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Laicità e pluralismo religioso (Pazzini, 2013)

di Pazzini
Fonte: Pazzini, 2013

I. LAICITà E PLURALISMO RELIGIOSO

A riportare al centro del dibattito politico, filosofico e giuridico il tema della laicità ha fortemente contribuito l’irrompere di un inedito pluralismo religioso all’interno delle società democratiche occidentali. Il fatto ha rimesso in discussione l’opinione consolidata e diffusa secondo cui l’età moderna avrebbe determinato il declino progressivo e irreversibile della religione nella sfera pubblica e nella coscienza delle persone. Un’opinione alimentata da storici e da analisti sociali che hanno fatto propria “la teoria della secolarizzazione”: il “disincanto del mondo” (Weber) è stato inestricabilmente connesso allo sviluppo di scienza e tecnica e della modernità in generale.
Movimenti di risveglio religioso su scala mondiale (in area musulmana o all’interno del mondo protestante evangelico con l’emergere di un impetuoso neopentecostalismo) contraddicono quella che sembrava una tesi definitivamente acclarata, così come la contraddice la situazione degli Stati Uniti d’America, una società immersa nella modernità e produttrice a sua volta di modernità che vede aumentare il numero dei partecipanti alle attività dei vari gruppi confessionali e l’influenza della religione nell’ambito della politica1.

Stato democratico e libertà religiosa

La novità sta nell’irruzione di soggetti sociali che presentano “un’identità forte, legittimata anche dalla religione, facilitando così l’esplodere di situazioni conflittuali […] L’Islam è interessante perché ripropone con forza l’importanza del quadro giuridico entro cui si colloca il pluralismo con le sue peculiari dinamiche”2. La discussione sui simboli religiosi nella società europea, esplosa dapprima in Francia – il paese più multiculturale d’Europa – è solo un aspetto di una più ampia questione: la ricerca di nuove forme di legittimazione politica e sociale dello Stato democratico. È nata così la controversia
sulla possibilità di una religione civile, sull’individuazione di un fondamento etico e non rivelato della convivenza; sulla necessità di garantire uno spazio pubblico ove dibattere argomenti di rilevanza collettiva, come vorrebbe Jürgen Habermas, per controbattere il teorema secondo cui “solo la direzione religiosa verso un punto di riferimento trascendente può ancora salvare da un vicolo cieco una modernità pentita”3.
Uno stato democratico che abbia rinunciato a farsi portatore di un autonomo progetto etico e tenda invece a legittimarsi come custode della libertà di tutti; che si ponga come custode delle regole nel confronto tra differenti e talvolta contrastanti ideali religiosi, culturali e politici si trova impegnato dalla situazione descritta in termini di paradosso dal costituzionalista e filosofo del diritto Ernst-Wolfgang Böckenförde: “Lo stato liberale secolarizzato vive di presupposti che non può garantire”4. Una formula fortunata, elevata ormai a Diktum, utilizzata spesso non solo “per denunciare i limiti strutturali dello Stato liberale che in tema di valori deve attingere a fonti prepolitiche”, ma anche, deformandola, per affermare “che i valori possono essere garantiti esclusivamente da fonti religiose”5. Lo Stato insomma avrebbe urgente bisogno di alimentarsi dell’ethos dei suoi cittadini, soprattutto dell’ethos “strutturalmente condizionato dalle Chiese e dalle comunità religiose”, contro l’eventualità che esso si disgreghi travolto dall’espandersi dell’individualismo di massa.
La formula di Böckenförde è stata oggetto di analisi da parte di Jürgen Habermas: le ha contrapposto l’affermazione che, almeno in prima battuta, la costituzione dello Stato liberale è in grado di sostenere
il suo urgente bisogno di legittimazione “a partire dalla consistenza cognitiva di risorse argomentative che risultano indipendenti da tradizioni religiose e metafisiche”6, mentre Joseph Ratzinger, in dialogo con lo stesso Habermas alla Katholische Akademie di Bayern, ha ripreso il tema di Böckenförde nel rilevare la fragilità delle democrazie liberali che non si appoggiano su qualcosa di irrinunciabile e non rintracciabile in campo politico. Una ragione interamente emancipata dalle grandi tradizioni religiose corre il rischio di gravi patologie e di minacciose derive, deve perciò liberarsi dall’abbaglio epocale che la porta a ritenere la religione come radicalmente incapace di parlare all’uomo della modernità avanzata, “in quanto contraddice la sua idea umanistica di ragione, illuminismo e libertà”7.
La posizione di Böckenförde merita una sintetica ripresa interpretativa, perché il dibattito attuale su laicità e pluralismo ne rappresenta, per certi aspetti, uno sviluppo e non il suo superamento. Il paradosso dello Stato, più volte richiamato a conclusione di una complessa ermeneutica della sua progressiva secolarizzazione (il termine in lingua tedesca è sinonimo di laicizzazione), vale a dire della sua sempre più accentuata neutralità nei confronti delle diverse verità religiose, è il frutto della risposta eminentemente politica di governanti e di pensatori alle sanguinose guerre di religione che
hanno sconvolto l’Europa del XVI e XVII secolo8.
Si è cercata una base universalistica all’ordine politico, “al di là e indipendentemente da una religione e da una religione precisa”, enunciabile in cifra nei termini pronunciati nel 1562 da Michel de l’Hôpital, cancelliere del re di Francia, per il quale “non conta quale sia la vera religione, ma come si possa vivere insieme”9, anticipando in tal modo un assunto del tutto moderno, “duro da accettare e difficile da articolare”, per il quale nella questione politica la verità religiosa non deve mai entrare. Nella Francia del tempo si fa strada un concetto di ordine politico meramente formale: la politica, autonoma dalla religione, ha il compito di mantenere l’unità del paese attraverso il rispetto di una legge suprema (la volontà del re) che si pone come istanza neutrale, al di sopra delle diverse posizioni politico-religiose e dei singoli cittadini. La verità religiosa è lasciata alla libertà della coscienza, perché il re decide soltanto della pace sociale10.
Questa logica ha trovato una più solida teorizzazione nell’opera di Hobbes e un ulteriore svolgimento nella realtà statuale della Rivoluzione Francese. Hobbes fonda lo Stato “come unità di decisione sovrana” con un orientamento decisamente secolare, in quanto potere supremo che è garanzia di pace e di sicurezza esterna, condicio sine qua non per la conservazione della vita civile (dopo l’uscita dallo stato di natura) e per soddisfare i bisogni dei cittadini. Si tratta di finalità decisamente secolari, interamente indipendenti dalla religione, argomentate con una ragione “posta su se stessa, individualistica e finalistica”, ormai sciolta dai tradizionali riferimenti onto-teologici e non più orientata ad un ordine universale degli scopi. Senza che questo comporti – almeno nelle intenzioni di Hobbes – un ateismo dichiarato, semmai spinge a dimostrare (e Hobbes si incarica del compito nel De Cive e nel Leviathan) che non vi è contraddizione tra i contenuti fondamentali del Vangelo e la costruzione di uno Stato dai caratteri meramente temporali e utilitaristici, interventista anche nelle questioni religiose qualora sia in gioco il benessere dei cittadini, pur restando ferma la libertà di fede come atto interiore e privato e non come pubblica professione, che per Hobbes resta quella cristiana11.
Con la Rivoluzione Francese si completa la costruzione dello Stato moderno che si configura come “organizzazione politica del dominio, finalizzata ad assicurare i diritti e le libertà naturali e prestatuali del singolo”12, dell’uomo in quanto uomo come essere profano, emancipato da una destinazione necessariamente segnata dalla religione. Salvaguardata che sia la libertà di fede, la religione come fenomeno istituzionalizzato viene rinviata alla società e non è più parte integrante dell’ordinamento dello Stato in quanto tale.
Il porsi come altro da parte dello Stato – osservava criticamente Marx13 – permette egualmente alla religione di essere “fresca e vitale”; la sua esistenza infatti “non è contraddittoria con la piena realizzazione dello Stato”, il quale persegue una “sostanza dell’universale” in obiettivi e interessi comuni, di natura schiettamente secolare. La libertà religiosa, in quanto diritto di libertà (come diritto anche di non professare alcuna religione) si fa semmai misura della laicità dello Stato. Nella garanzia della libertà religiosa è implicita l’emancipazione dello Stato dalla religione.
L’inserimento della libertà di fede e di religione nelle costituzioni degli Stati democratici moderni è il compimento del processo di separazione della politica dalla religione che presenta due decisivi guadagni: “la liberazione dello Stato dalle pretese dei poteri religiosi di discriminare i cittadini sulla base del loro credo […], la liberazione della coscienza religiosa dall’ingerenza del potere pubblico”14.
L’evolversi di questa situazione, non senza erramenti e ritorni all’indietro, ha visto nascere la domanda sulla forza portante – al posto della religione non più vincolante – di una rinnovata omogeneità e di energie capaci di regolare la libertà di cui lo Stato moderno ha bisogno. Con le parole di Böckenförde: “sino a che punto i popoli riuniti in uno Stato possono vivere unicamente della garanzia della libertà individuale, senza un vincolo che li unifichi e che preceda questa libertà?”15 Lo Stato secolarizzato vive di presupposti che non può garantire dal momento che può essere “Stato libero” solo se assicura una libertà regolata “dalla sostanza dell’individuo e dall’omogeneità della società” ed esclude a questo fine mezzi di coercizione, rifiutando la pretesa totalizzante dalla quale si era liberato durante le guerre civili di religione. Rischio permanente, mai definitivamente esorcizzato per Böckenförde, che ha fatto memoria critica di quanto accaduto alla Repubblica di Weimar, delle ragioni di una crisi sfociata nell’affermazione del Terzo Reich.
Una fondazione per via politica dei valori, alla base dell’agire dei cittadini, si presta sempre a deviazioni “dovute all’arbitrio di giudizi soggettivi e contingenti”, mentre la fede religiosa dei cittadini può trasmettere forze interne obbliganti, tali da rendere vitale lo Stato, a patto che si abbandoni nei suoi confronti qualsiasi atteggiamento di estraneità e di diffidenza e lo si veda come “un’occasione di libertà, la cui conservazione e realizzazione è compito [anche] dei credenti”16. Non per ragioni di opportunismo dal momento che il principio politico che ha guidato alla formazione dello Stato moderno (la libertà religiosa) è un contenuto della rivelazione cristiana e come tale va recuperato e difeso. La forma del cristianesimo, la sua efficacia e la sua realizzazione dipendono dall’abbandono delle forme sacrali, in conseguenza del ruolo assunto nella società come cultus pubblicus, come religione di Stato, e dall’orientare gli uomini positivamente verso l’ordinamento temporale del mondo determinato dalla ragione, nella consapevolezza piena della loro inalienabile libertà17.
è necessario che la Chiesa e i cristiani si facciano difensori dell’universale libertà e della religione in primis, a partire, per Böckenförde, dalla rivoluzione copernicana apportata dal Concilio Vaticano II con la dichiarazione Dignitatis Humanae, per la quale la libertà religiosa è un diritto inalienabile, “esterno all’ambito della legittimazione ecclesiale”, in forza di un duplice principio: “[che] la libertà è elemento costitutivo della natura umana e [che], nello stesso tempo, è inerente all’atto di fede stesso” e pertanto è inerente alla verità stessa del cristianesimo18. “L’atto di fede – sta scritto nella Dichiarazione sulla libertà religiosa, Dignitatis Humanae, II, 10 – è per sua stessa natura un atto libero, giacché gli esseri umani non possono aderire a Dio che ad essi si rivela, se il Padre non li trae” […]. È quindi pienamente rispondente alla natura della fede che in materia religiosa si escluda ogni forma di coercizione da parte degli esseri umani”. Anche se il dettato conciliare nella radicazione definitiva della libertà religiosa non giunge a spiegare il perché il dato rivelato non possa offrirsi se non in una situazione di fede, se non sia cioè il suo modo di offrirsi all’uomo a verificare il nesso di verità e libertà, dà tuttavia sostanza all’affermazione secondo cui “la fede cristiana […] comprende la libertà religiosa di ogni uomo, anche di coloro che non dispongono di alcuna fede o che ne posseggano o ne pratichino una diversa, oppure che abbiano semplicemente rinunciato alla loro fede”19. Böckenförde che vede qui il fondamento del pluralismo religioso, e quindi della legittima presenza dell’Islam nell’Europa delle democrazie laiche, rifiuta nel contempo la privatizzazione e la neutralizzazione del kerygma cristiano, contrastanti con la declinazione cristiano-cattolica di verità e libertà20.


  1. Cfr. J. Casanova, Oltre la secolarizzazione. Le religioni alla riconquista della sfera pubblica (1994), trad. it. Bologna, Il Mulino, Cfr. anche P. L. Berger, Una gloria remota. Aver fede nell’epoca del pluralismo (1992), trad. it. Bologna, Il Mulino, 1994, pp. 31-83.
  2. G. Filoramo, Cos’è la religione, Torino, Einaudi, 2004, p. 16. “L’Islam […] pur tenendo presente la sua complessità e varietà, non ha partecipato in genere al progetto dello Stato laico” (Ibidem).
  3. J. Habermas, I fondamenti prepolitici dello Stato liberale, in J. Ratzinger-J. Habermas, Etica, Religione e Stato liberale (2004), a cura di M. Nicoletti, trad. it. Brescia, Morcelliana, 2005, pp. 31- Il saggio di Habermas si trova ora anche in Id., Tra scienza e fede (2004), trad. it. Roma-Bari, Laterza, 2006, pp. 5-18.
  4. E. -W. Böckenförde, La formazione dello Stato come processo disecolarizzazione, trad. it. Brescia, Morcelliana, 2006, p. 68. Questo testo, pubblicato per la prima volta nel 1967 (Die Entstehung des Staates als Vorgang der Säkularisation, in Säkularisation und Utopie. Ebracher Studien. Ernst Forsthoff zum 65. Geburstag, Stuttgart, Kolhammer, 2006, pp. 75-94), è preceduto nell’edizione italiana da una documentata e illuminante introduzione di M. Nicoletti, Per amore della libertà. Lo Stato moderno e la coscienza, pp. 5-27. Cfr. anche dello stesso Böckenförde, Stato, costituzione, democrazia (1991), a cura di M. Nicoletti e O. Brino, trad. it. Milano, Giuffré, 2006 e Diritto e secolarizzazione (1991), a cura di G. Preterossi, trad. it. Roma-Bari, Laterza, 2007.
  5. G.E. Rusconi, La variante laica, ne «Il Regno», 2(2005), p. 25.
  6. J. Habermas, I fondamenti morali prepolitici dello Stato liberale, cit., p. 26.
  7. J. Ratzinger, Ciò che tiene unito il mondo, in J. Ratzinger – J. Habermas, Etica, Religione e Stato liberale, cit., p. 148. Ratzinger riprende una citazione di K. Hubner, in Das Christentum im Wettstrit der Religionen, Tübingen, Mohr Sieberg, 2005, p. 148.
  8. Cfr. E. -W. Böckenförde, La formazione dello Stato come processo di secolarizzazione, cit., pp. 34-45. Per Böckenförde, il processo che ha visto la politica sottrarsi da vincoli di carattere religioso ha avuto inizio con la lotta per le investiture (1057-1122). In tale contrapposizione il vecchio mondo politico religioso, che si percepiva profondamente unitario, è stato incrinato nella sua compattezza con la nascita della distinzione e della separazione tra ‘spirituale’ e ‘secolare’. Distinzione e separazione sono diventate i temi di fondo della storia europea.
  9. Ibidem, p. 35.
  10. Cfr. Ibidem, pp. 47 ss.
  11. Cfr. Cfr. P. Poulin, Hobbes, Dieu et les hommes, Paris, PUF, 1982.
  12. E. -W. Böckenförde, La formazione dello Stato come processo di secolarizzazione, cit., p. 59.
  13. Cfr. K. Marx, La questione ebraica (1843), in Scritti politici giovanili, a cura di L. Firpo, trad. it. Torino, Einaudi, 1950. Com’è noto, Marx polemizza aspramente con Bruno Bauer nel sostenere che non basta emancipare lo Stato dalla qualifica di Stato cristiano, perché si abbia l’uomo emancipato. E anche lo Stato liberale, che garantisce i diritti dell’uomo nel senso della Rivoluzione francese, è ben lontano dall’obiettivo di rendere impossibile la religione, la quale rende ostile il cristiano all’ebreo e viceversa. Perché questo non accada, occorre la rivoluzione della società civile.
  14. M. Nicoletti, Per amore della libertà. Lo Stato moderno e la coscienza, cit., p. 13.
  15. E. -W. Böckenförde, La formazione dello Stato come processo di secolarizzazione, cit., p. 66.
  16. Ibidem.
  17. Ibidem.
  18. E. -W. Böckenförde, Verità e libertà. Responsabilità della Chiesa nel mondo di oggi, ne «Il Regno», 20 (2004), p. 722. Il testo di Böckenförde, riassuntivo della lunga riflessione sul rapporto tra cristianesimo e modernità, è stato letto alla Katholische Akademie di Monaco di Baviera, in occasione del conferimento del Premio Romano Guardini. Cfr. anche Religionsfreiheit als Aufgabe der Christen. Gedanken eines Juristen zu den Diskussionen auf dem Zweiten Vatikanischen Konzil, in «Stimmen der Zeit», 176 (1965), pp. 199-213.
  19. E. -W. Böckenförde, Verità e libertà. Responsabilità della Chiesa nel mondo di oggi, cit., p. 722.
  20. Ibidem. “Di conseguenza – nota Böckenförde – i cristiani avvertono tutto ciò non come un divellere le radici cristiane
Fonte: Pazzini, 2013
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