“Padre nostro”, Walter Kasper, Queriniana, 2020
Le riflessioni di Walter Kasper, ottantasettenne cardinale tedesco, teologo molto noto e apprezzato, con alle spalle una brillante carriera accademica e presidente emerito del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità tra i cristiani e per i rapporti religiosi con l’ebraismo, si caratterizzano per la loro chiarezza, semplicità e profondità di sensibilità umana e teologica.
I discepoli hanno visto Gesù pregare e gli hanno chiesto di insegnare a farlo anche a loro. Se Gesù ha pregato, ciò significa che la pregheria non è una dismissione della dignità umana, ma l’esercizio di una facoltà spirituale che tocca le radici dell’essere, che per i cristiani è un Dio Padre onnipotente nell’amore.
Kasper commenta brevemente le sei richieste del Padre nostro presenti nel Vangelo di Matteo, al centro del Discorso della montagna. Pur scritta in greco, la preghiera di Gesù dovette circolare nelle comunità anche nell’originale lingua aramaica, ma le differenze non furono sentite tali da dover ricusare la versione in greco.
Il Padre nostro è radicato fortemente nella preghiera ebraica e biblica in generale. Esso è una discorso a Dio e con Dio, una forma di dossologia in cui l’uomo riconosce la propria dignità di figlio di Dio e, nello stesso tempo, di essere oppresso dalle difficoltà mortali con cui la vita quotidiana appesantisce il suo cammino. Kasper rende accorto il lettore della lunga storia degli effetti conosciuta dal Padre nostro e che quindi questa preghiera va compresa con il linguaggio e la sensibilità odierna.
Tre richieste essenziali
Le prime tre richieste vanno all’essenziale. Il discepolo non prega come bambino piccolo, ma con l’invocazione abba si rivolge con rispetto a una persona in cui ha fiducia, che riconosce essere fonte di vita, di paternità che custodisce, ama, protegge e dona vita (benché un certo numero di persone del nostro tempo possano avere o avere avuto un’esperienza molto negativa del proprio padre…).
Da münding (maggiorenni) apriamo la bocca (Mund) con piena libertà per rivolgersi con fiducia al Padre fonte di vita, di luce, di forza e di fraternità. Dio è padre di tutti, e quindi tutti sono figli e fratelli fra di loro. Fratelli tutti è il titolo dell’ultima enciclica di papa Francesco. L’orante riconosce l’alterità di Dio rispetto a ogni realtà mondana («stai nei cieli»).
Dalla Bibbia e dal NT il credente ha imparato che Dio è Padre soprattutto di Gesù Cristo, il Figlio suo. Il suo essere Padre illumina le paternità di vario tipo che esistono al mondo, smascherando quelle che abusano del loro ruolo per infliggere sottomissione e schiavitù. Il Dio Padre dei cristiani è un Dio rivoluzionario, che ama e custodisce in modo preferenziale i piccoli e i poveri che si affidano a lui.
Il nome identifica le persone, la loro identità profonda. Il nome “YHWH” qualifica il Dio della Bibbia come un Dio d’amore, presente per salvare, in piena libertà di modi e di tempi. Resta incatturabile e non manipolabile. Il suo nome non può essere pronunciato invano ma santificato, riconosciuto cioè come totalmente altro dalla realtà mondana.
Il credente prega perché questo nome sia riconosciuto per quello che è, da tutti. Un Nome che, a partire dalle testimonianze bibliche, assicura presenza, salvezza, amore fedele, unità fra i credenti e nella creazione stessa. La richiesta è espressa al passivo, un passivum divinum. L’uomo deve onorare Dio, ma solo Lui può fare in modo che il suo Nome sia accettato da tutti in terra e in cielo.
Anche se il concetto di regno resta più o meno estraneo alla concezione moderna, esso svolge un ruolo centrale nella Bibbia. Gesù annuncia la regalità di Dio che si avvicina fino a toccare il mondo degli uomini. Lo annuncia con la parola, lo rende visibile con i prodigi, tenta di illustrarne la natura con parabole molto efficaci.
Il regno di Dio non è di tipo politico, ma un regno di vita, pace, amore, giustizia, fraternità. Combacia con i frutti dello Spirito ricordati nella Lettera ai Galati. È una regalità che si instaura non in modo eclatante ma discreto, rispettando la libertà dell’uomo e, al contempo, possedendo una propria potenza automatica, capace di produrre esiti esaltanti a partire da inizi piccoli e insignificanti. Una potenza “dentro” le cose, come quella del lievito nella pasta.
Giustamente è stato detto che Gesù Cristo è il Regno in persona. Il regno non combacia con la Chiesa, che ne è una primizia e un anticipo, ma sorpassa ogni confine culturale e religioso. Per esso occorre pregare, celebrarlo nell’anticipo dell’eucaristia, testimoniarlo con una vita coerente al vangelo.
Nel Padre nostro abbondano gli imperativi passivi divini: è Dio, infatti, che ha il ruolo principale nel santificare il suo Nome, far venire il suo Regno, far compiere la sua volontà come in cielo così sulla terra.
La volontà di Dio non rappresenta un’eteronomia che uccide la libertà dell’uomo ma una teonomia amante dell’uomo, che fiorisce al suo interno come vita e luce. Essa propone all’uomo i paracarri minimali per rimanere nella libertà e nella vita procuratagli da Dio con la creazione e la liberazione dalla schiavitù dell’Egitto. La volontà di Dio è universale ed è salvifica. Assume e fonda, custodisce e fa crescere la libertà dell’uomo.
Tre beni sociali
Il male nel mondo c’è e non può essere negato né spiegato. Non lo ha fatto neppure Gesù, che pure lo ha assunto fino in fondo sconfiggendolo sulla croce. Ognuno deve vigilare sui propri comportamenti tendenti al male, perché Dio non rinuncia al giudizio sull’operato umano. Resta il fatto che Cristo ha vinto il male e dà la possibilità al credente di vivere una vita nell’amore. Non sarà tuttavia una vita esente dalla tentazione al male né dalle prove che permettono la crescita dell’uomo nella sua libertà e maturità completa. La liberazione dal male e dal non abbandono nella tentazione saranno l’ultima richiesta del Padre nostro.
Le altre due che precedono tale richiesta riguardano i bisogni sociali dell’uomo.
Il primo è quello del pane per vivere con dignità ogni giorno. Pane anche nel domani affidato all’ospitalità e anche forse il pane supersostanziale che allude all’eucaristia. L’uomo chiede a Dio il pane, ma non per questo non si impegna nel lavoro dignitoso e nella solidarietà di comparteciparlo alle persone e ai continenti in difficoltà e impoveriti dalla malvagità organizzata dei poteri forti.
Un bisogno personale e sociale forte è quello del perdono. Necessario chiederlo a Dio, necessario essere disponibili a concederlo al prossimo. I due perdoni sono collegati. Il perdono è una nuova creazione possibile solo a Dio e al suo Santo Spirito. In questo modo la vittima, l’uomo e la donna feriti dal male, ricevono nella preghiera la possibilità di non restare per sempre prigionieri dell’odio, dell’amarezza, ma giungere a vincere il male con il bene, recuperando la serenità e spezzando in tal modo il circolo vizioso che moltiplica solo la violenza, fosse anche legalizzata. Il perdono pacifica, anche se non esclude il giusto corso della giustizia umana.
Dio ci ha creati senza di noi, ma non ci redime senza di noi. Nel Padre nostro l’opera principale richiesta al Padre non esclude l’attiva partecipazione dell’uomo credente e di ogni persona di buona volontà alla edificazione del regno di Dio, che resta pur sempre dono divino.
Il mondo è pieno di tentazioni al male e anche di prove che permettono la crescita dell’uomo nella sua maturazione. Le tentazioni non solo e non tanto quelle sessuali; ce ne sono di molto peggiori, afferma Kasper. Sono quelle contro l’amore del prossimo, il cercare abilmente il proprio vantaggio, farla pagare cara a chi ci ha raggirato, far viver bene noi e male gli altri, rinfocolare il pettegolezzo, l’abuso di potere, le grandi tentazioni del denaro ecc. «Non deve essere necessariamente Dio a indurci in tutte queste tentazioni; tutti noi siano già invischiati in esse» (p. 133). Il credente chiede a Dio di essere custodito nelle tentazioni, che non sono volute da Dio, in modo da non soccombervi miseramente. Chiede anche di essere custodito e sostenuto nelle prove, perché non si trasformino in tentazioni.
Così Kasper paragrafa la richiesta, di difficile interpretazione, che pur si riferisce alla traduzione tedesca «führe uns nicht in Versuchung» (= Non indurci in tentazione»): «Fa’ sì che per noi, che siamo deboli, queste tentazioni intese nel senso di prove non diventino tentazioni al male. Guidaci e custodiscici nella tentazione, non permettere che nella tentazione cadiamo» (p. 138).
Non si pensi, infine, che il male, il Maligno, il Diavolo, non esistano più e la preghiera per esserne liberati comprende i tre aspetti con cui esso è presente nel mondo. Il Diavolo ha la struttura di un essere, come gli esseri liberi. Esitiamo giustamente – prosegue Kasper – a riconoscere al diavolo la dignità di persona, e aggiunge: «Joseph Ratzinger coglie nel segno quando afferma che il diavolo è una persona in degrado, la caricatura e la perversione di una persona. Ha in sé come una smorfia, una pazzia e, in realtà, è folle» (p. 140).
Sulla croce Gesù ha assunto la totalità del male compiuto e patito dagli uomini e lo ha vinto con l’amore, la sua oblazione generosa e onerosa, la risurrezione, l’effusione/consegna dello Spirito Santo.
Anche se non accennata da Kasper, penso che la preghiera di liberazione dalla tentazione possa avere anche una notazione escatologica e riferirsi quindi anche alla tragica possibilità di cadere nella tentazione decisiva e ultima della perdita della fede. C’è chi afferma che il Padre nostro è una preghiera escatologica, da recitare pochissime volte, non in modo devozionale ma in riferimento alla massima serietà del momento escatologico…
Per meditare e pregare
Il Padre nostro si presenta quindi come una preghiera rivoluzionaria, capace di sconfiggere il delirio di onnipotenza dell’uomo, di sovvertire i criteri mondani di vita consolidati, di vincere il male che attanaglia il cuore l’uomo, di infondere speranza certa che il male può essere vinto in Gesù e che nel mondo possa regnare la vita di Dio, Padre buono di tutti i suoi figli. Egli ci invita e ci dà la forza per prenderci cura e responsabilità di tutti i fratelli che compaiono sulla faccia della terra.
Un libro utile per la meditazione e per la preghiera, questo di Kasper sul Padre nostro. Esso fa ritornare tutti alle cose essenziali, soprattutto a non sentirsi onnipotenti ma, al contrario, dipendenti da una un grazia originale proveniente da un Padre che ci ama, ci custodisce e desidera la vita piena per ciascuno dei suoi figli.
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