Il personaggio. Pivot nel paradiso dei libri
Un laicissimo intervistatore, tra i più noti nel panorama letterario internazionale, che ha come sogno di porre domande… al diavolo in persona. Un uomo-brand che confessa candidamente di aver appreso l’arte di interrogare gli altri… sui banchi della confessione, intesa come sacramento della Chiesa cattolica. Un infaticabile questionante che risolve diverse… questioni di vita nel faccia a faccia improvvisato con anonimi interlocutori. Mesdames et monsieurs, voilà: questo è Bernard Pivot, il “re” francese della letteratura in tv, il mago dei libri sul piccolo schermo, colui che dal 1975 al 1990 su Antenne 2 (ma l’idea originaria del suo programma nasce esattamente 40 anni, nel 1974, quando Pivot lascia Le Figaro) ha interrogato per ben 724 puntate premi Nobel e scrittori più comuni nella trasmissione-regina Apostrophes, della quale è appena apparsa in Francia un’antologia in sei dvd (dal 1990 al 2001 Pivot ha poi condotto il più generalista Bouillon de culture). Ma dietro all’istrionico Pivot si può riscontrare un retroterra religioso che lui, laïque à la française, non può non far riaffiorare nella sua autobiografia romanzata Oui, mais quelle est la question? (NiL éditions), da qualche tempo nelle librerie francesi. Sì, perché attraverso l’alter-ego del giornalista Adam Hitch, Pivot racconta la sua infantile infatuazione per l’interrogare altrui. «Malattia», ammette lui stesso, contratta appunto in un confessionale: «La vigilia della mia cresima – avevo allora 13 anni – scoprii per caso la tecnica e il piacere del porre domande. Da quella confessione ne derivai la convinzione che non dovevo più considerarmi soddisfatto di una fede certificata. Dovevo ormai interrogare tutte le certezze». Nel suo libro Pivot poi sparge qui e là altre spie della sua formazione religiosa, lui che nell’intervista concessa a Bertrand Révillon, ora contenuta in Conversations spirituelles (Médiaspaul) rivela di essere stato a scuola dai fratelli del Sacro Cuore nella natia Lione, e di aver ricevuto per anni il premio di miglior studente di catechismo. Non è un caso che Hitch, all’esaminatore della scuola di giornalismo di Parigi (effettivamente frequentata da Pivot), dichiari che il suo sogno professionale è nientemeno che «intervistare il diavolo. Sono sicuro che, visto che egli sa che io sospetto che mi indurrà in errore, lui tenderà a fare il discorso inverso: mi dirà la verità. E penserà di far conto sulla mia ingenuità o sul mio conformismo perché io non gli creda». E sempre in tema di Novissimi, Pivot non teme di ammettere una sua certezza: «Il paradiso è un luogo dove si risponderanno a tutte le nostre domande, l’inferno un cul-de-sac di sofferenza perché non ci saranno risposte. Gli eletti saranno animati da un’inestinguibile fame di conoscenza. Il piacere di apprendere non li lascerà più. Ciascuno potrà scegliere gli ambiti nei quali era rimasto quasi analfabeta. Gli angeli, gli arcangeli, i serafini, i troni e le dominazioni (si noti la conoscenza delle schiere celesti di ambito biblico, ndr) saranno incaricati di dispensare il loro sapere a gli uomini e alle donne ammessi ad entrare poco a poco ai segreti della Creazione e ai disegni di Dio. Il paradiso sarà una gigantesca e gioiosa azione di soddisfazione delle curiosità postume». L’inferno, per contro, esattamente l’opposto: i dannati «soffriranno di null’altro se non l’ignoranza di tutto alla quale saranno eternamente destinati». Si diceva poi della facoltà “feriale” di porre domande da parte di Pivot. È lui stesso che racconta alcuni aneddoti decisamente gustosi: «Durante un viaggio in treno da Parigi a Bordeaux, credo di aver convinto un uomo di rinunciare alla sua decisione di rompere con la donna che amava ancora. Nel corso di un volo tra Parigi e Varsavia, un polacco mi fece ridere con i suoi ricordi riguardante l’apparato del regime comunista di un tempo. Gli consigliai di metterli per iscritto. Due anni dopo, ricevetti il suo libro tradotto in francese». Certo i colpi di Pivot restano celeberrimi: come quella volta che, nel 1983, ormai convinto interiormente di mettere fine alla serie di Apostrophes, ingaggiò un duello a distanza con Régis Debray, il noto intellettuale di sinistra allora consigliere del presidente François Mitterrand. Debray si lamentava del peso sempre crescente di Apostrophes nella vita culturale nazionale. E Pivot, il quale non fece mai professione di credo ideologico comunista, anche quando ciò era un must nella cultura d’Oltralpe, di fronte ad una tale critica decise di andare avanti per altri 7 anni. Nel 1983 Apostrophes intercettava il 12% di share nella seguitissima fascia oraria delle 21.30. Gli altri scoop? L’intervista “clandestina” al premio Nobel per la pace Lech Walesa nel 1987; il dialogo con l’altro Nobel, questo per la letteratura, nel 1975 con Aleksandr Solzenicyn, un’intervista che il regime sovietico fece di tutto, anche con pressioni diplomatiche, affinché non andasse in onda. Insomma, una vita tutta all’insegna di una professione “quasi” di fede che si legge in Oui, mais quelle est la question?: «In principio era il Verbo e il Verbo si è fatto Domanda. Perché la domanda è la vita».
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