La letteratura può molto. Può tenderci la mano quando siamo profondamente depressi, condurci verso gli esseri umani che ci circondano, farci comprendere meglio il mondo e aiutarci a vivere. Non vuole essere un modo per curare lo spirito; tuttavia, come rivelazione del mondo, può anche trasformarci nel profondo. La letteratura ha un ruolo vitale da giocare, ma può ricoprirlo solo se viene presa nell’accezione ampia e pregnante che è prevalsa in Europa fino alla fine del XIX secolo e che oggi è stata messa da parte, mentre sta trionfando una concezione assurdamente ristretta.
Il lettore comune, continuando a cercare nelle opere che legge come dare un senso alla propria vita, ha ragione rispetto a insegnanti, critici e scrittori quando gli dicono che la letteratura parla solo di sé, o che insegna solo a disperare. Se non avesse ragione, la lettura sarebbe condannata a scomparire nel giro di breve tempo.
Come la filosofia e le scienze umane, la letteratura è pensiero e conoscenza del mondo psichico e sociale in cui viviamo. La realtà che la letteratura vuole conoscere è semplicemente l’esperienza umana. Per questo motivo si può affermare che Dante o Cervantes ci insegnano sulla condizione umana quanto i più grandi sociologi o psicologi e che non esiste alcuna incompatibilità tra la prima e la seconda forma di sapere.
Che sia attraverso il monologo poetico o il racconto, la letteratura fa vivere esperienze uniche; la filosofia, invece, ha a che fare con i concetti. L’una preserva la ricchezza e la diversità del vissuto, l’altra favorisce l’astrazione, che le consente di formulare leggi generali. Per questo motivo un testo è più o meno facile da assimilare. L’idiota di Dostoevskij può essere letto e compreso da moltissimi lettori, di epoche e culture assai diverse; un commento filosofico dello stesso romanzo o sulla sua tematica sarebbe accessibile solo a pochi, abituati a frequentare testi simili.
Comunque, per coloro che li comprendono, i discorsi filosofici hanno il vantaggio di enunciare affermazioni inequivocabili, mentre le peripezie vissute dai personaggi del romanzo o le metafore del poeta si prestano a molteplici interpretazioni. Descrivendo un oggetto, un avvenimento, un personaggio, lo scrittore non formula una tesi, ma stimola il lettore a farlo: propone e non impone, lasciandolo così libero e al tempo stesso invitandolo a essere maggiormente partecipe. Con un utilizzo evocativo delle parole, con il ricorso alle storie, agli esempi, ai casi particolari, l’opera letteraria produce un turbamento dei sensi, mette in moto il nostro apparato d’interpretazione simbolica, risveglia le nostre capacità di associazione e provoca un movimento le cui onde d’urto proseguono a lungo dopo l’impatto iniziale. La verità dei poeti o quella degli altri interpreti del mondo non può aspirare allo stesso prestigio di cui gode la scienza, perché, per essere confermata, necessita dell’approvazione di moltissimi esseri umani, di oggi e di domani; in effetti, il consenso pubblico è l’unico mezzo per legittimare il passaggio tra, diciamo, «amo quest’opera» e «quest’opera dice la verità». […]
Dall’epoca dell’illuminismo pensiamo che la vocazione dell’essere umano esiga da lui che impari a pensare autonomamente, invece di accontentarsi delle visioni del mondo già pronte che trova guardandosi intorno. Ma come riuscire nell’intento? Nell’Émile Rousseau descrive questo processo di apprendimento con l’espressione «educazione negativa» e suggerisce di tenere l’adolescente lontano dai libri, al fine di evitargli ogni tentazione di imitare le opinioni altrui. Tuttavia si può pensare diversamente, perché i pregiudizi, soprattutto ai giorni nostri, non hanno certo bisogno di libri per radicarsi in un giovane: basta la televisione!
I libri di cui s’impossessa, in compenso, potrebbero aiutarlo ad abbandonare le false ovvietà e ad aprire la mente. La letteratura ha un ruolo particolare da svolgere a questo proposito: a differenza dei discorsi religiosi, morali o politici, non formula un sistema di precetti; per questo motivo sfugge alle censure che vengono esercitate sulle tesi formulate a chiare lettere. Le verità spiacevoli – per il genere umano al quale apparteniamo o per noi stessi – hanno più opportunità di essere espresse ed essere ascoltate in un testo di letteratura che in un’opera filosofica o scientifica.
In un recente studio il filosofo americano Richard Rorty ha proposto di definire diversamente il contributo che la letteratura fornisce alla nostra comprensione del mondo: afferma che la letteratura rimedia alla nostra ignoranza non meno di quanto ci guarisca dal nostro «egotismo», inteso come illusione di autosufficienza. La lettura dei romanzi, secondo lui, si avvicina non meno di quella delle opere scientifiche, filosofiche o politiche a un’esperienza di tutt’altro genere: quella dell’incontro con altri individui. Conoscere nuovi personaggi è come incontrare volti nuovi, con la differenza che possiamo subito scoprirli dall’interno, osservando ogni azione dal punto di vista del suo autore. Meno questi personaggi sono simili a noi e più ci allargano l’orizzonte, arricchendo così il nostro universo.
Questo allargamento interiore (simile per certi aspetti a quello causato dalla pittura figurativa) non si formula in affermazioni astratte, ed è per questo che ci risulta così difficile da descrivere; rappresenta piuttosto l’inclusione nella nostra coscienza di nuovi modi d’essere accanto a quelli consueti. Un tale apprendimento non muta il contenuto del nostro essere, quanto il contenente stesso: l’apparato percettivo, piuttosto che le cose percepite. I romanzi non ci forniscono una nuova forma di sapere, ma una nuova capacità di comunicare con esseri diversi da noi; da questo punto di vista riguardano la morale, più che la scienza.
L’orizzonte ultimo di tale esperienza non è la verità, ma l’amore, forma suprema del rapporto umano. […] Tutti compiono ciò che in un famoso capitolo della Critica del giudizio Kant considera come un passo obbligato del cammino che conduce verso un senso comune, per meglio dire verso la nostra umanità piena: «pensare mettendosi al posto d’ogni altro».
Pensare e sentire adottando il punto di vista degli altri, esseri umani in carne e ossa o personaggi letterari, è il solo modo per tendere verso l’universalità, permettendoci così di compiere la nostra missione. È per questo che bisogna incoraggiare la lettura con ogni mezzo, compresa quella di libri che il critico di professione considera con una certa condiscendenza, se non addirittura con disprezzo, dai Tre moschettieri a Harry Potter: non solo questi romanzi popolari hanno avvicinato alla lettura milioni di adolescenti, ma hanno anche permesso loro di costruirsi una prima immagine coerente del mondo che, possiamo esserne certi, le letture successive renderanno poco per volta più elaborata.
La letteratura in pericolo | trad. it. Emanuele Lana | Garzanti | 2008 | pp. 96
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