Si intitola Zero K ed è l’ultimo romanzo di Don DeLillo, scrittore contemporaneo tra i più importanti, conosciuto per Rumore bianco, Underworld e Cosmopolis e considerato uno dei “magnifici quattro” della narrativa americana postmoderna insieme a Thomas Pynchon, Philip Roth, Cormac McCarthy. Diciassettesima fatica letteraria dell’autore, Zero K è stato pubblicato nel mese di maggio negli Stati Uniti e nel Regno Unito, mentre la pubblicazione italiana per i tipi di Einaudi avverrà nei prossimi mesi.
Zero K è la storia di una clinica in cui si conservano cadaveri in attesa che la scienza scopra il segreto della resurrezione. Un luogo in cui fede e tecnologia si fondono e la scienza si impone come nuova estetica. Il narratore è Jeffrey Lockhart, figlio di Ross, un milionario sposato con una donna più giovane di lui, gravemente malata e prossima alla morte. Ross è il principale finanziatore di una clinica segreta nella quale la morte viene controllata e i corpi vengono conservati nell’attesa di scoprire la tecnologia capace di riportarli alla vita. La storia si articola attraverso la diversa concezione che della morte hanno il figlio Jeffrey e suo padre: il primo sente che, in quanto limite estremo, la morte è indispensabile per dare senso alla vita, mentre il secondo desidera sconfiggerla per spingere l’uomo in una nuova dimensione dell’esistenza.
Tornano in questo nuovo romanzo temi che fin dagli anni ’70, inizio della sua carriera letteraria, hanno attraversato il lavoro di DeLillo: la domanda intorno al significato e alla consistenza del tempo, la morte, la tecnologia, il denaro, e in definitiva la possibilità dell’uomo post-religioso di conquistare e così evitare la propria fine. In questo senso Zero K è solo l’ultimo tassello di una carriera che vede l’autore americano impegnato in una esplorazione profonda di alcune tematiche fondamentali dell’apocalittica di matrice giudaico-cristiana.
Tralasciando il monumentale Underworld, opus magnum di DeLillo riguardo ai temi citati, è con Rumore bianco – che gli valse la vittoria del prestigioso National Book Award nel 1985 – che l’autore tocca uno degli apici lirici e tematici della sua carriera.
Idealizzazione teorica di un rumore di ampiezza costante su tutto lo spettro di frequenze, il rumore bianco del titolo allude alla presenza costante della morte. Sullo sfondo di un misterioso disastro ambientale che mette in discussione le vite dei protagonisti, DeLillo sottolinea la necessità dell’uomo contemporaneo di partecipare a un nuovo “spettacolo sacramentale”. Ma tale spettacolo si svolge oggi nei grandi centri commerciali o nel flusso di dati del cybercapitale: nuovi dispensatori di conforto e spiritualità.
Significativo è anche il predecessore di Zero K, Punto omega, pubblicato nel 2010. Nel libro l’autore dichiara esplicitamente il proprio debito verso le teorie teologiche e scientifiche del gesuita francese Theilhard de Chardin. Il punto omega al quale il protagonista si riferisce è l’inevitabile punto di arrivo del cosmo, della coscienza e con essa della storia del mondo. Un traguardo che tuttavia non porta con sé nessuna consolazione per l’autore, ma solo l’evidenza che la fine della storia umana rimane indisponibile e al di fuori di ogni tentativo di afferrarla.
Che cosa allora ci può salvare dal tempo che inesorabile scorre e ci conduce verso la fine? Per DeLillo, come del resto per McCarthy, una salvezza c’è, e viene dalla scrittura, la parola, il logos. Nell’immaginario di DeLillo il logos assume le fattezze di un college universitario, il logos college del suo secondo romanzo End Zone. Così attraverso la metafora di una partita di Rugby, esercizio agonistico della scrittura, DeLillo mette alla prova i nostri sogni, le speranze, le ossessioni autodistruttive dell’umanità, il nostro bisogno di redenzione; il desiderio di arrivare alla meta conseguendo la vittoria.
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