Esiste una letteratura d’élite?
1. Sull’ultima edizione domenicale del Diario Popular di Buenos Aires c’è un’intervista a Mario Lozano, un parrucchiere che lavora da più di trent’anni nel suo salone di calle Sarandí, a pochi metro dal Congresso della Nazione, e oltre a tagliare i capelli suona la chitarra e canta per i suoi clienti. Un riquadro nella parte inferiore della pagina ha come titolo: «Quell’indimenticabile incontro con Borges». Lozano racconta che prendeva lezioni di canto da un’insegnante del teatro Colón. Un giorno, arrivato a casa, mentre aspettava che gli aprissero il portone, ha visto Jorge Luis Borges scendere da un’automobile insieme al suo aiutante. I tre sono entrati nell’edificio e hanno fatto insieme il viaggio in ascensore. Il parrucchiere narra di avergli detto “timidamente”: «Maestro, posso stringerle la mano? La ammiro molto, anche se ammetto di non essere un suo grande lettore». «Sarà che io non ho ancora imparato a scrivere per lei – ha risposto Borges, “con quel suo tono particolare”».
2. Più volte ho sentito utilizzare l’espressione «letteratura d’élite» per indicare alcuni autori che scrivono in modo difficile e che, di conseguenza, producono opere destinate a poche persone. Ciò che più ha attirato la mia attenzione, in molti di quei casi, è che sotto la categoria «d’élite» non si parlasse solo di opere particolarmente difficili, come possono essere quelle di Joyce, Proust, Musil, Perec o Borges, ma anche altre che io non avrei mai pensato di includere in quella categoria. I romanzi di Michel Houellebecq, per fare un esempio qualsiasi.
È vero, ho pensato dopo, che i romanzi di Houellebecq possono presentare alcune difficoltà (tematiche, stilistiche) a chi non è abituato a leggere letteratura. E questo può portare ad abbandonare il tentativo di leggerli dopo poche pagine. Chi è abituato a leggere letteratura invece cerca romanzi e altre opere che prevedano delle piccole sfide tematiche o stilistiche o di qualsiasi altro tipo, come quelli di Houellebecq. A leggere letteratura siamo una minoranza. Allora siamo noi l’élite a cui è rivolta quella «letteratura d’élite»?
3. Diventa quindi necessario definire con esattezza il significato della parola élite. Il dizionario della Real Academia Española recita: «Minoranza scelta o veicolante». Da qui la sua connotazione negativa, dato che le minoranze scelte e veicolanti ricercano solitamente la continuità dello status quo e si oppongono, quindi, agli interessi dei gruppi di maggioranza, che in moltissimi casi si potrebbero chiamare settori popolari o direttamente popolo. Mi chiedo di nuovo: noi lettori siamo un’élite? Detto così suona proprio male, ma credo che, almeno secondo questa definizione, lo siamo. Siamo una minoranza scelta (composta da chi ha avuto la possibilità di leggere, a differenza di milioni di persone che nascono e crescono in condizioni talmente sfavorevoli da non poterlo fare) e veicolante (perché in generale, come gruppo, decidiamo cosa è buono e cosa non lo è).
Tuttavia, c’è una differenza fondamentale rispetto a quanto detto prima: chi legge si oppone agli interessi dei gruppi di maggioranza. Quindi agli interessi dei non lettori. In generale, invece, siamo interessati a promuovere la lettura. Ci piacerebbe tanto che i nostri amici che non leggono leggessero, per poter parlare di libri anche con loro, così che anche loro possano godere delle meraviglie di cui godiamo noi. E non solo i nostri amici. Abbiamo la sensazione – forse irriflessiva, forse troppo ottimista – che se tutti leggessero letteratura, il mondo sarebbe migliore.
Purtroppo non tutti la vedono così. Ci sono persone che gioiscono di far parte di un’élite. Persone come quelle di cui ha parlato Jorge Téllez poco tempo fa proprio su queste pagine, che si sentono moralmente superiori ad altre perché scrivono senza commettere errori di ortografia. Ovviamente questo non ha niente a che vedere con la morale, ma piuttosto con i privilegi o le differenze di classe. Di solito accade qualcosa di simile per il fatto di leggere letteratura. Vale la pena di ricordare l’affermazione di César Aira per cui non c’è niente da rimproverare alla gente che non legge né vuole leggere letteratura. «Sarebbe come rimproverare alla gente di non voler praticare la caccia subacquea» dice.
4. In un certo senso, il Premio Nobel per la Letteratura conferito a Bob Dylan è un nuovo capitolo che si apre in questo dibattito. Da una parte, molti si lamentano perché è assurdo condecorare un cantautore e ironizzano sulla possibilità che uno scrittore vinca il prossimo Grammy. Dall’altra sostengono che i testi di Dylan sono poesia e la decisione dell’Accademia svedese amplia i limiti della letteratura, poiché non premia un autore di opere per lo più sconosciute all’umanità, ma qualcuno di popolare, qualcuno che, da questo punto di vista, ha avvicinato la letteratura alla gente.
Più o meno frequentemente si sentono elogiare frasi estratte da canzoni, come se fossero di grande qualità poetica, quando a me non lo sembrano affatto. In quei casi pensiamo sempre: se questa persona leggesse di più saprebbe che quella frase non è così bella e lo è ancor meno quando viene citata al di fuori della canzone a cui appartiene.
Mettiamo che qualcuno creda che diverse frasi di diverse canzoni abbiano un grande valore poetico, ma che a un certo punto ascolti Bob Dylan e si renda conto che le sue canzoni sono veramente belle e quelle di prima no. E che grazie a Dylan si avvicini alla poesia e poi alla narrativa, e cominci così un percorso che lo porta, dopo tanto o poco tempo, a leggere romanzi come quelli di Michel Houellebecq. Non è che alla fine della storia questa persona legga letteratura d’élite: legge letteratura, letteratura e basta, cosa che prima non faceva.
La letteratura d’élite non esiste, perché che ci piaccia o no, tutta la letteratura lo è. Ci sono, sicuramente, diversi livelli di complessità: nessuno ha dubbi sul fatto che leggere l’Ulisse di Joyce sia più difficile di leggere Cent’anni di solitudine, ma sostenere l’esistenza di una letteratura d’élite è come sostenere l’esistenza di una matematica d’élite o di una medicina d’élite o un’astrofisica d’élite. Criticare Joyce per quant’è difficile leggere i suoi libri è come criticare Einstein per quant’è difficile la teoria della relatività. Chiunque può arrivare a godere di ognuna di queste opere nella misura in cui glielo permettono le sue possibilità o desideri. Ma non ci sono rimproveri morali da fare agli autori.
5. «Mi ha ucciso», dice Mario Lozano per darci l’idea del suo stupore quando Borges, in quell’ascensore, gli ha risposto: «Sarà che io non ho ancora imparato a scrivere per lei». E questa risposta riassume, in qualche modo, la fantasia delle persone che non leggono: che i grandi scrittori che risultano loro inaccessibili, quelli proprio «d’élite», possono imparare a scrivere per loro. A questo è dovuto il successo dei testi apocrifi attribuiti a Borges, a García Márquez, a tanti altri. La verità è proprio il contrario: siamo noi a dover imparare a leggere i grandi scrittori. Se vogliamo, ovviamente. Non c’è nulla da rimproverare a chi non vuole leggere. Probabilmente, al contrario di quello che ci piace credere, il mondo non sarebbe poi così migliore se tutti leggessero letteratura. Ma se leggete, il vostro mondo è migliore rispetto a come sarebbe se non lo fate. E di questo non ho alcun dubbio.
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