In un freddo giovedì di gennaio del 1981, nell’accogliere Marguerite Yourcenar all’Académie française, Jean d’Ormesson pronunziò queste parole: “L’universale in Marguerite Yourcenar non si limita alla società e alla comunità degli uomini. Non è solo orizzontale; è anche verticale: stabilisce un legame di coerenza e di continuità tra la materia inanimata e la trascendenza, passando attraverso il tessuto del mondo, attraverso tutti i gradi della vita, attraverso i vostri cari animali, attraverso i sensi, attraverso il corpo e attraverso l’anima”.
Poche righe ove si riflettono le coordinate prospettiche tra le quali si è posta la scrittrice per osservare il mondo, la natura, se stessa.
È il viaggio eterno della dimensione soggettiva che approda a quella oggettiva attraverso l’intima connessione tra spirito e natura, tra l’io e le cose.
E sono state le parole di Jean d’Ormesson a richiamare alla mia mente – volendo ricordare la scrittrice nel ventennale della morte – dalla sua vastissima opera letteraria (narrativa, saggistica, teatro, libri di memorie, poesie) il prezioso opuscolo I trentatré nomi di Dio.
Sono trentadue poesie e un disegno per dare nome a Dio, evocazioni di momenti e immagini della vita sulla terra.1
Il sottotitolo, Tentativo di un diario senza data e senza pronome personale, scopre la sostanza del rapporto vissuto dall’autrice tra il proprio esistere e l’ambiente, tra il particolare e l’universale, il soggetto e l’oggetto, e segna il percorso dell’universalità dello Spirito quando dalla Natura si sposta all’autocoscienza.
La genesi di questo libretto – pubblicato in Italia con la traduzione di Ginevra Bompiani nel centenario della nascita (2003) – viene narrata, nella nota in calce al testo da Silvia Baron Supervielle, traduttrice di lingua spagnola. Nel 1983 la Baron si trovava nel Maine, invitata dalla Yourcenar per rileggere insieme la traduzione del suo teatro.
“[…] Di mattina, quando il tempo lo permetteva, lei scriveva in giardino, sotto il pino oppure alla sua scrivania o sul tavolo della cucina mentre preparava qualche piatto saporito […] di pomeriggio, in genere, rivedevamo la mia traduzione […] parlavamo di libri e di autori […] rievocava sempre i classici […] quando veniva fuori il nome di un autore contemporaneo, restava in silenzio, o voltava la testa come se volesse eludere l’argomento o se la disgustasse.
Le avevo inviato un libricino di mie poesie, brevi. Un giorno, dopo parecchio tempo, mi disse che le sembravano tristi. Forse era vero, ma ci rimasi male perché la sua risposta non diceva se le erano piaciute. In realtà non speravo in una risposta; quel che mi interessava era tradurla.
Tornai a Parigi con la traduzione del suo teatro approvata e con la consapevolezza che il mio lavoro le era piaciuto. Dopo un po’ di tempo, come faceva spesso, M.Y. Partì di nuovo per un viaggio […] Poi a Barcellona si pubblicò il suo teatro. Nel frattempo mi arrivò un manoscritto dal titolo Les Trente-Trois Noms de Dieu […] lo accompagnava una lettera di Marguerite Yourcenar nella quale mi diceva che pensava che quei brevi testi mi sarebbero piaciuti, visto che erano corti come i miei […] mi suggeriva di tradurli in spagnolo. Subito, prima ancora di aver finito di leggerli, mi ero messa a tradurre i nomi che dava a Dio. Marguerite Yourcenar non ha avuto il tempo di leggere I trentatré nomi di Dio in spagnolo. Il destino non l’ha voluto. Il supplemento de ‘La Nación’ di Buenos Aires pubblicò nel 1987 la mia traduzione in prima pagina, annunciando la sua morte. Dopo, li ho conservati per moltissimi anni, religiosamente, in un cassetto della mia scrivania a Parigi, come fossero stati il suo messaggio di addio […] Fino a che non li ho affidati a Ginevra Bompiani che, traducendoli in italiano, lingua che la scrittrice amava tanto, ci restituisce doppiamente la sua opera.”2
La mano / che entra in / contatto con le cose è quel nome di Dio che fa scoprire la fatalità stessa delle “cose”. E le cose appaiono sempre conformi a un fine, agli occhi di chi intuisce e riflette.
È questo il legame tra spirito e materia, tra soggetto e oggetto.
È questo il mistero, avvertito dalla Yourcenar, che avvolge uomini e cose, io e natura.
Mistero che il “pensiero” da solo, non sarà mai in grado di svelare, mentre la pura intuizione, la poesia ne entra / in contatto.
Basta saper leggere e interpretare la natura per accorgersi che essa “parla” tanto più intelligibilmente quanto meno la si pensa in maniera meramente riflessiva.
La grande lezione delle cose che passano […] e l’anima che assiste immobile al passar delle gioie, delle tristezze e delle morti […]3 sono le espressioni di un sentire aperto e polifonico, di un sentire ampio che abbraccia tutto, un sentire che vede nell’ape, nel volo triangolare / dei cigni, nella fiamma rossa / nel focolare l’impronta dell’assoluto, la firma con il nome di Dio.
Un’osmosi tutta spirituale tra la sua anima e la natura, tra l’Io e le cose, un’apertura costante all’irrazionale che si evidenzia anche in quel “quid” che permea la realtà e che, non conoscendo la barriera dello spazio e del tempo, partecipa a un ordine superiore.
La Yourcenar non ha mai rinnegato le origini cattoliche della sua educazione, anche se si è dichiarata estranea a quel cattolicesimo che si esibisce alla messa delle undici e ha preso, decisa, le distanze dalle tre religioni monoteiste, soprattutto perché in esse c’è la tentazione del fanatismo e tutto l’orrore che ne consegue e che attraversa la storia; è stata una tentazione particolarmente forte, bisogna riconoscerlo, presso i musulmani e cristiani, persuasi di essere i depositari della verità di un unico Dio; ed è infine una tentazione sempre acuta in tutti i settarismi laici di oggi. È sempre pericoloso detenere in esclusiva una verità o un Dio o un’assenza di Dio.4
Affascinata fin da giovane dalla geografia e dalla cultura orientale, amante della ricerca, studiò le varie scuole buddiste e ne restò profondamente attaccata. Non soltanto la compassione [del buddismo] verso ogni essere vivente amplifica le nostre nozioni, sovente strette, di carità, non soltanto, come i presocratici, […] [il buddismo] considera nuovamente l’uomo come essere transitorio in un universo transitorio; ma ancora, come Socrate, ci mette in guardia contro le speculazioni per invitarci, soprattutto, a conoscere meglio noi stessi5 e a vivere valorizzando la semplicità. Ci sono ancora almeno altri due aspetti fondamentali dell’opera di Marguerite Yourcenar che sembrano mutuare e rielaborare principi delle filosofie orientali: da un lato la tensione verso il raggiungimento di un pensiero veramente universale, al di là dei particolarismi culturali, religiosi e storici, dall’altro il tema del superamento dell’ego.
Riguardo al tema del superamento dell’ego, c’è un aneddoto della vita della scrittrice abbastanza illuminante. In una lettera di risposta a Jean d’Ormesson che le chiedeva cosa gradisse in dono per la sua nomina all’Académie française, Marguerite dichiara di non amare i regali, e che l’unico dono che le piacerebbe veramente ricevere è una plurba, una spada rituale tibetana in bronzo o legno, una spada magica, qui sert à tuer le Moi (che serve ad uccidere l’Io).6
Una spiritualità affascinante e un personalissimo modo di porsi di fronte a Dio.
Una religione “libera” da dogmi, individuale, senza chiesa. Una fede naturale che si concretizza nel prodigioso accordo tra il sentimento della trascendenza e quello della natura.
Un fede laica. Una credente nell’universo e nel flusso che trasporta tutte le forme,7 una credente che accetta il fluire di vita e morte, che lascia correr le cose come l’acqua che scorre, una credente nell’umanità armonica, serena, pacificata con la natura.
Solo la vicinanza alla natura può favorire la ri-connessione con la presenza divina che è dentro ognuno e far sentire vicino a Dio, a prescindere da ogni “credo” o religione.
Il suo “credo” (credere dal latino cor-dare: affidare il proprio cuore) le ha permesso di affidarsi, senza riserve, allo Spirito universale che rende possibile lo sviluppo di ogni essere umano, animale, vegetale, minerale.
Una testimonianza di fede che si può realizzare anche nel raccogliere un sasso, accarezzare un cane, piantare un albero o dedicarsi al giardinaggio, guardare il movimento ipnotico delle onde del mare, contemplare le nuvole che in cielo si compongono e si scompongono, aspettare il ritmo delle stagioni, difendere l’acqua, la vita in tutte le sue forme.
Una testimonianza di fede si può concretizzare anche nella decisione di vivere a diretto contatto con la natura, sull’isola di Mount Desert, a “Petite Plaisance” chiamata da tutti i visitatori il paradiso dei volatili.
Sono la fantesca degli uccelli! Esclamò un giorno accogliendo il critico e animatore televisivo Bernard Pivot lungo i vialetti del giardino, intenta a spargere chicchi per gli uccelli.
Di questa favolosa casa, immersa nel verde e cullata dal mare, parla anche Silvia Baron Supervielle: “La casa di legno bianco aveva sulla facciata una veranda appoggiata a travi, e sul retro si apriva un piccolo giardino, orlato da una fila di pioppi, dove scorrevano sentieri e l’acqua di un ruscello nascosto. Di fianco c’era un orto dove crescevano pomodori, erbe di ogni tipo, insalatine e patate. Le verdure si mescolavano con le rose tee, le margherite alte e i fiori silvestri. Sull’altro lato, un grande pino offriva la sua ombra generosa. Ai suoi rami Marguerite Yourcenar appendeva dei cestini che riempiva ogni giorno di sementi per gli uccelli”.8
È il vivere da innamorati della natura e scorgere in tutte le creature Dio, il Signore dell’essere.9
È la straordinaria capacità poetica di concepire l’infinito che la spinge a dare il nome di Dio perfino a L’airone che ha / atteso tutta la / notte, intirizzito / e trova / di che placare la sua / fame all’aurora, oppure al filo d’erba, al sole nascente / sopra un lago /ancora mezzo / ghiacciato, a un cavallo che / corre / libero a un cieco / che canta / e un bambino / invalido.
Fermamente convinta che la natura non è muta, la Yourcenar ascolta e legge è nel canto degli uccelli, nella voce del vento e del tuono, nella luce del lampo è il nome di Dio; capta, attraverso le nove porte / della percezione, messaggi misteriosi e trascendenti.
Sulla tomba, una semplice lastra di ardesia ha voluto che fosse inciso:
Piaccia a Colui che È – forse –
di adeguare il cuore umano,
alla dimensione di tutta la vita
riponendo nel forse le mai sopite perplessità e affidando a Dio l’ultimo suggello.
Il testo è tratto dal capitolo “Fede” nel volume Le belle parole (Scrittura Creativa 2013). La proprietà intellettuale è da ricondursi alla fonte specificata in testa alla pagina.
1 Marguerite Yourcenar, I trentatré nomi di Dio, trad. di Ginevra Bompiani, nota di Silvia Baron Supervielle, Nottetempo 2003. Una raccolta di poesie brevissime, a volte anche di una sola parola, pubblicate sulla Nouvelle Revue Française, Gallimard 1987, una delle ultime cose che la Yourcenar scrisse prima di morire.
2 Ivi.
3 Marguerite Yourcenar, Il tempo, grande scultore, trad. di Giuseppe Guglielmi, Einaudi 1994.
4 Marguerite Yourcenar, Ad occhi aperti. Conversazioni con Matthieu Galey, trad. di Laura Guarino, Bompiani 1999.
5 Ivi.
6 Tiziana Colusso, “Omaggio a Marguerite Yourcenar”, in Buddismo e società, n. 102, nov.-dic. 2003.
7 Yourcenar, Ad occhi aperti, op. cit.
8 Yourcenar, I trentatré nomi di Dio, op. cit.
9 Friedrich Schelling, Le arti figurative e la natura, Aesthetica Edizioni 2003.
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