Nella Londra degli anni Trenta del Novecento la Bodley Head, storica casa editrice fondata nel 1887 e famosa per pubblicare il trimestrale decadente The Yellow Book, appesantita da investimenti sbagliati e incapacità di guardare al futuro, non passava un bel periodo. Uno dei fondatori, John Lane, originario del Devon, sud-ovest dell’Inghilterra, era morto dieci anni prima, nel 1925. Il direttore nel 1936 era Allen Lane Williams, nipote di John, nativo anch’egli del Devon: un ragazzo sveglio, corpulento ma dotato di un’eleganza innata, cresciuto tra fattorie e boschi, entrato in casa editrice nel 1919, a sedici anni, e guadagnatosi in un quinquennio il posto di direttore, ereditando poi l’azienda alla morte dello zio. I dieci anni di Allen Lane a capo della Bodley Head sono a dir poco disastrosi vista l’evaporazione di capitali causata da alcune sue speculazioni editoriali e l’insofferenza di colleghi e dipendenti che il giovane sembra essersi conquistato, compresi alcuni co-direttori storici della casa.
Nel 1936, a distanza di anni dalla prima edizione pubblicata in Francia da Sylvia Beach per la Shakespeare & Company, Ulysses di Joyce stava per ricevere l’ennesimo no, che stavolta avrebbe fatto più rumore del solito, visto che veniva da T.S. Eliot (all’epoca editor per Faber & Faber, che fra l’altro stava lavorando alla pubblicazione di altri due lavori dell’autore irlandese, Finnegans Wake e Work in Progress). Per placare il caos editoriale che si era creato attorno all’operazione, a Eliot vennero dati cinque giorni per prendere una decisione definitiva. In Inghilterra Ulysses era già stato pubblicato nel 1922 da Harriet Weaver della Egoist Press per poi venire bandito dalle autorità e ritirato. Era questo genere di precedenti, assieme al timore per le le ripercussioni legali, che intimoriva il poeta. Dall’altra parte dell’oceano invece, negli Stati Uniti, il testo era stato pubblicato dall’allora neonata Random House dopo processi e inchieste nel 1935, in uno dei più clamorosi casi dell’intera storia editoriale americana.
Fu proprio nei cinque giorni concessi a Eliot che il trentenne Allen Lane, che aveva già conosciuto Joyce di persona e seguiva attentamente i retroscena editoriali e letterari, mise in mostra le qualità che contraddistingueranno la sua carriera: comprò i diritti del libro con un accordo da 200 sterline in pagamento dilazionato, nel maggio 1936 Joyce firmò il contratto e a ottobre dello stesso anno andò in stampa l’edizione Bodley Head di Ulysses, limitata – 1000 copie, di cui 100 firmate dall’autore – e non economica – 5 ghinee l’una – che andò esaurita in breve tempo. Andando contro il parere di soci e dipendenti della Bodley Head, Lane si assunse la completa responsabilità economica e legale della manovra, pubblicando il libro praticamente in autonomia. Il successo dell’operazione non bastò comunque a salvare la Bodley Head, che andò in liquidazione pochi mesi dopo e fu rilevata da Sir Stanley Unwin (l’editore che pubblicò per primo Lo Hobbit di Tolkien). Il valore delle copie di quell’edizione Bodley Head di Ulysses ora è piuttosto alto e oscilla tra i 1.500 e i 58.000 dollari.
Modestia, Determinazione, Istinto Imprenditoriale, Capacità di Individuare Talento Altrui, capacità di creare un Caso Mediatico. Sono termini da PNL, tutti rigorosamente con l’iniziale maiuscola, che hanno caratterizzato questa e altre operazioni dell’uomo che ottant’anni fa non ha cambiato solo l’editoria, ma anche il modo di relazionarsi al libro di un’intera società, quella occidentale.
Allen Lane fondò Penguin nel 1935, un anno prima di vendere la Bodley Head: alla difficile situazione economica si erano aggiunti negli anni i rapporti ogni giorno più deteriorati con soci e dipendenti. Una spinta tutt’altro che trascurabile arrivava anche dall’istintivo desiderio d’indipendenza imprenditoriale che albergava nella natura di Lane. Non mancano differenti versioni del mito fondativo, anche se quasi tutte sono variabili di quella che J. E. Morpurgo ci racconta all’interno della biografia Allen Lane: King Penguin: un giorno, di ritorno da un weekend fuori Londra in compagnia di Agatha Christie – che fu sua intima amica per tutta la vita – e del suo secondo marito Max Mallowan, Lane si imbatté in una bancarella di libri nel treno su cui viaggiava – una cosa diffusa all’epoca – rimanendo indignato dalla merce in vendita: sporchi, brutti, scollati, erano tentativi fallimentari di edizioni dal costo di produzione ridotto con l’obiettivo d’esser venduti a un prezzo popolare. Così Allen pensò di poter, di dover realizzare una serie di libri che fossero «eleganti più che vistosi» e che facessero conoscere a un pubblico più vasto possibile la vera letteratura e le verità sui temi attuali piuttosto che le solite storielle nate con fini commerciali; cosa ancora più importante, dovevano costare «come un pacchetto di sigarette».
L’idea di una nuova casa editrice, maturata negli ultimi anni alla Bodley Head, scaturiva dalla consapevolezza che il mondo editoriale fosse prossimo a un cambiamento epocale: chi fosse riuscito per primo a sfondare le barriere imposte dall’istinto conservatore ed elitario che la classe intellettuale di allora imponeva, avrebbe avuto di fronte a sé la possibilità di fare la storia (oltre a quella di guadagnare piuttosto bene). Lane era consapevole di non essere l’unico ad avere avuto questo tipo d’intuizione, ma era determinato a realizzarla con successo. Fu un attento spettatore quindi dei tentativi che anticiparono la Penguin nel puntare sul libro come prodotto per il consumo di massa: le esperienze di Victor Gollancz e W. H. Smith (fondatore della WHS) furono molto utili. Ma per quanto riguarda la linea d’azione della casa editrice londinese il vero predecessore di Lane nel campo dei paperbacks fu J. M. Dent, che nel 1906 fondò la Everyman’s Library. Dent era un editore più simile a un commerciante che a un intellettuale impegnato: «Il mio obiettivo è pubblicare 500 pagine per uno scellino».
La Everyman’s Library pubblicava un dato numero di nuovi titoli (o di nuove edizioni di titoli che avevano già visto la stampa) con un’alta tiratura e un prezzo popolare, calcolando il break even a quota 10.000 copie: tutto il resto del venduto aveva un solo significato: guadagno. Questo piano fu adottato anche dalla neonata Penguin, già dalla prima storica sfornata di titoli, dieci, tra i cui autori comparivano Hemingway e, ovviamente, Agatha Christie. Per l’aspetto grafico l’editore tedesco Albatross Books fu un’influenza fondamentale per lo stile delle copertine e la scelta di associare un colore di copertina diverso ad ogni genere letterario: il classico arancione per la fiction, il verde per quelli che oggi chiamiamo gialli, il rosa per i libri di viaggio e avventura, blu per le biografie, rosso per il teatro, viola per i saggi, mentre quella tinta tra l’azzurro e il verde acqua che avete visto su qualche libro Penguin contraddistingue i Pelicans, la collana dedicata alla non fiction nata nel ’37, chiusa nel 1985 per poi venire riaperta l’anno scorso (probabilmente per il boom di attenzione che il genere si sta conquistando negli ultimi anni).
Lane aveva un’eleganza innata nel vestirsi, nel portamento, nel conversare: nonostante la famosa frase con cui affermò di «non aver mai letto un libro», era diventato un uomo di discreta cultura, pur rimanendo sempre fedele alla virtù dell’onesta intellettuale che l’infanzia del Devon gli aveva trasmesso; è naturale quindi pensare che i suoi prodotti fossero un mix di eleganza, sobrietà e cultura. L’Inghilterra della seconda metà degli anni Trenta cominciava a uscire dalla crisi del ‘29, il bacino delle possibilità della middle class si allargava, la gente cominciava ad avere tempo libero, istruzione e disponibilità economiche adeguate per dedicarsi al consumo culturale: non è un caso se, nella seconda metà degli anni Trenta, si registrò l’incremento esponenziale delle tirature dei giornali assieme alla nascita dei primi Club del Libro. Tutto ciò creò un limo per la produzione dei primi prodotti culturali di massa che il format Penguin seppe sfruttare al meglio grazie a: possibilità di scelta (sia di generi che di titoli), stile ed economicità.
I successi arrivarono uno dietro l’altro, le tirature si fecero sempre più mastodontiche, il mercato della Penguin si allargò, attraccando sull’altra sponda dell’Oceano. Due furono i momenti cruciali nello sviluppo della casa editrice: il primo, datato 1946, vide l’inaugurazione di quella che è tutt’ora la collana di maggior successo della casa londinese, la Penguin Classics, lanciata con la celebre nuova traduzione dell’Odissea di Omero firmata E. V. Rieu. L’altro fa tornare alla mente l’episodio di Ulysses: nel 1960 Penguin pubblicò per la prima volta in Inghilterra L’amante di Lady Chatterley di D. H. Lawrence, sfidando la censura e vincendo un processo per oscenità (e vendendo qualcosa come due milioni di copie nelle prime due settimane). Una caratteristica, quella di sfruttare il bigottismo e le polemiche conservatrici a proprio favore, usando le controversie legali come trampolino di lancio mediatico, che l’azienda ereditò dal suo fondatore: nei tardi anni Ottanta infatti, a distanza di quasi un ventennio dalla morte di Allen Lane (1970), è sempre Penguin a pubblicare uno dei libri-caso internazionali più clamorosi degli ultimi venticinque anni, I versi satanici di Salman Rushdie.
Negli anni dell’espansione capitalistica, sembra crearsi un distacco tra l’azienda e le idee del suo fondatore: la dimensione industriale, l’allontanamento dal criterio quasi artigianale che aveva contraddistinto i primi anni di pubblicazioni, con i collaboratori principali della casa editrice riuniti in piccoli ristoranti di Londra a delineare il piano editoriale, il piacere dei viaggi intercontinentali che avevano lo scopo di creare una rete internazionale di contatti solida e funzionale. Tutto ciò aveva reso Lane nostalgico verso quegli anni. Il ricambio generazionale che avvenne poi all’interno del personale della Penguin attorno agli anni Sessanta lo fece sentire solo: il fratello Dick (al suo fianco nel fondare e dirigere l’azienda) se ne stava in Australia e i nuovi arrivati non erano spiritualmente così vicini a lui come lo era stata la prima generazione del Dopoguerra, nonostante la passione, la competenza e l’ammirazione nei suoi confronti fossero le stesse: non riusciva a vederli come intimi, a vederci un rapporto profondo, ma solo come fellow-pioneers, fellow-architects, ci dice Morpurgo. Una nostalgia che affiorava anche verso la sua terra natia, il selvaggio e verdeggiante Devon: regione che divenne con gli anni per Allen un simbolo di purezza che non abbandonò mai la sua memoria e che intrecciò ai desideri di ritorno a una dimensione genuina e autentica della vita che l’evoluzione capitalistica della Penguin sembrava aver rubato (fu quotata presso la borsa di Londra nel 1961).
Lane era un uomo intraprendente, entusiasta per i nuovi progetti, innamorato del proprio lavoro, a cui dedicò sempre gran parte della sua attenzione nonostante avesse messo su famiglia nel 1941 (ebbe tre figlie). Si ritirò dall’azienda nel 1965 (poco tempo dopo aver smantellato il famoso “tentativo di colpo di stato” di Tony Godwin, chief editor di allora) a causa del cancro intestinale che cinque anni dopo gli tolse la vita: non visse abbastanza a lungo per vedere un paio di cose che probabilmente non gli sarebbero andate a genio: la rilevazione del marchio da parte della Pearson Longman avvenuta nemmeno due mesi dopo la sua morte, il 21 agosto 1970; la nascita della così detta «casa editrice più grande del mondo», la Penguin Random House nel 2013, che ha sancito la definitiva estinzione della Penguin come unità indipendente; le caricature satiriche delle casa ad opera di alcuni cartoni animati, come Griffin e Bojack Horseman.
Nel 2015 la Penguin ha festeggiato i suoi ottant’anni inaugurando una nuova collana, la Little Black Classic, ricordando sul proprio sito i già citati primi dieci titoli pubblicati al lancio dell’azienda e la sua timeline storica. Alle celebrazioni pubbliche hanno preso parte ovviamente le grandi testate giornalistiche, come il New York Times Magazine, l’Independent: qualunque giornale ha dedicato almeno una decina di righe all’anniversario della casa editrice che ha cambiato l’editoria, non poteva essere altrimenti. Penguin è oramai diventata parte di una macchina che mette in soggezione l’intero mondo editoriale occidentale. Forse però, anzi quasi sicuramente, molti lettori dei Paesi anglosassoni, quando vedono quel pinguino sulla copertina del libro che tengono in mano, non pensano a questo colosso e al potere che detiene: mi piace pensare che vedendo quel pinguino abbiano la sensazione di essere al sicuro, come se il vecchio Allen Lane fosse seduto lì con loro nella poltrona del salotto a guardarli, impeccabilmente vestito, con un sorriso da bonaccione soddisfatto dipinto in faccia.
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