie di eventi (centosessanta in programma) per un pubblico numeroso che attende in lunghe file di poter comprare il biglietto d’ingresso.
“Quello che vogliamo realizzare qui è uno spazio per i libri e per le persone che li creano”, dice Yuliia Kozlovets, direttrice del festival. “Vogliamo che qui dentro si percepisca l’amore per la letteratura, da parte di chi i libri li fa e di chi i libri li legge“.
La Vita al limite, titolo e filo conduttore, si rispecchia nelle numerose pubblicazioni che raccontano la guerra, nelle opere d’arte che la rappresentano, negli interventi dove se ne discute. Si ricordano gli scrittori che hanno deciso di usare la penna per documentare, o di indossare la divisa per combattere. Al momento, sono ottanta quelli attivi negli oblast orientali.
Victoria Amelina, che prima di cadere vittima di un bombardamento l’ha raccontata con i suoi articoli e poesie, era una di loro: “È impossibile scrivere di qualsiasi cosa che non sia la guerra“, diceva, “non possiamo fare nient’altro”.
E in effetti, la cosiddetta War Literature domina anche gli incontri con gli editori ucraini, in una serie di appuntamenti coordinati dall’organizzazione del festival appositamente per gli editori stranieri. Ricevere l’invito a partecipare alla prima fellowship voluta dal Mystetskyi Arsenal è stata una sorpresa emozionante. Quanto è avveduto un governo che in tempi tanto drammatici decide di investire nella promozione della letteratura del proprio paese, ospitando editor stranieri e mettendo a disposizione generosi fondi per la traduzione? Quanta energia dev’esserci in un progetto simile? Un’energia che non volevo assolutamente perdermi, oltre a non voler perdere l’occasione, unica, di conoscere meglio l’editoria ucraina.
Le novità del catalogo di Ranok, per esempio, sono per tre quarti letteratura di guerra; le parole chiave: storia, indipendenza, eroi, coraggio, sopravvivenza in circostanze difficili, concetti che, con sfumature diverse, dominano anche il fantasy e il giallo. A gestire i diritti della casa editrice è Anna, arrivata in treno da Kharkiv, in questi giorni sotto assedio. Anche Natalie, che indossa uno splendido abito tradizionale rosso impreziosito da ricami floreali, arriva da Kharkiv. Racconta di una campagna promossa dalla casa editrice per cui lavora, la Vivat: in cambio di cinque chili di libri stampati in russo, destinati a diventare carta riciclata, si ottiene il trenta per cento di sconto sugli equivalenti in lingua ucraina.
La Vivat fa parte del gruppo Factor, lo stesso di Factor Druk, la celebre tipografia bombardata pochi giorni prima dell’inizio del festival, che ogni anno manda in stampa quattrocentocinquanta milioni di copie, tra libri, giornali e riviste: in Ucraina, un libro su tre, un giornale su dieci sono stampati da Factor Druk. I tre missili che l’hanno colpita hanno distrutto cinquantamila libri. La fondazione americana Howard Buffett si è impegnata a ricostruire la tipografia da qui a cinque mesi, ma all’Arsenal i danni subiti dall’intera editoria ucraina sono sotto gli occhi di tutti nello stand dedicato ai “Libri distrutti dalla Russia“, che espone una serie di volumi bruciati proprio nell’attacco del 23 maggio scorso.
Anche il tanto discusso battaglione, ora Dodicesima brigata, Azov ha un suo banchetto, dove chiunque può portare dei libri in regalo, che soldati in divisa raccolgono in un grande baule destinato al fronte. Ho chiesto loro cosa avessero voglia di leggere, i soldati, quando posano le armi: “Storie fantastiche, per rimuovere le immagini della distruzione“, hanno risposto, “e saggi storici, per capire“.
Daryna, giovane libraia che lavora in uno dei negozi Sens, conferma che negli ultimi tempi si cercano gli opposti: fuga dalla realtà e fatti storici. Parla anche di un grande ritorno ai classici, ucraini e non, di cui escono nuove traduzioni, rigorosamente in ucraino. E comunque, al primo posto in classifica c’è un’antologia che raccoglie due secoli di poesie d’amore ucraine dal titolo: Nessuno ha mai amato così, pubblicata dalla più importante casa editrice per bambini (dai due ai centodue anni), dal nome giocoso di A-BA-BA-HA-LA-MA-HA, filastrocca che in un racconto della seconda metà dell’Ottocento il piccolo Hritz recitava per imparare l’alfabeto.
Si legge tanto e le librerie sono piene, anche se il prezzo medio di un libro è di circa dieci euro e lo stipendio medio di cinquecento: “Apriamo alle otto di mattina”, dice Daryna, “e alle otto e un quarto c’è già qualcuno alla cassa”.
Con i suoi millecinquecento metri quadrati distribuiti su tre piani, dove trova posto anche un delizioso caffè, la nuova Sens è la libreria più grande del paese, e rimane aperta fino alle dieci di sera. È stata inaugurata lo scorso febbraio sulla centralissima Chreščatyk, non lontano da Majdan Nezaležnosti, la Piazza dell’Indipendenza dove, dieci anni dopo Euromaidan, un mare di piccole bandiere gialloblu ricorda i morti di oggi. Una bandiera per ogni caduto.
Tra gli stand affollati del festival, c’è anche quello dell’Associazione ucraina di studi ebraici, con le sue pubblicazioni sulla lingua yiddish e la Rivista di Odessa.
E allora ripenso alle parole di Nadežda, protagonista insieme a Samson de L’orecchio di Kiev di Andrei Kurkov (Marsilio, 2023, con la traduzione di Claudia Zonghetti). Impiegata all’ufficio di statistica di Kiev nel 1919, Nadežda spiega come in città vivano più di cinquecentomila persone, in prevalenza russi, seguiti dagli ucraini e da un venti percento di ebrei, in parte caraiti di Crimea. I tedeschi sono tremilaquattrocento, trecento i francesi, e ci sono anche cinesi. Una città dove si parlavano tante lingue, una città ancor oggi bellissima, pienamente mitteleuropea con un’anima tutta sua, con un’isola di sabbia in mezzo allo Dnipro e mille cupole dorate di chiese antichissime.
Una città dove ogni notte le sirene che annunciano un attacco missilistico suonano almeno una volta e i blackout sono ricorrenti, dove nei rifugi si possono fare incontri illuminanti, dove la vita si ferma da mezzanotte alle cinque di mattina. Allora le luci si spengono, e Kiev “sprofonda in un buio senza lampioni”. Succedeva già nel 1919, come si legge sempre nell’Orecchio di Kiev.
Il treno notturno che ogni sera parte per la Polonia è carico di donne giovani e anziane dirette in luoghi dove i bambini che viaggiano con loro possano dormire sonni ininterrotti. I bambini si addormentano ascoltando la voce delle mamme e delle nonne, che leggono loro una storia.
A bordo è vietato ascoltare musica russa.
nota: la scelta dei toponimi rispecchia l’uso più diffuso in Italia
L’AUTRICE – Francesca Varotto (nella foto sopra, ndr), padovana di nascita, ha iniziato a lavorare con i libri in Germania, prima come libraia, poi nell’ufficio diritti e nella redazione di diverse case editrici. Tornata in Italia, per un po’ di tempo ha affiancato al ruolo di editor quello di scout letterario da alcuni paesi a nord delle Alpi, e da molti anni è la responsabile della narrativa straniera di Marsilio Editori.
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