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Fra Oriente e Occidente. Intervista a Mathias Énard

di Tiziana Zita

L’intervista è stata rilasciata in occasione della presentazione del libro Parlami di battaglie, di re e di elefanti.

Nel suo primo romanzo, Zona, c’è un uomo su un treno Milano-Roma che porta una valigetta con dei documenti importanti. L’uomo, che è un agente segreto, deve vendere quei documenti a qualcuno vicino al Vaticano. In Parlami di battaglie, di re e di elefanti troviamo Michelangelo che dopo una lite con Papa Giulio II, che si rifiuta di dargli il compenso che hanno stabilito, parte per Costantinopoli per andare a progettare un ponte sul Corno D’Oro. C’è sempre il papato nei suoi romanzi?

Beh il Vaticano è al centro del mondo, almeno del mondo cattolico, ed è in una posizione geograficamente molto centrale nel Mediterraneo, cosa di cui mi sono interessato in Zona. Nella storia di Michelangelo la presenza del Papa è del tutto comprensibile perché Giulio II è il più grande finanziatore di Michelangelo, nonché il più celebre. La relazione fra queste due personalità molto forti che sono Michelangelo e Giulio II, il Papa guerriero, è famosa nella letteratura e nel cinema.

Nel mio libro Giulio II lo vediamo molto poco, solo all’inizio quando Michelangelo litiga con lui per una questione di soldi e torna a casa a Firenze. Siamo nel 1506 e questo è un dato storico. A Firenze riceve un invito e anche questo è attestato dalle fonti, soprattutto da Ascanio Condivi che è il primo biografo di Michelangelo. Condivi potremmo quasi definirlo un “autobiografo” perché scrive la vita di Michelangelo sotto sua dettatura. Lui ci dice che Michelangelo, a Firenze, dopo qualche settimana riceve un invito, portato da dei francescani, da parte del Gran Turco per costruire un ponte sul Corno D’Oro. La fonte storica si ferma qui. Sappiamo che dopo qualche mese Michelangelo va a Bologna, ci resta due anni, si riconcilia con Giulio II e torna a Roma. Quando ho scoperto questa storia mi sono chiesto: ma c’è andato o no a Costantinopoli?

Era la mia seconda domanda…

L’ho chiesto a degli storici specialisti del Rinascimento e mi hanno risposto: “No, no, non c’è andato”. “Se ci fosse andato lo sapremmo”. Allora io mi sono preso la briga di inviare Michelangelo a Costantinopoli per riparare a questa ingiustizia storica. Visto che non aveva avuto la possibilità di andare a Istanbul, ce l’ho inviato io.

In questo romanzo troviamo alcuni dei personaggi più importanti del tempo. Ci sono Giulio II e Michelangelo, che forse è il più grande artista allora vivente, e c’è anche il sultano Bayazid II, che pure era un uomo molto potente. Qui c’è uno scontro fra Oriente e Occidente con in mezzo Michelangelo. Tramite l’artista c’è una competizione anche tra il Papa Giulio II e Bayazid II. Ecco cosa si dice di quest’ultimo: Il sultano aveva nome Bayazid, il secondo, soprannominato il Santo, il Pio, il Giusto. I fiorentini e i veneziani lo chiamavano Baiazeto, i francesi Bajazet. Era un uomo saggio e discreto che regnò per trentun anni; amava il vino, la poesia, la musica; non disdegnava i giovinetti né le giovani donne; apprezzava le scienze e le arti, l’astronomia, l’architettura, i piaceri della guerra, i cavalli veloci e le armi affilate. Non sarà che in questo confronto, il sultano ne esce meglio di Giulio II?

Bisogna sapere che Bayazid e Giulio II sono stati nemici nel senso che si sono fatti la guerra. Vent’anni prima di questa storia c’è stata una spedizione ottomana in Sicilia e le truppe papali sono intervenute direttamente contro gli ottomani. Quindi i due si conoscono. Allora è divertente pensare che Bayazid voglia rubare l’artista preferito del Papa. Questo aggiunge un lato ironico alla storia. Bayazid era un sultano piuttosto indolente. Gli storici parlano soprattutto del suo visir Ali Pascha che era un uomo straordinariamente potente: molto volitivo, interessato alla politica internazionale. Bayazid amava la poesia, ci sono parecchie poesie scritte da lui, ma sul piano politico non era molto attivo. Si interessava soprattutto alle arti, al piacere delle lettere e agli altri piaceri a cui erano dediti i re a quell’epoca. Ci si rende conto dell’importanza di Ali Pascha, che è anche uno dei personaggi del libro, perché quando morirà, domando una ribellione a Est dell’Impero, il regno di Bayazid diventerà molto meno brillante. Visto come funzionava il protocollo dell’epoca, sarebbe stato certamente il Gran Visir e non il sultano in persona, ad incontrare Michelangelo se fosse andato a Istanbul.

Per tornare alla domanda, effettivamente Bayazid vive in una civiltà che è molto più brillante. Roma, con Giulio II, era all’inizio della trasformazione. Era una città piuttosto scura, triste, ancora molto lontana dall’essere la splendida capitale che diventerà cento, duecento anni dopo. In quel momento c’è un po’ la tenebra occidentale e la luce dell’Oriente ed è quello che Michelangelo scoprirà. Anche Istanbul all’epoca è una capitale in piena trasformazione. È la capitale dell’Impero Ottomano solo da una cinquantina d’anni. Gli ottomani stanno costruendo un nuovo palazzo, la grande moschea di Bayazid sta per essere completata, la città non ha esattamente il suo aspetto attuale, ma quasi. Sotto il regno di Bayazid, i quartieri del lato nord vennero presi d’assalto dai rifugiati dell’Andalusia. La politica molto liberale che ha fatto la fortuna degli ottomani ha permesso l’insediamento di cristiani ed ebrei in quei quartieri. In questo modo è stata mantenuta la diversità etnica, culturale e linguistica a Istanbul. Gli ottomani conquistarono la città, si insediarono con i loro soldati, i commercianti e tutta la corte, ma secondo gli storici ci vollero duecento anni prima che Istanbul diventasse una città con una maggioranza turca e musulmana.

Dunque quando Michelangelo ci arriva, questa città è molto affascinante perché è in pieno cambiamento. È una città a maggioranza greca, popolata da bizantini, dai nuovi arrivati ottomani, dove c’è una forte minoranza turca che parla ottomano, ci sono anche degli emigranti dalla Andalusia, quindi arabi, ebrei che parlano arabo e molti mercanti latini, principalmente italiani, ma anche francesi e portoghesi. In questa specie di piccolo mondo che comunica, a volte con difficoltà, c’è un popolo che è molto importante per il funzionamento della città, che sono traduttori e interpreti. I dragomanni sono principalmente dei greci che conoscono la lingua ottomana dei nuovi padroni della città e che sanno anche un po’ di franco. La lingua franca è quella che sta nascendo in quel momento a Istanbul ed è una miscela di greco, italiano, con delle parole francesi e arabe, e con la coniugazione dei verbi all’infinito.

All’inizio del XVI secolo, Michelangelo si ritrova in questa società. Arriva a casa di un mercante fiorentino che è esistito davvero e che ha una specie di caravanserraglio, un bar. È un mercante che importa dalla repubblica di Firenze, principalmente tessuti, pellicce e piccoli oggetti fatti a mano come specchi e gioielli, ma anche qualcosa di chimico come il nitrato per fabbricare la polvere da sparo. Quando Michelangelo arriva in questo piccolo mondo di mercanti fiorentini gli danno un traduttore. Lui viene presentato alla corte ottomana che però mantiene una certa distanza con questo straniero, anche se è stato invitato lì a lavorare per il sultano.

Michelangelo viene accolto dal poeta Mesihi di Pristina che è uno dei suoi traduttori e che è un grande poeta che parla diverse lingue. Malgrado gli vengano messi a disposizione degli accompagnatori per portarlo in giro per la città, lui è un solitario e ci metterà un sacco di tempo ad uscire dalla sua stanza, dove resta tutto il tempo a disegnare. Mesihi è un poeta realmente esistito e quindi un altro personaggio storico importante, che lo accompagna per tutto il suo viaggio in cui scoprirà, da una parte delle meraviglie architettoniche come Santa Sofia, che lo commuove fino alle lacrime, e dall’altra gli aspetti sensuali a cui si lascia andare ma che lo spaventano.

Sono stato molto contento quando ho scoperto che uno dei segretari di Ali Pasha all’epoca era Mesihi di Pristina, uno dei grandi riformatori della poesia ottomana che raggiungerà l’età classica un po’ più tardi con Solimano il Magnifico. Mesihi è un grande artista, calligrafo e pittore. Michelangelo è una delle figure più conosciute della storia dell’arte, la cui opera è gigantesca, che vivrà ottant’anni e morirà ricco e consacrato. Era estremamente sobrio, non beveva, mangiava molto poco, era credente, aveva una sua fede un po’ superstiziosa, ma molto profonda. Invece Mesihi di Pristina era esattamente il contrario ed è morto che non aveva neanche quarant’anni, sconosciuto e dimenticato. Della sua opera oggi restano solo trenta pagine in tutto. Non sappiamo niente della sua vita. Sappiamo che amava la vita dissoluta, il vino, i ragazzi giovani, che era musulmano mentre l’altro era cattolico, insomma, tutto l’opposto.

Malgrado ciò, se Michelangelo fosse andato a Istanbul di sicuro avrebbe incontrato Mesihi di Pristina, visto che era uno dei primi segretari del Gran Visir. Io ho immaginato questo incontro, questa totale fascinazione reciproca pur nella totale incomprensione. Mesihi si innamora perdutamente di un uomo di una forza straordinaria perché Michelangelo aveva una forza nel lavoro incredibile, una durezza inaudita e un gran carisma. A livello fisico era molto comune, ma a sentire tutti i suoi contemporanei, sprigionava un che di straordinario. Per uno come Mesihi che era cresciuto nella raffinatezza della corte ottomana e che scriveva delle poesie, aveva il fascino della diversità, era un extraterrestre. La poesia più famosa di Mesihi è sulla primavera, ma ha scritto anche un testo di una quindicina di pagine che canta il fascino dei ragazzi dell’impero, il fascino degli idraulici di Smirne, dei poliziotti di Istanbul, con le loro qualità e difetti: in quella città tutti i ragazzi sono brutti non bisogna andarci, di là hanno dei bei baffi. Metteva dei dettagli piuttosto divertenti e a volte molto scabrosi. Per qualcuno che era arrivato a questo livello di libertà, il contatto con uno come Michelangelo, che comunque era un immenso artista, doveva essere molto strano. E lo stesso vale per Michelangelo al quale questa società doveva sembrare qualcosa di diabolico: scoprire fino a che punto si amavano le serate in cui si beveva guardando i begli uomini e le belle donne che versavano il vino, inebriandoti della loro bellezza.

Infatti dopo una di queste serate, Michelangelo è convinto di andare all’inferno e di essere messo nello stesso girone di Maometto.

Michelangelo conosceva molto bene Dante e precisamente il famoso passaggio della Divina Commedia dove Dante incrocia Maometto, squarciato dall’alto in basso, nell’ottavo cerchio dell’Inferno. Lui qui se ne ricorda e si dice che Dante aveva ragione e che queste persone sono veramente diaboliche.

Per tornare alla sua fascinazione davanti a Santa Sofia, sappiamo che il Vaticano possiede nella sua biblioteca, nel Codice Barberini, delle belle rappresentazioni di Santa Sofia dell’inizio del XVI secolo, che sicuramente Antonio da San Gallo e Michelangelo hanno visto. E sappiamo tutta l’ammirazione e la sorpresa che ha provocato in Michelangelo scoprire le piante di Santa Sofia. Questo episodio io l’ho solo trasportato sul posto: è Michelangelo che le fa fare a Istanbul per inviarle al Vaticano. Il che è possibile.

Al di là del fatto se tutto questo sia vero o meno, le piante mostrano che all’epoca c’erano delle relazioni tra Istanbul, la corte ottomana e le repubbliche d’Italia e l’Europa in generale. Al tempo, l’impero ottomano era una grande potenza quasi europea. Per esempio Leonardo da Vinci, alla fine della sua vita voleva davvero mettersi al servizio del gran turco. Questo lo sappiamo perché stava imparando il turco. E quando invia il suo progetto per un ponte sul Corno d’Oro, Leonardo era libero di servire un altro principe del tempo, che era il sultano Bayazid, proprio come serviva il re di Francia.

Le categorie che vedono le corti europee, cattoliche, cristiane che si opponevano agli ottomani musulmani non corrispondono affatto alla realtà. È vero che si facevano la guerra, ma alcuni e in particolare Venezia, si erano riconciliati con gli ottomani, allo stesso modo in cui avevano approfittato delle Crociate per appropriarsi di una parte dei possedimenti di Bisanzio. Insomma c’erano persone che sono sempre state tra i due mondi e quelli che avevano questa posizione, anche geografica, avevano in mano le carte per controllare i giochi nel Mediterraneo.

Qui ci viene mostrato un mondo che è molto differente da quella che sarà nel XIX e XX secolo l’immagine dell’Impero Ottomano, quando verrà respinto in un’alterità molto remota. Si poteva essere scioccati perché queste persone erano infedeli ma si sapeva che erano persone valide, che erano molto avanti su certi punti e particolarmente nell’architettura, nella costruzione navale e anche per la brillantezza e la genialità della loro cultura. Dunque anche il mio progetto in partenza era tentare di mostrare fino a che punto le rappresentazioni che si possono avere dell’altro, non solo non valgono a lungo, ma possono essere completamente ribaltate. Ed è quello che succede a Michelangelo nel 1506, quando arriva a Istanbul. È colpito e anche abbagliato da quello che vede.

Nel suo romanzo Michelangelo è in competizione con Leonardo da Vinci che pochi anni prima, nel 1502, aveva disegnato il progetto di un ponte sul Corno d’Oro, però gli ingegneri turchi lo avevano giudicato impossibile da costruire. Invece ora il primo ministro turco ha annunciato che il ponte di Leonardo verrà costruito.

Effettivamente il primo ministro turco Tayyip Erdoğan per un po’ di tempo ha avuto l’intenzione di fare una riproduzione di quello di Leonardo da Vinci, salvo che questo ponte è estremamente difficile da costruire. Ecco perché all’epoca era una vera sfida e perché gli ottomani hanno fatto appello a degli artisti stranieri. Oggi ne esiste una copia per pedoni in Norvegia; è molto più piccolo di come sarebbe quello sul Corno d’Oro. Ora sarebbe possibile realizzarlo ma sarebbe terribilmente costoso e poco pratico, non andrebbe bene per le macchine perché sarebbe troppo grande, perciò alla fine hanno abbandonato l’idea.

In uno degli archivi ottomani dell’epoca c’è lo schizzo di un ponte, un piccolo ponte in un disegnino rinascimentale. È quello che si trova alla fine del libro, che io ho attribuito a Michelangelo e che verrà costruito solo nel XIX secolo. Il Corno d’Oro non è il Bosforo, non separa est e ovest ma nord e sud. È il porto naturale di Bisanzio, la foce di un fiume, una foce molto larga, e il ponte avrebbe dovuto essere lungo 400 metri. C’era già un ponte romano più a monte, al limite della città, e nel XIX secolo venne costruito il famoso ponte di Galata, un ponte in metallo, nello stesso punto in cui c’è quello attuale. Dunque il sogno di Bayazid di far venire un artista, scultore e ingegnere europeo per costruire questo ponte ha dovuto attendere quattrocento anni per realizzarsi. Tra Bayazyd e il XIX secolo non ci sono più progetti per costruire ponti.

In ogni caso, anche se il ponte progettato da Michelangelo fosse stato mai costruito, gli esperti sostengono che non avrebbe avuto tante possibilità di durare a lungo. A parte questo, Bayazid verrà avvelenato dal figlio poco tempo dopo e il suo sogno morirà con lui.

Lei ha vissuto in molti paesi e in diverse città: Beirut, Damasco, Venezia, Roma e ora Barcellona. Che rapporto ha con il viaggio? La sua condizione di nomade è terminata o Barcellona è solo una tappa? Perché non vive in Francia?

A parte scrivere libri io sono professore di arabo e traduttore. Questo spiega perché ho passato parecchio tempo nel mondo arabo, a Damasco e a Beirut, per i miei studi. Ho studiato l’arabo e il persiano all’università. Poi mi sono stabilito a Barcellona un po’ per caso. Questi studi di arabo e persiano li ho fatti in parte a Venezia, alla Ca’ Foscari. Se poi sono tornato a Roma, dove ho scoperto questa storia di Michelangelo, è perché la Francia ha questa sontuosa e magnifica Villa Medici nella quale si ha l’opportunità di fare un soggiorno di un anno, se sei uno scrittore, ma anche un compositore, un cineasta, uno storico dell’arte, un artista. Io ho approfittato della generosità della Repubblica francese per passare un anno a Roma. Del perché non vivo in Francia non ne ho idea. Ci torno molto spesso. Non mi sento affatto in esilio.

Quali sono i suoi scrittori francesi preferiti tra i contemporanei? Chi ci consiglierebbe?

Per esempio amo molto Pierre Senges che si trova in questo momento ospite a Villa Medici e che è uno scrittore assolutamente originale, che ha una prosa magnifica di cui sono geloso.

È tradotto in italiano?

Non ancora ma succederà. Visto che parliamo di cose un po’ dubbie come il viaggio di Michelangelo a Istanbul, Pierre Senges ha scritto un libro che s’intitola La réfutation majeure (la confutazione maggiore) dove si spiega una teoria della cospirazione per cui nel XVI secolo ci avrebbero mentito e l’America non esiste. Tutti i viaggiatori mentono e hanno delle buone ragioni per inventare quella cosa orribile che è l’America. Poi, qualcuno che mi è caro e che apprezzo particolarmente è Pierre Michon. Mi piace molto la persona per la sua tenerezza e delicatezza e anche per la sua “terribilità” e amo i suoi libri, sempre più brevi e sempre più rari. È uno scrittore che esercita una fascinazione quasi mistica su di me. Poi c’è Amin Maalouf che ha scritto alcuni libri assolutamente straordinari e in particolare uno dei suoi primi testi che s’intitola Le Crociate viste dagli arabi, dove traduce dei cronisti arabi che raccontano la loro visione delle Crociate in cui si capovolge completamente il punto di vista. È una storia molto importante.

[Chiede una signora del pubblico] “Per me lei è un narratore. È a causa dell’influenza del mondo arabo, o lei si è interessato al mondo arabo perché è un narratore?”

Poco fa mi chiedevo la stessa cosa a proposito degli ingorghi e dei vigili. È la presenza dei vigili che crea l’ingorgo, o prima si crea l’ingorgo e poi arrivano i vigili? Non lo so. Abbiamo questa immagine delle Mille e una notte, di Sherazade che racconta per non morire, ma io non mi ci identifico molto. Per me nel mondo arabo ci sono tante altre cose e io sono appassionato della poesia araba. A Damasco c’era un caffè dove veniva ancora un cantastorie. Era un caffè dove si beveva tè, caffè, si fumava il narghilè. Questo cantastorie raccontava sempre la stessa storia per dei mesi. La raccontava per tre, quattro ore di seguito. Baybars era un principe mammalucco, dunque turco della dinastia siriana prima dell’arrivo degli ottomani, prima di Tamerlano, e questo mammalucco raccontava del mondo intero, dall’Egitto all’Irak, e il manoscritto delle avventure di Baybars sono una trentina di volumi. Le sue avventure sono interminabili. Io ho assistito due o tre volte a questi racconti di ore che per di più erano fatti in dialetto e poi sono tornato un mese dopo e lui era andato avanti di pochissimo nella storia. Spero che sia ancora vivo e che racconti le sue storie a Damasco.

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