A Roma sud ci sono due rioni contigui, Ferratella e Laurentino 38, con i toponimi stradali dedicati tutti a scrittori e poeti italiani del ‘900. Ottimo. Ma c’è un difetto. Sono solo nomi di maschietti, da Pavese a Vittorini, da Silone a Campanile, da Brancati a Lampedusa, per citare solo alcune vie principali dei due quartieri.
Ce n’è una sola con un nome femminile, corta ma importante perché fa da trait d’union fra i due rioni. È la via dedicata a Maria Bellonci – la grande signora della letteratura italiana del secolo scorso, di cui ricorrono quest’anno i 120 anni dalla nascita – ed è abbastanza chiaro che scegliendo questo nome si è voluto omaggiare sia la sua grandezza di scrittrice che la sua vocazione di organizzatrice e promotrice culturale. Vediamo perché.
Nata a Roma nel 1902 in una famiglia alto-borghese, compì studi letterari e si scoprì presto vocata alla scrittura creativa. Però nel contempo guardò con precoce attenzione alla divulgazione storica, alla rievocazione biografico-letteraria di età, ambienti e personaggi significativi della civiltà italiana, con una spiccata predilezione per il Rinascimento.
Questi interessi forti e particolari (oggi più diffusi, allora rari) la futura scrittrice poté coltivarli e approfondirli con crescente passione grazie al matrimonio con Goffredo Bellonci, uno dei critici letterari più noti e stimati dell’Italia intellettuale di quegli anni.
Era il 1928, Maria Villavecchia aveva 26 anni, una ventina meno del marito, che diventò per lei il suo mentore (per la formazione) e il suo pigmalione (per le scelte, le realizzazioni) e l’aiutò a coltivare quelli che in fondo erano gusti e interessi comuni della coppia, imperniati sull’amore per l’arte e la letteratura.
Inoltre Goffredo introdusse la moglie nell’ambiente culturale, accademico e giornalistico italiano, facendole conoscere studiosi, editori, direttori di giornali e altri personaggi che l’avrebbero aiutata a dare uno sbocco concreto ai suoi sogni e ai suoi propositi letterari.
Sbocco che si schiuse a partire dal 1939, con la pubblicazione di Lucrezia Borgia. La sua vita e i suoi tempi, per i tipi di Mondadori. Ciò vuol dire che, come Moravia ad esempio con Gli indifferenti, l’opera prima della Bellonci fu subito grande, uno dei suoi lavori migliori, un affresco di personaggio-epoca-ambiente cortese che ha fatto scuola nei decenni.
Sarà stato per l’età in fondo già adulta dell’autrice, 37 anni, e anche per i lunghi anni di studio e preparazione prima dell’ultima scrittura (metodo da lei seguito per quasi tutti i libri), è un fatto che la Lucrezia bellonciana rimane una pietra miliare nella produzione di questa scrittrice ma è pure un testo fondamentale sia della letteratura che degli studi sui Borgia e sul Rinascimento. Un libro da gustare e da cui apprendere, una fonte e uno strumento di piacere e di conoscenza.
Superato solo da Rinascimento privato (Mondadori), apparso quasi 50 anni dopo, nel 1985, e giudicato il capolavoro della Bellonci, dove più si nota la sua creatività, con l’introduzione di personaggi frutto di fantasia eppure fondamentali come l’ecclesiastico Robert de la Pole, con cui Isabella intrattiene un carteggio esemplare nel rendere i tempi e il clima dell’epoca, oltre che l’animo della protagonista. Ma questa arte, questa creatività e direi poesia non ci impediscono affatto di trovarci davanti a una biografia a tutti gli effetti, completa, rigorosa e approfondita. È questo il marchio Bellonci, l’orma profonda lasciata dalla scrittrice, grandissima come narratrice e come biografa.
E tra l’opera prima e il capolavoro? C’è n’è ancora. Altre biografie (Segreti dei Gonzaga, 1947, Mondadori; Milano viscontea, 1956, Edizioni Radio Italiana; Tu vipera gentile, 1972, Mondadori, ancora sui Gonzaga; Marco Polo, ERI, 1982; Mantegna, 2003, Skira) oltre a saggi e pamphlet di vita culturale e letteraria, cose più leggere ma mai con pettegolezzi.
Uno di questi libri, Io e il premio Strega, 1995, Mondadori, ci permette di ricordare ciò per cui Maria Bellonci è famosa pure presso il più vasto pubblico. Nel 1947 nel salotto romano dei Bellonci, dove si riunivano gli Amici della Domenica, accomunati dall’amore per i libri, fu fondato il Premio Strega, il concorso letterario destinato a diventare il più noto e longevo d’Italia.
Maria lo volle fortemente, lo seguì con amore finché visse (è morta nell’86), lo animò, lo sostenne e negli anni seppe anche rinnovarlo con tutto il suo entusiasmo e una esperienza da vendere. Dal ’64 pure da sola, dopo la morte di Goffredo, che le lasciò un vuoto doloroso e incolmabile.
In questa attività, e anche nei suoi frequenti interventi radiofonici e televisivi, Maria Bellonci resta un faro, un modello per tutte le donne italiane, incluse quelle che non scrivono né divorano libri.
La grande cultura e letteratura, incarnata dalla Bellonci in modo storico ed eccelso, non è aristocratica né elitaria. È universale. Specie per la donna in questo caso, considerando i grandi ritratti femminili dei libri ricordati e, soprattutto, il pennello di colei che li ha dipinti.
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