Rebecca libri

Il nascondiglio della gioia

di Robert Cheaib
Fonte: Tau 2018

Vivere è un mestiere che si impara mentre si esercita. Il mestiere pare spesso un mistero dove si fatica a trovare il bandolo della matassa. Una parabola potrebbe aiutare a vedere il tutto nel frammento. Un racconto può fungere da specchio per rivedere il proprio volto e ridisegnare il proprio cammino. Le quindici parabole commentate in questo libro fungono da bussola nel mare della vita. Sono mappe, per adulti e giovani, per ritrovarsi e trovare la strada verso il nascondiglio della gioia di vivere.

*   *  *

Scrivi un libro per me?

«Papà, quando scriverai un libro per me?». Queste parole di mio figlio Nathan mi lasciarono di stucco. Era appena nato un altro mio libro e gli stavo spiegando che, essendo un libro sulla coppia, l’avevo dedicato alla mamma, Camilla, la nostra principessa.

La richiesta mi colse di sorpresa, soprattutto perché si poneva come se fosse una certezza che il libro lo avrei scritto.

on ero pronto a rispondere, ma la fiducia di mio figlio ha affilato la mia prontezza. Dopo circa un anno, senza saperlo e con creativa spontaneità, nacque in me l’idea di questo libro, proprio come nella parabola del seminatore: «Dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce; come, egli stesso non lo sa» (cf. Mc 4,26-27).

Parabole? Quindi è un libro per bambini?

Non esattamente, anche se le parabole che trovi in queste pagine le ho sperimentate insieme ai miei figli nelle nostre conversazioni serali e hanno suscitato riflessioni profonde e domande da capogiro come quelle che solo i bimbi sanno fare e far fare.

Le parabole qui presenti possono essere raccontate e mediate da un adulto a bimbi a partire dai dieci anni di età. I testi successivi, invece, sono decisamente per persone più grandi. Possono essere lette da giovani in ricerca, come possono fungere da stimolo per gli educatori che vorrebbero accompagnare i giovani con una riflessione a partire dalle parabole proposte. Io le ho pensate come spunto di riflessione per un cammino di formazione personale e di gruppo.

Anche i testi non parabolici sono stati “testati”. Riporto, ad mesempio, il feedback prezioso di un’amica carmelitana, suora di mclausura, a cui ho regalato un assaggio in anteprima dal capitolo miniziale e la quale mi scrisse in risposta: «Mi hai dato la gioia di mun regalo inatteso: davvero grazie! Sono onoratissima di aver potuto leggere la bozza del primo capitolo del tuo libro. Mi ha fatto un gran bene e all’orazione della sera mi sono identificata al pesciolino del racconto, perché anche dopo 25 anni di monastero si può avere il miraggio di un oceano altro dall’Oceano che è in noi. E spuntano le tue “origini” carmelitane…questo racconto andrebbe tanto d’accordo con il pensiero delle due Terese carmelitane».

Se non è un libro per bambini, per chi è questo libro allora?

Pensando all’atmosfera di questo testo, l’analogia che mi ha insistentemente visitato è stata quella di mia nonna che era specializzata nel farci maglie che potevano andarci bene da otto a ottant’anni. Così anche questo testo racconta delle storie e delle parabole che possono far riflettere i giovani, ma che possono anche essere di stimolo per chi è più grande.

D’altronde, è questo il pregio del genere parabolico, tanto amato da Gesù, e da lui usato con insuperabile maestria, per parlare a persone di tutte le età e di tutte le epoche.

Come accennavo poc’anzi, ho personalmente raccontato le parabole contenute in queste pagine ai miei figli. I due grandi di 6 e 8 anni hanno partecipato attivamente. Il mio desiderio è che fra qualche anno possano prendere il testo da soli, leggerlo e riflettere, non solo sulle parabole, ma anche sugli altri contenuti che sono decisamente per persone un po’ più grandi.

Crescere con le parabole

Le parabole fanno riflettere, ci fanno crescere. Ma la cosa più bella delle parabole è che crescono con noi. In questo senso, vi faccio una confidenza. Questo libro è per me una rilettura grata e semplificata di alcuni punti fermi della mia vita spirituale. Punti fermi acquisiti nel tempo, più sovente e più efficacemente con le immagini e con le parabole che con i concetti aridi e astratti.

A essere più preciso, quasi tutte le storie narrate in questo libro sono storie che a mia volta ho sentito durante incontri, omelie, ritiri, soprattutto nel periodo cruciale del mio primo incontro cosciente con Gesù tra i 15 e 19 anni.

Riprendendole, dopo oltre vent’anni, le ho pescate dalla memoria e le ho arricchite con dialoghi, contenuti e finali che reputavo più consoni alla mia attuale sensibilità e al messaggio che desidero trasmettere.

Solo una delle storie – quella di Tarcisio e il crocifisso – è totalmente mia. L’ho scritta per rispondere a una bambina di mnove anni che mi pose questa domanda: «Perché Gesù è morto sulla croce per salvarci? Non poteva salvarci senza morire?».

Due delle storie narrate qui le ho scoperte da adulto: la storia dei gemellini e la storia del fuggiasco.

Le parabole sono state per me delle ostetriche che hanno aiutato la nascita della mia fede all’età di 15 anni. Spero che queste storie siano un nutrimento anche per la tua fede e che dietro ogni storia tu possa intravedere la storia più bella: la tua storia con Gesù.

Come raccontare e incontrare le parabole

Le parabole possono divertire, io spero che queste parabole ti aiutino a convertirti.

Le storie possono intrattenere, io spero che possano sprigionare il tuo canto migliore.

I racconti sono un buon passatempo, io spero che possano aiutarti a cogliere la preziosità del tempo della tua vita.

Ti auguro di leggere queste parabole come processo di guarigione interiore e come risanamento di alcune dinamiche concrete della tua vita quotidiana. Un po’ come la storia di quel rabbi, il cui nonno era stato discepolo del Baalshem. Un giorno gli fu chiesto di raccontare una storia ed egli disse: «Una storia va raccontata in modo che sia essa stessa un aiuto». E raccontò così la storia di suo nonno: «Mio nonno era storpio. Una volta gli chiesero di raccontare una storia del suo maestro. Allora riferì come il santo Baalshem solesse saltellare e danzare mentre pregava. Mio nonno si alzò e raccontò, e il racconto lo trasportò tanto che ebbe bisogno di mostrare saltellando e danzando come facesse il maestro. Da quel momento guarì. Così vanno raccontate le storie».

Prego affinché queste parabole e le riflessioni che seguono non ti riempiano di concetti, ma che ti “in-segnino” (ti segnino dentro) e diventino segnaletica della strada divina che hai nel cuore, quella strada tracciata dal Signore nella tua interiorità. Prego affinché queste parabole siano una mappa per il tuo pellegrinaggio verso il Suo volto.

Forse sei stato abituato a un catechismo di interrogazioni. Permetti a queste parabole e a queste riflessioni di accompagnarti min un viaggio verso interrogativi. Non i miei o di chiunque altro, ma verso i tuoi.

Ti invito a una scalata, non per fuggire da te stesso, ma per trovarti, perché la tua anima è alta, è sublime e più ti elevi più ti trovi.

Cristo, la risposta di Dio, ci viene incontro a forma di domanda. Ci interroga per renderci più autentici. Ci interroga per farci maturare verso la storia che sogna con noi.

L’uomo matura leggendo la propria storia. Per rimanere giovani bisogna rileggere e rieleggere la propria storia. Che queste storie siano un aiuto per la rilettura che vorrai fare della tua storia.

II. L’ARTE DI RICONOSCERE

Credi nella vita dopo il parto?

Nel ventre di una donna incinta un maschietto prese coscienza di sé.

Era buio, quindi non poteva guardarsi attorno, ma a portata di mano aveva proprio la sua mano, quindi iniziò a godersi la appena trovata coscienza ciucciando il proprio dito.

«Chi sei?!», sentì dire all’improvviso da una voce a pochi millimetri dall’orecchio.

«Oh! Mi hai fatto invecchiare di cent’anni!», disse spaventato il maschietto. E mormorò fra sé: «Cominciamo bene!».

Poi si rivolse con tono deciso in direzione della voce: «La prossima volta preannuncia la tua presenza con un po’ di delicatezza. Grazie!».

«Scusami se ti ho spaventato», rispose mortificata la femminuccia, «è che mi ero appena accorta di essere – ed è una grande scoperta!!! – e subito ti ho trovato accanto a me. Non stavo più nella pelle per la gioia di non essere sola». Tacque per un istante, poi continuò dicendo lentamente con un tono che cercava empatia: «Ecco, tutto qui… Mi sono lasciata trascinare un po’ dall’entusiasmo».

«E tu?… Tu chi sei?», ribatté lui, cercando di togliersi dall’imbarazzo che l’aveva invaso perché si era accorto di non essere capace di rispondere alla prima domanda dell’inquilina.

«Io?», chiese sorpresa lei, non avendo la minima idea di come si debba rispondere a questa domanda. Poi, dopo un attimo di riflessione, abbozzò questa risposta: «Credo di essere simile a te e sono felice di averti accanto».

Incoraggiato da questa risposta empatica, il maschietto iniziò a chiedere alla sorella dettagli per capire se erano effettivamente simili.

La sorella era meno preparata del fratello nell’esplorazione dei dettagli. Di indole era più propensa a soffermarsi a gustare l’atmosfera e a conoscere chi ci abita. Prima, infatti, si era soffermata sulla percezione dell’ambiente che la avvolgeva, scoprendo così che accanto a lei c’era proprio lui.

E lì, in quell’istante, fece quest’affermazione: «Sono tanto felice di navigare qua, nutrita e amata da Mamma».

«Mamma?», ribatté lui stranito, «e cos’è questa nuova teoria ora?».

«Non è una teoria. Non la senti?», chiese la sorella sorpresa e poi soggiunse argomentando: «Da dove pensi che venga il nutrimento, l’ambiente caloroso e protettivo in cui navighiamo? Anzi, da dove pensi che noi siamo venuti?».

«Assurdità! Siamo frutto del caso, di un processo di auto-organizzazione delle nostre cellule», rispose il maschietto con un tono goffamente cattedratico.

«Mamma mia, che paroloni!», ironizzò lei.

Fingendo di essere irritato, riprese lui: «E ci risiamo con questa Mamma! Io non credo nella Mamma! Sono fatto così: se non vedo, io non credo! Mamma nessuno l’ha mai vista, ergo, Mamma non esiste. Mi dispiace».

Con un tono malizioso, tipico di chi sa di avere un argomento che l’altro non potrà ribaltare, disse la femminuccia al fratello: «Da quel che so, tu non mi vedi. Non dirmi che per questo non credi neppure alla mia esistenza?!».

«Mmm… Touché!», picchiettando col dito sul labbro. Poi, dopo qualche istante di imbarazzo, si schiarì la voce e riprese: «Ihm… Dunque, tu credi nella Mamma? Spiegati meglio!».

«Sì, io credo nella Mamma. In lei viviamo, ci muoviamo ed esistiamo (cf. At 17,28). La nostra esistenza è prova tangibile della sua. Poi io sento che lei a sua volta ci sente e ci ascolta. Quando ci muoviamo, avverto che si ferma per sentirci meglio e ogni tanto odo la sua voce che canta e qualcosa dentro mi dice che lo fa proprio per noi. Anzi, nei momenti più teneri, sento proprio che con la mano accarezza il nostro mondo».

«L’amica sente le voci! L’amica sente le voci!», canticchiò lui sarcastico.

«Dispettoso», lo interruppe lei. «Non sono voci, è una voce. Anzi, sento il suo respiro e nel respiro il suo desiderio di poterci stringere forte nella nostra nuova vita dopo il parto».

«Vita dopo il parto?», disse lui allungando le parole. «Quante sciocchezze in una sola giornata! Credi pure nella vita dopo il parto?».

La sorella, come se fosse la cosa più evidente, rispose: «Certo che ci credo! Altrimenti, perché mai avere occhi, se qui siamo al buio? Perché avere gambe, se qui lo spazio è troppo stretto per usarle e camminare? Perché avere il naso se qui non ci sono fiori da odorare? E non senti che le nostre voci qua non sono proprio libere? Io, ad esempio, ti sento sempre sott’acqua! Mi auguro che non sia questa la tua vera voce…». Poi concluse il suo intervento dicendo: «La prova di una vita futura è in noi. Ecco la mia conclusione».

«Certo che la fantasia non ti manca! Da quel che io vedo, siamo qua, soli. Sì, lo spazio è stretto, ma dobbiamo abbracciare l’assurdità di quest’esistenza. Naso, occhi, gambe… sono tutti errori di sistema. Eccessi evolutivi. Poi – scusami sai – hai mai visto qualcuno nascere e tornare qui a raccontarcelo? E camminare, eh? Camminare dove? Guarda il cordone ombelicale quanto è corto! Se usciamo da questo luogo, avremo comunque poca autonomia e poca possibilità di manovra. È fuori discussione: la nostra esistenza è iniziata qui, e qui finisce. La nascita è la fine. Punto!».

Il tono del fratello dava l’impressione di uno che volesse ad ogni costo avere ragione. La sorellina non aveva interesse a vincere, ma a incontrare e a ragionare insieme. Allora riprese a dire al fratello con un tono intento a trasmettere la sensazione che sono insieme nella stessa barca: «Ho l’impressione che ti sia un po’ troppo legato alle categorie di questo luogo. Sì, ti confesso, io non ho visto come sarà fuori e quindi la mia mente fatica a immaginare quel che sarà di noi. Ma il mio intuito non può sbagliare. Il mio intuito mi dice che la voce che sento non sono “voci” – e per questo mi devi delle scuse, signorino! – ma la voce di Mamma. Lei ci insegnerà a camminare. Lei ci educherà all’autonomia. Adesso intravediamo come ad occhi chiusi, allora vedremo con occhi spalancati e la conosceremo come siamo conosciuti da lei (cf. 1Cor 13,12). Ecco, per dirtela breve: sono contenta di vivere qua. E ci sto pienamente. Ma sento che c’è una vita più ricca ed ora ci stiamo preparando a viverla».

Non fece in tempo a finire questa frase ed ecco che si sentì una scossa che sembrava quella di un terremoto violento.

La sorella disse al fratello: «Interrompiamo la discussione. Ho paura. Ti prego, stringimi la mano. Ho paura!».

Lui era tentato di punzecchiare: «Profetessa dell’aldilà! Non eri tu che non vedevi l’ora di nascere per vedere Mamma?!». Ma si mangiò le parole. Non solo perché sarebbero state indelicate e inopportune, ma soprattutto perché si era affezionato alla sorellina, nonostante le sue idee… anzi, forse proprio per le sue idee.

L’ironia lasciò lo spazio all’affetto e alla tenerezza. Tacque per qualche istante poi, rassicurante, le strinse la mano e le bisbigliò con infinita tenerezza: «Spero che tu abbia ragione. Sarebbe un peccato se una sorella come te non ci fosse più dopo la nascita!».

«Ti aspetterò», rispose lei commossa e rinfrancata dall’amore del fratello… e fu trascinata fuori.

Gli istanti di lui da solo sembrarono un’eternità. Lo spazio era stretto già prima. Ma ora, senza di lei, era soffocante. Capì che non era bene per lui essere solo (cf. Gen 2,18).

«Perché mi sento così? – si chiese il maschietto – perché?». E iniziò a pensare tra sé: «Se siamo naturalmente prodotti dal caso e destinati al caos del nulla, dovrei sentire questo passaggio come naturale! Perché allora mi sento così? Perché non riesco ad arrendermi al processo di generazione e distruzione naturale delle cose?».

E mentre filosofava e cercava di venire a capo della teoria del tutto, ecco un altro terremoto e anche lui venne risucchiato nel vortice, non del nulla, ma della vita nuova.

Dopo istanti di luce abbagliante e un po’ di freddo iniziale, si trovò lì, sul seno caldo della Mamma… la Mamma!!!

Accanto – e che stupenda sorpresa! – c’era la sorellina. Eccola! La furbetta aveva già imparato a ciucciare latte con la bocca.

Voleva sorriderle. Voleva dirle: «Avevi ragione birichina!». Ma l’emozione era troppo forte. Non riuscì a proferire neppure una parola. Pianse… di gioia…

Dio nessuno l’ha mai visto

Questa parabola apre tanti argomenti, ma soprattutto direi che parli dell’esistenza di Dio.

L’obiezione più evidente e più immediata contro l’esistenza di Dio è quella che dice il fratello riguardo alla Mamma: «La Mamma nessuno l’ha mai vista, ergo, la mamma non esiste».

Ci ricorda un po’ l’affermazione del pesce saccente della parabola del primo capitolo: «Amico, l’oceano è una illusione, concentrati sulla realtà».

Anche «Dio nessuno l’ha mai visto»! E non è l’affermazione di un ateo incallito. È la parola di un uomo che è stato un grande intimo di Dio, un discepolo che ha poggiato la testa sul cuore di Gesù Cristo, il Dio umano. È un’affermazione di san Giovanni l’evangelista (Gv 1,18).

Quello che Giovanni dice rispecchia tutta l’esperienza di Israele che afferma senza eccezioni che «nessun uomo può vedere Dio e rimanere in vita».

Come è possibile dire che Dio esiste se non lo si vede?

Quando una persona del calibro di Mosè ha espresso il desiderio di vedere Dio, Dio ha risposto così: «Ecco un luogo vicino a me. Tu starai sopra la rupe: quando passerà la mia gloria, io ti porrò nella cavità della rupe e ti coprirò con la mano, finché non sarò passato. Poi toglierò la mano e vedrai le mie spalle, ma il mio volto non si può vedere» (Es 33,22-23).

Vedere Dio di spalle. Ecco quello che ci è concesso in questa vita.

Ma cosa significa vedere Dio di spalle?

I significati sono molteplici. Noi ne esploreremo due. Il primo – «Vedere Dio nel mondo» – in questo capitolo. Il secondo – «Vedere Dio nel cuore» – lungo il quarto capitolo.

Vedere Dio nel mondo

Quando per la prima volta lessi una versione di questa storia, mi venne in mente la condivisione di una signora durante un incontro di preghiera. Si stava parlando della scoperta/riscoperta della fede e quella persona disse a tutti: «Io ero lontana dalla fede. Ma quando sono rimasta incinta, sentendo la vita che fioriva in me, ho percepito la grandezza di quello che stava accadendo dentro il mio corpo. Dentro di me stava avvenendo il miracolo della vita. Ho sentito Dio vicino. Da allora è iniziato il mio vero cammino di fede».

Nel mondo ci sono tante meraviglie, quello che ci manca per vederle, e per intravedere in esse il loro Autore, è il senso di meraviglia.

Un poeta arabo – cieco tra l’altro – scrisse una volta un verso che fa riflettere: «Mi meraviglio del medico che diventa ateo dopo aver studiato la dissezione».

La geniale complessità delle creature parla di un genio creatore. Se apriamo gli occhi ai dettagli di cui è fatta la creazione, dai più piccoli ai più grandi, ci invade un senso di meraviglia.

Pensiamo all’occhio, alla sua incredibile “ingegneria”. Lo stesso Darwin, padre della teoria dell’evoluzione, affermò che pensare che l’occhio sia stato formato solo dalla selezione naturale «pare un’assurdità suprema».

L’occhio è un mistero: mistero nella sua inimitabile capacità di focalizzare sulle distanze differenti; mistero nel suo potere di distinguere tra oltre 10 milioni di sfumature di colori; mistero nella facoltà di adeguarsi ad accogliere diverse quantità di luce e nella sua correzione delle aberrazioni cromatiche, ecc.

Guardiamo alla fecondazione delle piante a cui contribuiscono insetti, animali e vento.

Riflettiamo sulla posizione ottimale della terra, sulla sua provvidenziale inclinazione che permette le stagioni, le quali contribuiscono al perpetuarsi della vita.

Pensiamo all’atmosfera che ci permette di vivere e di non essere arrostiti dal Sole o schiacciati continuamente da asteroidi vaganti.

Soffermiamoci a pensare alla quantità d’acqua sulla nostra terra che è di circa 71% di tutta la superficie terrestre. Sembra “spazio sprecato”, invece è grazie all’acqua che la terra non è sottoposta a sbalzi termici che annienterebbero gran parte delle forme di vita, inclusa quella umana.

Una percentuale simile d’acqua è presente nel corpo umano. Grazie a questa percentuale d’acqua, non abbiamo sbalzi fulminanti di temperatura che ci farebbero morire velocemente. Sorella acqua permette anche a noi di avere un senso di meraviglia riguardo all’ingegno che sta dietro alla creazione.

Tutte queste intuizioni, considerate qui con un linguaggio semplice, ma che sono considerate con dettagli ancora più stupefacenti in libri di studio sulle meraviglie della natura, ci portano a intuire il Creatore dietro le creature.

Non molto tempo fa, è morta di cancro la mamma di un’amica dichiaratamente atea. La mamma di questa ragazza era una persona davvero speciale. Aveva soprattutto il dono di far sentire a casa chiunque incontrasse. Al suo funerale, infatti, ci ha sorpreso l’arrivo di diverse persone “marginali” che solitamente pochi considerano. Nei giorni successivi al funerale sentivo forte l’esigenza di dire alla mia amica quello che mi risuonava nel cuore. Ho cercato di trattenermi per non ferire la sua sensibilità. Ma queste parole le sentivo fortissime e intrattenibili: «Ciao G., sai che penso mille volte prima di dire una parola, soprattutto a te… ma è da ieri che sento di dirti questa cosa… ecco, mi sentivo di dirti dal cuore questo: è impossibile che tua mamma, con il suo grande cuore, con la sua capacità di fare amicizia sull’autobus con sconosciuti che vengono a salutarla piangendo dalla commozione, con donne che tutti considerano al massimo “prostitute” mentre lei vi vedeva l’umanità e il bisogno di incontro, di amicizia e di dignità… è impossibile che una persona così possa essere frutto di una materia agglomerata a casaccio … ed è impossibile che una persona così ritorni al nulla».

Non era una prova dell’esistenza di Dio la mia. Ma era un’intuizione, come quella della sorellina perspicace del racconto.

Il mondo, le persone, l’amore… tutto ci parla di una grandezza che ci trascende e ci eleva.

Questo libro non è stato scritto

Se ti dicessi che il libro che hai tra le mani è frutto di una selezione naturale, che la copertina, il titolo, i caratteri – tutto insomma – si sono formati da soli pian piano nel tempo… Cosa penseresti?

Naturalmente aggiungerei: non è nato in un giorno, si è evoluto in tantissimi anni, in millenni. Mi crederesti?

Non penseresti piuttosto che io sia pazzo?

E perché questo libro non potrebbe essere frutto di un’evoluzione?

Semplicemente perché una così lunga sequenza di espressioni significative non potrebbe essere frutto del caso.

Ecco, il libro dell’universo, con tutte le sue meraviglie, è un libro molto più complesso, variegato e intelligente di queste pagine che ti affido.

Non è ragionevole pensare che l’universo si sia formato così, neanche se fosse “eterno”.

Pensa alla Pietà di Michelangelo, alla Primavera di Botticelli, alla grande muraglia della Cina o a qualche altra opera di ingegno umano che ami. Non sarebbe assurdo guardarle e non pensare spontaneamente che un’intelligenza sia stata dietro alla convergenza di così tante linee, sfumature… dietro a così tanta bellezza?

In ogni tua cellula ci sono delle informazioni genetiche che sono pari a un’enorme enciclopedia. Se dire che questo libro che hai tra le mani è frutto del caso è assurdo, è centomila volte più assurdo dire che tu sia frutto del caso, che l’universo sia frutto del caso.

L’esplorazione del DNA ha convinto un incallito ateo combattente del secolo scorso, Anthony Flew, dell’esistenza di Dio. Quando ha scoperto che la sequenza di DNA è pari a uno scritto lungo tre bilioni di lettere non ha potuto che arrendersi all’«evidenza» e cominciare a credere in una intelligenza creatrice. La cosa ancora più stupefacente è che questo codice è presente in ognuna delle nostre cellule. Flew non poteva capacitarsi di pensare che un codice complesso e intelligente così geniale e così dettagliato fosse frutto del caso.

Come queste semplici pagine che hai tra le mani ci fanno intuire che dietro c’è un autore, il mondo ci fa intuire che dietro ad esso c’è un Autore.

Ogni nostra cellula contiene un testo lungo più di 3000 mvolte i Promessi sposi di Manzoni e più di 6000 volte la Divina commedia di Dante.

Ogni cellula della tua esistenza grida il nome di Dio. Fa intuire Dio.

Dico “intuire” Dio, e non parlo di “provare” l’esistenza di Dio, perché sono convinto che Dio non sia deducibile dal mondo.

Che Dio sarebbe, infatti, se fosse un risultato?

Dio non è un risultato, Dio è il fondamento del mondo.

L’autore non è riducibile alla sua opera e non è semplicemente deducibile da essa.

Il pittore non è la sua pittura. Puoi intuire qualcosa su di lui dalle sue opere. Ma l’autore è più grande delle sue opere.

Big bang

Ritorniamo alla storia che ha aperto il capitolo. Riflettendo sull’analogia della gravidanza risulta facile capire che i protagonisti della nostra storia non sono germinati dal caso.

«Dal nulla non viene nulla», diceva un adagio antico. Il fatto che qualcosa c’è, rimanda a un principio creatore. La scienza fisica contemporanea concorda sul fatto che il mondo non è eterno, ma che è avvenuto nel tempo.

Mi dirai: il mondo è nato dal Big Bang!

Benissimo! Anche a me piace questa teoria. E non solo perché è stata avanzata da un bravissimo scienziato che era allo stesso tempo un prete cattolico, Georges Lemaître. Se non mi credi, fai una piccola ricerca di foto online. Vedrai un prete in talare che fa lezioni di scienza all’università.

Non mi dispiace la teoria del Big bang perché in realtà non spegne il nodo della questione: quella materia prima, inimmaginabilmente concentrata, da dove viene?

Gli scienziati vedono che nell’universo c’è il residuo di un’esplosione avvenuta circa 13 miliardi di anni fa. Un tempo inimmaginabile per quanto è lungo, ma è pur sempre tempo. È finito e non eterno e quindi rimane la domanda: da dove viene quella materia prima concentratissima che esplose e di cui nacque l’universo?

Siccome questo libro ha scelto lo stile parabolico, ti lascio con un’altra storia per riflettere insieme.

L’ateo e il monaco

Un ateo, terribilmente polemico, arrivò un giorno nel pacifico eremo del monaco Teoforo.

«Ti dimostrerò che Dio non esiste. Voglio dibattere con te in pubblico, davanti a tutti! Voglio che la gente capisca, una volta per tutte, che Dio non esiste!», così interruppe l’ateo feroce il silenzio orante del monaco che pregava lavorando e lavorava pregando, passando così la sua giornata in un angelico silenzio tra la sua umile cappellina e il suo generoso orto che curava, ma di cui mangiava solo le erbe amare, dando tutto il resto in beneficienza ai poveri del paese. La gratuita aggressività dell’ateo fu assorbita e pacificata dal silente sorriso dell’eremita che guardò l’ateo con una tenerezza materna e paterna al contempo.

Dopo istanti di silenzio, il monaco disse: «Sono un uomo che cerca la pace e non amo la polemica. Ma non voglio dirti di no. Parliamo figliolo».

«No! No! – interruppe duro l’ateo volendo “esorcizzare” la pace che il monaco emanava – ci vediamo domenica! In pubblico! Ci vediamo a mezzogiorno, dopo la messa parrocchiale, cosicché tutti capiscano che hanno appena perso un’altra ora della loro vita dietro al nulla».

«Va bene figlio! A domenica!».

Tornati in città, l’ateo e i suoi assistenti cominciarono da subito a pubblicizzare il dibattito. Arrivato il giorno prefissato, già due ore prima dell’evento, l’ateo prese il suo posto sul pulpito, pronto a sbranare l’avversario con gli argomenti. Mentre aspettava, si mise ad invitare chi entrava in chiesa a fermarsi per assistere allo spettacolo della morte di Dio. Non a una morte e risurrezione, come predica la loro fede. Ma alla sua morte definitiva.

Suonò la campana di mezzogiorno ma del monaco neppure l’ombra. L’ateo sorrise e diventò sempre più sicuro di sé.

Passò un quarto d’ora e gli venne la voglia di fare una battuta: «Che Dio non esiste lo so. Ma adesso inizia anche a venirmi il dubbio sull’esistenza del vostro eremita».

Dopo un altro lungo quarto d’ora, mentre l’ateo si stava apprestando a prendere la parola per tirare le sue conclusioni dall’assenza del monaco, apparve nella distanza in controluce la silhouette di Teoforo che camminava a passo celere per recuperare il ritardo accumulato.

«Eccolo! Quasi quasi pensavo ti fossi ritirato dalla disputa per paura».

«Scusatemi se vi ho fatto attendere», disse Teoforo, aggirando la testa sorridendo con la volontà di salutare tutti i presenti.

«E scusami anche tu figliolo», disse all’ateo avvicinandosi al palco, «ma, venendo, uno spettacolo unico mi ha distratto e ho perso la concezione del tempo».

«Tutte scuse! Cosa mai è successo di così interessante da farti distrarre dal nostro duello?», chiese l’ateo.

«Mi stavo accingendo ad attraversare il fiume ed ecco che davanti a me, in un punto nell’aria, appare improvvisamente dal nulla un seme. Guardo bene ed ecco che il seme inizia a fiorire e non tarda a diventare un albero. Poi ecco che l’albero, con la frizione con l’aria, inizia a tagliarsi i rami e a formare pian piano quello che poi è diventato una bella barca a vela…».

Si fermò un istante e proseguì: «Mi capirai! Davanti a una scena che non capita tutti i giorni, non potevo che perdere la concezione del tempo!».

«Ma sei matto!», rispose l’ateo con gli occhi sgranati. «Un seme dal nulla? Un seme non può venire dal nulla! E poi, una barca a vela che si forma da sé?! Come puoi anche pensare che io possa credere a una storia così?».

Senza scomporsi minimamente, il monaco riprese: «“Un seme non viene dal nulla”. Hai detto benissimo. E tu vuoi farmi credere che, non un minuscolo seme, ma tutto questo universo sia frutto del nulla?».

L’ateo balbettò un «ma… però…», ma non trovava altre parole e il monaco riprese: «Tu non puoi credere a una barca a vela che si forma da sé e vuoi farmi credere che tutto questo complesso e ricco universo si sia auto-generato?».

Poi estrasse dal suo taschino un orologio e, voltandosi verso il popolo, chiese: «Il nostro fratello dice che l’universo è frutto del caso. Noi diciamo che il “caso è cieco”. Ebbene, fratelli, se vi dicessi che questo orologio è stato costruito da un orologiaio cieco, cosa direste?».

«Impossibile», rispose un signore che era in piedi in prossimità del palco.

«Direi che sei matto», replicò un ragazzo, continuando a guardare il monaco in attesa che continuasse la sua riflessione.

«E perché mai diciamo che è impossibile? Perché fratelli? Non è forse per la complessità costruttiva che non può essere frutto di un arrangiamento casuale e cieco? Ebbene, questo universo è molto più complesso e molto più mirabile di un orologio. Dietro a questo universo non c’è un orologiaio cieco, ma un Padre. Un Padre che creò guardando alla creazione e dicendo che è cosa bella e buona. Un Padre che guardò all’uomo e alla donna e disse: è una cosa molto bella. Questo sguardo d’amore è posato su di noi anche oggi. Il Padre ci guarda, guardiamolo anche noi nello specchio della creazione!».

Le parole del monaco illuminarono le intelligenze e riscaldarono i cuori. E mentre il popolo si stava accingendo ad applaudire la fine di un dibattito durato poco, il monaco alzò la mano, non volendo che dall’incontro uscissero vinti o sconfitti, e disse: «Non ci siano vincitori o sconfitti, oggi, ma solo fratelli che riconoscano di essere figli e non orfani».

Disse questo e si guardò intorno e intonò un canto di lode filiale: «I cieli narrano la gloria di Dio, l’opera delle sue mani annuncia il firmamento…».

Inveramento

Abbiamo fatto una passeggiata intensa in questo capitolo. Abbiamo fatto lavorare molto la testa. Gli esercizi che ti propongo alla fine di questo capitolo sono esercizi di presa di coscienza per vivere una bella esperienza di riconoscenza.

Ti invito a pensare alla tua vita. Prenditi un quarto d’ora. Siediti comodo in un posto tranquillo. Chiudi per un attimo gli occhi. Cerca di sentire il battito del tuo cuore.

Non è scontato che il tuo cuore batta… questo è un motivo mdi gratitudine.

Apri gli occhi, guarda la tua mano. Guarda il tuo corpo.

Non è scontato che tu ci sia. Che tu sia qui ora. Lasciati invadere dalla gioia e dalla gratitudine per il dono dell’esistenza.

Ascolta il tuo respiro. È il “corpo” delle tue aspirazioni… quelle aspirazioni di cui parleremo nel prossimo capitolo.

La gioia sgorga dalla coscienza che non siamo frutto del caso, ma frutto di un atto d’amore.

Che la mia vita è guardata, amata e chiamata a una comunione con Colui che mi ha creato per gioire del suo amore per sempre.

La gioia è sapere che nessuno è orfano perché abbiamo tutti un unico Padre.

Prego che questo capitolo ti abbia fatto sentire, come la bimba del racconto, una carezza di Dio sul tuo e sul nostro mondo.

 

Fonte: Tau 2018
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