Rebecca libri

Cerchiamo in libreria il meglio del secolo

di Ferruccio Parazzoli
Fonte: «Letture» n. 574, febbraio 2001

Entriamo in un negozio immaginario che abbia tutta la produzione di narrativa e poesia del Novecento. Chiediamo a un esperto di farci da guida nel mostruoso labirinto. Ed ecco, in libertà, le scelte e le esclusioni, a volte un po’ provocatorie.
Fingiamo di entrare insieme in una virtuale libreria che abbia tutta la produzione della narrativa e della poesia del Novecento, e che mi chiedeste consiglio per un’altrettanto virtuale biblioteca. Fingiamo anche che la mostruosa libreria sia suddivisa in due settori: la produzione letteraria fino al 1945, cioè a guerra finita, e quella dal ’45 in poi, fermandoci intorno al ’90, anche perché, spingendoci oltre, la presbiopia del lettore giungerebbe a un livello di nebbia assoluta. Chi avesse fretta guardi soltanto i titoli in neretto.
Il Novecento si apre ( 1901) con due opere entusiasmanti, ognuna in modo diverso: Kim di Kipling e I Buddenbrook di Thomas Mann. La mia preferenza va a Kim. Gide è presente con uno dei suoi migliori romanzi, L’immoralista. Negli anni immediatamente successivi, fino al compimento del primo decennio, andrei a cercarmi Tifone di Conrad, Il richiamo della foresta di London, De profundis di Wilde, Sandokan alla riscossa (con quel che precede o segue) di Salgari, L’uomo che fu giovedì di Chesterton, Martin Eden sempre di London, I quaderni di Malte Laurids Brigge di Rilke, La nostra giovinezza di Péguy, I ragazzi della via Pál di Molnár e Il mio cuore messo a nudo di Baudelaire, che ci ricorda di tornare sui nostri passi per vedere cosa combinano i poeti in questo decennio. È facile: c’è Pascoli con Canti di Castelvecchio e Nuovi poemetti, c’è D’Annunzio con le Laudi, c’è Requiem di Rilke, Canti orfici di Campana. Quanto a omissioni, le due più gravi: Il fu Mattia Pascal di Pirandello (1904) e I turbamenti del giovane Törless di Musil, del quale non recupererò neppure, più tardi, L’uomo senza qualità. Sono stati talmente concelebrati come rappresentanti del ’900 che può bastare.

Dalla “Ricerca” di Proust a “Spoon River” di Masters

Il secondo decennio ci suggerisce, oltre alla Recherche di Proust, specialmente opere di poeti: Alcools di Apollinaire, Poesie di Trakl, la prima serie dei Cantos di Pound, la commovente Antologia di Spoon River di Masters, che da noi giungerà soltanto nell’immediato secondo dopoguerra per merito di Fernanda Pivano; Ungaretti con Il porto sepolto, il primo Eliot, che tornerà nel 1922 con La terra desolata; le opere di tre grandi russi: Achmatova, Lo stormo bianco, I dodici di Blok, Inonija di Esenin. Ma c’è anche un grande romanzo, Figli e amanti di David H. Lawrence, a cui aggiungerei il nostro Boine con Il peccato. Anche in questo decennio alcune grandi omissioni, sempre a gusto strettamente personale: il poeta Saba, il celeberrimo Morte a Venezia di Mann, Tre croci di Tozzi e – lo ammetto, scandalosamente – l’altrettanto celeberrimo La metamorfosi di Kafka, del quale, lo dico qui senza più tornarci sopra, trascurando “castelli” e “processi”, mi bastano gli splendidi Diari.
Arriviamo fino al 1930. Niente Papini, niente Hesse, Svevo, Neruda, Woolf, Lorca, Silone (e manca sempre Pirandello). Abbiamo già dato. Sì, invece: I sette pilastri della saggezza di Thomas E. Lawrence, Ulisse di Joyce; Il bacio al lebbroso e Teresa Desqueyroux di Mauriac, I racconti di Odessa di Babel’, Le mie università di Gor’kij, Nuova York di Dos Passos, Il grande Gatsby di Fitzgerald, Sotto il sole di Satana di Bernanos, Fiesta di Hemingway, L’opera da tre soldi di Brecht (è teatro, ma si può anche leggere), L’urlo e il furore di Faulkner, Gli indifferenti di Moravia, Angelo, guarda il passato di Thomas Wolfe. Per la poesia: Montale, Ossi di seppia. Ma nel decennio s’innalza sopra ogni cosa La montagna incantata di Thomas Mann.

Thomas Mann.

Facciamo un salto fino al ’45. Ancora Mauriac con Groviglio di vipere, ancora Faulkner con il suo capolavoro, Luce d’agosto, Fitzgerald con Tenera è la notte, ma, soprattutto, ancora Bernanos con il Diario di un curato di campagna e I grandi cimiteri sotto la luna. La scena letteraria si affolla di grandi nomi e opere più vicini a noi: Viaggio al termine della notte di Céline, La condizione umana e La speranza di Malraux, I quaranta giorni del Mussa Dagh di Werfel, Tropico del cancro di Henry Miller, E le stelle stanno a guardare di Cronin (sì, anche lui, per favore!), America di Soldati, Via col vento della Mitchell (come
ignorarlo?), Furore di Steinbeck, Il potere e la gloria di Greene, Lo straniero di Camus, Kaputt di Malaparte, Uomini e no di Vittorini (del quale trascuriamo il resto), L’Adalgisa di Gadda, Don Giovanni in Sicilia di Brancati, Ritratto di giovane artista di Dylan Thomas e, naturalmente, le sue poesie. All’appello mancano (tra i moltissimi altri): il mitico de Saint-Exupéry, Pavese, Palazzeschi, Sartre, Buzzati, la de Beauvoir, Orwell, Quasimodo. Pianga chi vuole.

Camus, Gramsci, Moravia, Pavese, Salinger, Hemingway, Beckett

Ultimo salto in libreria e poi andiamo a casa a leggere. Più o meno in ordine di uscita: La peste di Camus, Doktor Faustus di Mann, La romana di Moravia, Sotto il vulcano di Lowry, Cronache di poveri amanti di Pratolini, La pelle di Malaparte, La luna e i falò di Pavese (per rimediare alla sua assenza fino a qui), Casa d’altri di D’Arzo, Salinger, Il giovane Holden, L’arpa d’erba di Capote, Calvino, Il visconte dimezzato (e poco più), Hemingway, Il vecchio e il mare, Malone muore di Beckett, Chandler, Il lungo addio, Pasolini, Ragazzi di vita, Kerouac, Sulla strada; Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Gadda, Il ponte della Ghisolfa di Testori, Il giorno della civetta di Sciascia, Il partigiano Johnny di Fenoglio, La casa delle belle addormentate di Kawabata, Fuoco pallido di Nabokov (no Lolita, per favore), L’autunno del patriarca di García Márquez. Per la poesia: Diario di Algeria di Sereni, L’età dell’ansia di Auden, Canti pisani di Pound, La terra promessa di Ungaretti. E inoltre, né poesia né romanzo: Lettere dal carcere di Gramsci, Attesa di Dio di Simone Weil (1950) e L’uomo in rivolta di Camus. Aggiungerei, ma di corsa: un Tondelli, un racconto di Tabucchi, uno di Parise, uno di Dürrenmatt, un’intervista a Thomas Bernhard.
Questa volta i buchi tra autori e titoli sono davvero tanti, voluti e non voluti. Tra quelli voluti: Il dottor Îivago di Pasternak (in onore al poeta), Genet; Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa, Arcipelago Gulag di Sol·zenicyn, Borges. E qui chiudo. Ma poiché si tratta di semplici consigli di lettura, ciascuno è, naturalmente, padrone di leggere quel che meglio crede.

Fonte: «Letture» n. 574, febbraio 2001
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