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La tregua di Natale (Lindau, 2019)

di A cura di Alberto Del Bono
Fonte: Rebeccalibri

«Mentre osservavo il campo ancora sognante, i miei occhi hanno colto un bagliore nell’oscurità. A quell’ora della notte una luce nella trincea nemica è una cosa così rara che ho passato la voce. Non avevo ancora finito che lungo tutta la linea tedesca è sbocciata una luce dopo l’altra. Subito dopo, vicino alle nostre buche, così vicino da farmi stringere forte il fucile, ho sentito una voce. Non si poteva confondere quell’accento, con il suo timbro roco. Ho teso le orecchie, rimanendo in ascolto, ed ecco arrivare lungo tutta la nostra linea un saluto mai sentito in questa guerra: Soldato inglese, soldato inglese, buon Natale! Buon Natale!.»
Fronte occidentale, vigilia di Natale 1914: senza che nulla sia stato concordato, i soldati degli opposti schieramenti cessano il fuoco. Si accendono candele, si cantano inni di Natale. Comincia un botta e risposta di auguri gridati da parte a parte, fino a che qualcuno si spinge fuori dalla propria trincea per incontrare il nemico e stringergli la mano. La «tregua di Natale» fu un atto straordinario e coraggioso che partì da semplici soldati mossi da sentimenti di profonda umanità e fratellanza.
Rileggere oggi, a distanza di cento anni, le lettere spedite dal fronte che raccontano quel gesto di spontanea e generosa insubordinazione ci commuove e ci interroga: è davvero impossibile costruire un mondo pacifico e solidale?

 

*   *   *

 

LA LETTERA DEL SOLDATO HEATH
Questa lettera, pubblicata venerdì 9 gennaio 1915 dal «North Mail», trovata e trascritta da Marian Robson, merita un posto di rilevo nell’intera raccolta per la bellezza dello stile nel quale è stata scritta.

La tregua di Natale
Una politica di pudding alle prugne che avrebbe potuto porre fine
alla guerra. Scritta in trincea dal soldato Frederick W. Heath.

La notte è scesa presto, le sagome dei fantasmi che infestano le trincee sono tornate a farci compagnia mentre imbracciavamo le armi. Una pallida luna illuminava appena i mucchi di terra delle trincee tedesche, simili a tombe, a 200 iarde di distanza. I fuochi erano spenti nelle linee inglesi, e solo lo sguazzare di stivali fradici sul terreno fangoso, gli ordini sussurrati degli ufficiali e dei graduati e il lamento del vento rompevano il silenzio della notte. La vigilia di Natale dei soldati era arrivata, alla fine, ma non era il momento o il luogo adatto per essere grati di qualcosa.

Lo scrigno dei ricordi ci ha trascinati in un incanto di malinconico silenzio. Da qualche parte, in Inghilterra, c’erano camini accesi in stanze confortevoli. Nel mio sogno sentivo le risate e le mille melodie del ritrovo della cena di Natale. Col mantello appesantito dal fango, le mani spaccate e piagate dal freddo, stavo in piedi contro il bordo della trincea, e attraverso uno spiraglio lanciavo sguardi stanchi alle trincee tedesche. Pensieri furibondi mi affollavano la mente; ma non c’era un ordine, non un filo conduttore. Pensieri d’infanzia e casa, di come erano stati tutti gli anni che mi avevano portato a questo. Mi sono chiesto come potevo essere finito in una trincea umida, infelice, quando avrei potuto essere in Inghilterra, al caldo e soddisfatto. La domanda, nata spontanea, ha trovato una risposta. Forse che non ci sono un gran numero di case in Inghilterra, e non ci deve essere qualcuno che le curi e le protegga? Ho pensato a una villa devastata a [censura] e sono stato felice di essere in trincea. Quella villa era stata la casa di qualcuno.

Mentre osservavo il campo ancora sognante, i miei occhi hanno colto un bagliore nell’oscurità. A quell’ora della notte una luce nella trincea nemica è una cosa così rara che ho passato la voce. Non avevo ancora finito che lungo tutta la linea tedesca è sbocciata una luce dopo l’altra. Subito dopo, vicino alle nostre buche, così vicino da farmi stringere forte il fucile, ho sentito una voce. Non si poteva confondere quell’accento, con il suo timbro roco. Ho teso le orecchie, rimanendo in ascolto, ed ecco arrivare lungo tutta la nostra linea un saluto mai sentito in questa guerra: «Soldato inglese, soldato inglese, buon Natale! Buon Natale!».

Un amichevole invito

Dopo gli auguri quelle voci profonde sono esplose in un invito: «Venite fuori, soldati inglesi, venite qui da noi!». Per un po’ siamo rimasti diffidenti, senza neanche rispondere. Gli ufficiali, temendo un agguato, hanno ordinato agli uomini di restare in silenzio. Ma ormai su e giù per la linea si udivano i soldati rispondere agli auguri del nemico. Come potevamo resistere dall’augurarci buon Natale, anche se subito dopo ci saremmo di nuovo saltati alla gola? Così è cominciato un fitto dialogo con i tedeschi, le mani sempre pronte sui fucili. Sangue e pace, odio e fratellanza: il più strano paradosso della guerra. La notte si vestiva d’alba – una notte allietata dai canti dei tedeschi, dal cinguettio degli ottavini e risate e canti di Natale dalle nostre linee. Non è stato sparato un colpo, eccetto giù alla nostra destra, dov’era al lavoro l’artiglieria francese.

L’alba è arrivata a tingere il cielo di grigio e di rosa. Alle prime luci abbiamo visto i nostri nemici vagare senza sosta sul ciglio delle loro trincee. Questo, invero, era il coraggio; non cercare la protezione del rifugio ma offrirci a testa alta l’occasione di far fuoco, certi di non mancare il bersaglio. Abbiamo fatto fuoco? No di certo! Ci siamo alzati in piedi gridando benedizioni a quei tedeschi. Poi ecco la proposta di uscire dalle trincee per incontrarsi a mezza via. Ancora circospetti, ci tenevamo a distanza. Loro no. Correvano avanti in piccoli gruppi, con le mani alzate sopra la testa, e ci chiedevano di fare lo stesso. Non si poteva resistere per molto a un tale appello – e poi, il coraggio non era forse stato dimostrato da una sola parte fino a quel momento? Saltando sul parapetto, alcuni di noi hanno avanzato per incrociare i tedeschi. Le mani, libere, si sono allacciate in una stretta d’amicizia. Il Natale aveva trasformato in amici gli acerrimi nemici.

Il regalo più bello

Non c’era più smania di uccidere, ma solo il desiderio di un pugno di semplici soldati (e nessuno è tanto semplice quanto un soldato) che nel giorno di Natale, a ogni costo, si arrivasse a un cessate il fuoco. Ci siamo passati sigarette e scambiati una quantità di piccoli oggetti. Abbiamo scritto i nostri nomi e indirizzi sulle cartoline di servizio, per poi scambiarle con quelle dei tedeschi. Abbiamo strappato i bottoni delle nostre giubbe e avuto in cambio quelli dell’armata imperiale tedesca. Ma il regalo più bello è stato il pudding di Natale. Al sol vederlo gli occhi dei tedeschi si sono spalancati in bramosa meraviglia, e dopo il primo morso erano nostri amici per la vita. Se avessimo avuto abbastanza pudding di Natale, ogni tedesco nelle trincee di fonte a noi si sarebbe arreso.

Siamo rimasti a parlare per un po’, anche se aleggiava un’aria di sospettosa tensione che ha quasi rovinato questa tregua di Natale. Non potevamo dimenticare di essere nemici, anche se ci eravamo stretti la mano. Non volevamo avvicinarci troppo alle loro trincee per timore di vedere troppo, e i tedeschi non potevano oltrepassare le barriere di filo spinato che proteggevano le nostre. Dopo aver conversato siamo ritornati alle rispettive trincee per colazione.

Durante tutto il giorno non è stato sparato un colpo, non facevamo altro che parlare e fare confessioni che, forse, erano più vere in quel momento speciale che nei normali momenti della guerra. Non so dire per quanto questa tregua si sia estesa lungo le linee, ma so che quanto ho scritto è avvenuto tra i [censura] per gli inglesi, e la 158a Brigata Tedesca, composta dai Westfalians.

Mentre finisco questa breve descrizione un po’ alla buona di un così incredibile comportamento umano, stiamo riversando fuoco battente sulle trincee tedesche, e loro con pari vigore ci ricambiano la cortesia. Sopra la nostra testa stridono nell’aria i devastanti colpi dell’artiglieria nemica. Così siamo tornati, ancora una volta, in questo inferno di fuoco.

Fonte: Rebeccalibri
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