Rebecca libri

Gesù tra i dottori nell’arte. Il suo rapporto con l’ebraismo, i genitori, la missione

di Piero Stefani

Il volume inaugura la collana «Arti e teologia» diretta da N. Valentini, dallo stesso F. Bœspflug, da E. Fogliadini e da G. Agnisola. L’intento dichiarato della collana è di evidenziare la molteplicità di nessi che sussistono tra arti e teologie in una prospettiva plurale ecumenica e interreligiosa; il fine è di far interagire reciprocamente la grande produzione di arte sacra del passato con nuove espressioni artistiche moderne e contemporanee. Ci si propone, in tal modo, di favorire la conoscenza reciproca di diverse esperienze spirituali attraverso il linguaggio simbolico dell’arte inteso sia come vie di bellezza verso l’unità sia come mezzo per la riacquisizione di una estetica della fede al servizio della cultura e della spiritualità del nostro tempo, Bœspflug, teologo, storico dell’arte e delle religioni, docente emerito all’Università di Strasburgo, prosegue con questo suo lavoro una ricerca intrapresa in Gesù fu veramente bambino? L’arte cristiana a processo (2020), Gesù e Giuseppe. Storia di una paternità eccezionale (2022) entrambi editi da Jaca Book. Quest’opera conclude una indagine teologico-iconologica dedicata alla prima parte della vita di Gesù. Lo fa sulla scorta di Luca, l’unico Vangelo che parla della salita al Tempio della famiglia di Nazareth in occasione della Pasqua (Lc 2,41-51). L’approccio proposto dal libro è assai più iconologico-teologico che esegetico. La pericope non viene infatti affrontata intendendola come termine di un percorso narrativo iniziatosi con l’incredulità di Zaccaria nel Tempio (Lc 1,8-22) e concluso dalla non comprensione della missione di Gesù, collocata nello stesso luogo, da parte dei suoi «genitori» (la pericope presenta solo i legami parentali «e sua madre gli disse:  “Figlio, […] tuo padre e io…”» – Lc 2, 48 – senza riportare i nomi di Giuseppe e Maria). I problemi che guidano questo studio, corroborato da una serie molto nutrita di immagini, sono, in sostanza, di natura teologico-culturale. L’indagine affronta questioni legate ai modi nei quali la produzione artistica ha rappresentato un adolescente che prende coscienza della propria identità e vocazione, o si è misurata con il tema, squisitamente teologico, di come «il Verbo di Dio», fattosi uomo, abbia avuto una vera e propria giovinezza nel corso della quale ha dovuto apprendere nozioni e formarsi come persona. Inoltre ci si può chiedere se le immagini raffigurano un Gesù pienamente inserito in un ambiente ebraico o al contrario veicolino messaggi di stampo antigiudaico se non addirittura antisemita (cfr. 10-11). A proposito del contesto ebraico, emerge la questione dell’età di Gesù: dodici anni. Di frequente si solleva il problema se ci sia o meno un rapporto tra la presenza di Gesù trai i Dottori e la cerimonia del bar mitzwah (alla lettera «figlio del precetto»), atto che segna l’ingresso del ragazzo ebreo nella maturità religiosa. Dopo di allora, il giovane ebreo ha infatti l’obbligo di osservare compiutamente la Torah. Nel caso di Gesù, cosa significa l’anticipo di un anno? In realtà, dal punto di vista storico, la questione, in pratica, non si pone. Non soltanto la Bibbia, ma neppure la Mishnah e il Talmud conoscono il rito del bar mitzwah. La più antica letteratura rabbinica stabilisce solo che a tredici anni si diventa religiosamente adulti. Il terzo Vangelo si preoccupa di presentare Gesù che discute con i dottori in maniera, per così dire, rabbinica: «lo trovarono nel tempio, in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte» (Lc 2, 47). Vi furono, dunque, domande e risposte da entrambe le parti. In definitiva, Gesù è presentato da Luca più come un maestro tra i maestri che come un maestro che confuta e umilia altri maestri. In alcune immagini c’è, forse, qualche traccia di questo andamento dialettico, non messo, però, in particolare evidenza dal nostro autore.

Bœspflug si pone la questione di come articolare il vasto materiale iconografico da lui raccolto. Al riguardo elenca quattro modi principali. Il primo è di esaminare i vari supporti impiegati per trattare l’argomento: affreschi, mosaici, tavole dipinte, incisioni, rilievi, sculture, vetrate… Il secondo consiste nel procedere per aree geografiche: Italia, Spagna, Francia, Germania, ecc. La terza opzione, di gran lunga la più consueta, è di seguire la via cronologica: si parte dagli antichi e si giunge ai contemporanei. Un simile approccio avrebbe rischiato di essere, da un lato, ripetitivo e, dall’altro, troppo connesso al presupposto che ci sia stato uno sviluppo dell’arte ininterrotto e unitario. Infine vi è un quarto approccio. Si tratta di quello fatto proprio dal libro, con l’eccezione del quinto capitolo dedicato a Gesù tra i Dottori nell’arte extra europea (131-145), a cui seguono l’Epilogo (147-152) la bibliografia e gli indici. La linea adottata è un percorso basato su una «classificazione iconografica» che passa in rassegna «le diverse apparizioni di Gesù» prima e dopo il suo trovarsi tra i Dottori.

Si tratta di uno sguardo analitico che tiene conto di molti dettagli; per esempio, rileva se, nella scena centrale, Gesù è seduto o in piedi, più in alto o più in basso dei maestri; oppure indaga quale sia la gestualità delle sue mani nei confronti di quella dei Dottori e così via (cfr. 13-14). La scelta iconologica spiega la successione dei capitoli: «La salita della Santa Famiglia a Gerusalemme verso il Tempio e la “perdita” di Gesù» (19-30), «Gesù tra i Dottori, senza i suoi “genitori”» (31-91); «il Ritrovamento di Gesù nel Tempio: quando Maria e Giuseppe entrano in scena» (93-115); «Il ritorno della Santa Famiglia a Nazareth» (117-129). In ogni capitolo sono riprodotte e spiegate opere di epoche diverse, estese dalla tarda antichità al tempo presente.

Di regola, l’analisi parte da un momento descrittivo per sfociare in qualche valutazione interpretativa, di frequente acuta e illuminante. Tuttavia a volte si ha l’impressione che la preziosa abbondanza del materiale abbia indotto a proporre una lettura un pò troppo sbrigativa di determinati dettagli iconologici. Si è accennato alla gestualità delle mani di Gesù. Le raffigurazioni si polarizzano soprattutto lungo due direzioni; la prima, anticipando l’indicazione data dal figlio ai genitori terreni di doversi occupare innanzitutto delle «cose» del Padre suo, mostra Gesù con l’indice rivolto verso l’alto; la seconda (trionfante nel celebre quadro di Dürer, 42-43) rappresenta lo stupefacente ragazzo che enumera gli argomenti del suo discorrere toccando con l’indice della mano destra un dito della sinistra, gesto che lascia chiaramente trasparire che, in seguito, saranno sfiorate anche altre dita. A proposito di una di queste rappresentazioni costituita da un quadro risalente al 1495 (ca.), di un pittore anonimo conosciuto come «Maestro dei Re Cattolici», Bœspflug, da un lato, si limita a indicare che Gesù, come in altri casi, usa le dita per mettere in ordine i propri argomenti, men- tre, dall’altro, evidenzia l’anacronismo, tutt’altro che insolito per le opere di quel periodo, di collocare la scena all’interno di una chiesa gotica (60-61). Si tratta di due osservazioni, ovviamente, entrambe appropriate; ci si potrebbe però chiedere se all’interno di tipologie analoghe non sia opportuno prestare maggiore attenzione (per ricorrere a un’espressione proveniente da altri contesti) alle «variazioni di superficie», vale a dire a dettagli diversificanti che si stagliano su uno sfondo comune. Nel nostro caso ciò è evidenziato dal fatto che uno dei maestri in primo piano (a destra dell’osservatore) compie lo stesso gesto del giovane Gesù che si trova al centro assiso su una specie di cattedra vescovile, mentre il maestro suo dirimpettaio, che ha un libro aperto sulle ginocchia, indica il gesto delle mani del suo collega. Questo gioco a tre, posto al centro del quadro, sembra alludere allo scambio dialettico indicato nel Vangelo di Luca; tuttavia proprio la sua ambientazione anacronistica fa sì che il dipinto, apparso nella Spagna che da circa tre anni aveva conosciuto il gherush (l’espulsione degli ebrei del 1492), sia privo di esplicite risonanze antigiudaiche. Si è in una scuola di una cattedrale. Quella appena indicata è, inutile dirlo, solo una proposta che andrebbe a propria volta discussa. Il suo intento è non di prospettarla come quella giusta, ma di indicare come qui, al pari di tutti gli altri casi, si dischiuda la strada di un’«interpretazione infinita» che si colloca, quanto meno, a due livelli: il primo è la produzione stessa delle opere artistiche, il secondo è la lettura che di esse ne hanno dato e ne danno le varie generazioni di osservatori. Tanto nel capitolo dedicato all’arte extra-europea quanto rispetto ad alcune opere contemporanee, l’autore valuta in maniera molto positiva gli apporti sia dei processi di inculturazione (cfr. Gesù nero che discute con i saggi all’interno di una capanna, 132) sia alcuni esiti, secolarizzanti, in cui il sacro depone la propria aura per giungere a esprimere affetti umani presenti nella nostra quotidianità.

Nel quadro, assai recente (2019) di Jason Jenicke, Ritrovamento di Gesù al Tempio, i tre personaggi, tutti privi di nimbo, sono vestiti in modo antico ma, attraverso il loro reciproco abbraccio, comunicano sentimenti propri di genitori contemporanei che accolgono, con ritrovato affetto, il loro figlio adolescente scappato da casa: «la tradizione pittorica cristiana non aveva mai osato tanto e questo quadro costituisce una rottura con il tipo di restrizione sentimentale che, nella maggior parte dei casi, contraddistingue l’arte religiosa» (120-121). Il libro termina in modo, per certi versi, inatteso. Il testo passa in rassegna un gran numero di opere antiche e contemporanee, ma l’ultima riproduzione attesta invece un andamento capovolto, si tratta di una immagine prodotta a causa della ricerca stessa. Bœspflug, in fase di stesura, il 30 giugno 2022, aveva interpellato una sua amica, l’iconografa bulgara Julia Stankova e le aveva domandato se avesse prodotto qualche opera sull’argomento. La risposta fu negativa. Tuttavia il 21 luglio l’artista inviò una icona dipinta ex novo e stimolata proprio dalla domanda che le era giunta. Nel Bambino Gesù nel Tempio ci sono solo quattro figure, nel lato sinistro dell’osservatore c’è il ragazzo in piedi con il nimbo, le mani congiunte sul petto e con affianco le iniziali greche del suo nome (IC XC), mentre sulla destra ci sono tre maestri accovacciati; il primo si tiene il mento con aria meditativa, il secondo ha il braccio sinistro disteso, mentre la mano è contraddistinta da un indice rivolto verso l’alto; anche il terzo, contraddistinto da un gesto più raccolto, ha l’indice destro rivolto verso l’alto (148-152). L’icona, più che un colloquio con i Dottori su questioni di To- rah, appare, dunque, un’attestazione della divinità di Gesù Cristo.01

 

Recensione è su Gesù tra i dottori nell’arte | François Bœspflug | Pazzini | 2022 | pp. 168 | euro 23,00

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