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Le parole di Gesù in croce (Angelico Poppi, EMP – Edizioni Messaggero Padova, 2025)

di Roberto Mela

Le ultime parole di un uomo sono sempre importanti e tendono a essere ricordate. Si può̀immaginare, allora, quale valore sia stato da sempre attribuito a quelle di Gesù in croce tramandate dagli evangelisti.

Questa nuova edizione, completamente rinnovata e aggiornata dell’opera di Angelico Poppi del 1974, si propone di rileggerle, collocandole nel loro contesto letterario ed evidenziando il particolare orientamento teologico che ogni evangelista ha sviluppato nel proprio racconto. Infatti, le “ultime parole di Gesù”, riportate con notevole diversità̀ dai quattro vangeli, ricapitolano l’essenza del messaggio che ogni evangelista ha colto nel dramma sconvolgente della croce e ha voluto offrire ai suoi destinatari per ravvivarne la fede.

Angelico Poppi (1928-2017), frate minore conventuale, ha studiato presso il Pontificio Istituto Biblico di Roma, lo Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme e ha insegnato a Padova per molti anni.

Daniele La Pera, frate minore conventuale, ha conseguito la licenza in Teologia nell’indirizzo di Studi biblici e successivamente il dottorato, presso la Facoltà̀ teologica dell’Italia settentrionale di Milano. Attualmente è docente presso la Facoltà̀ teologica del Triveneto e l’Istituto teologico Sant’Antonio dottore di Padova. Egli ha rielaborato lo scritto di A. Poppi, aggiornandolo agli ultimi studi.

«L’intento perseguito – afferma La Pera – non corrisponde né all’offerta di una riflessione meditativa tout court – alla stregua di molte già ampiamente diffuse – né, tantomeno, quello di armonizzare le ultime frasi pronunciate da Gesù in modo da accertarne la sequenza cronologica durante le ore drammatiche che precedettero la sua morte» (p. 6).

Essendo il mistero pasquale il centro dell’annuncio evangelico, «le parole poste sulle labbra di Gesù in questi momenti cruciali assumono un significato di estrema importanza – annota lo studioso –. Ma ancor più ci sembra che le espressioni di Gesù morente assumano uno spessore teologico eccezionale, ponendosi quale manifestazione e sintesi di un vissuto – quello di Cristo – interamente dedicato a rivelare all’umanità la volontà salvifica del Padre e come questa si compia inesorabilmente nel segreto intreccio, reale e drammatico, tra il desiderio di donare a tutti la vita piena e la rinuncia alla propria vita, l’offerta di sé stesso, fino all’estremo abbandono della croce» (p. 7).

Ogni evangelista, pur attingendo alle fonti comuni, ha impresso alle parole il proprio taglio teologico per illustrare la persona di Gesù. «Ci sembra infatti che le parole di Gesù in croce, riportate […] con notevole diversità dai quattro Vangeli, ricapitolino l’essenza del messaggio che ogni evangelista ha colto nel dramma sconvolgente della croce e ha voluto offrire ai suoi destinatari per ravvivarne la fede» (ivi).

La Pera ha, talvolta, sintetizzato il pensiero di A. Poppi, e lo ha rielaborato per innestarlo in nuovi contenuti, ma l’essenziale del lavoro originale è stato preservato.

Nell’introduzione, lo studioso espone le sette parole, le loro pertinenze testuali e gli orizzonti teologici propri. Viene riportato il contenuto delle sette parole e si analizza un loro ipotetico ordine cronologico. Ogni evangelista ha attinto con originalità di taglio teologico alle fonti dell’AT, presentando Gesù che muore pregando, perdonando e affidando reciprocamente i discepoli alla madre. Egli è l’agnello pasquale che compie la redenzione prefigurata nell’AT.

Le parole di Gesù in Marco e Matteo

Nel c. 1 ci si porta al cuore del vangelo. Si accenna ai discorsi kerigmatici, all’origine dei Vangeli, alle ultime parole, ai testamenti spirituali e alle parole dei martiri.

Nel c. 2 si studia la parola di Gesù morente secondo Marco e Matteo. È il grido di Gesù morente. Si dà uno sguardo al lessico e si studia l’espressione «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Uno sguardo al Sal 22 precede la discussione sulla tipologia e sulla storicità dell’invocazione di Gesù. Gesù muore pregando il Padre e non da disperato. I salmi e i brani dell’AT citati vanno letti interamente e forniscono il contesto più completo per comprendere la parola di Gesù.

L’autore afferma che «ci sembra di poter dire che la parola di Gesù in croce, in quanto citazione letterale di un salmo, non può designare un atteggiamento di disperazione per il fallimento della sua vita; neppure può indicare il disinteresse da parte di Dio. Anzi, con quella preghiera del giusto sofferente Gesù esprime la propria confidenza al Padre, il totale abbandono nelle sue mani e la fiducia di trionfare sul male che su di lui si è abbattuto, nonostante questo gli costi caro. Proprio per questo – come dicevamo – non bisogna sminuire la realtà della sofferenza fisica e del dramma interiore che Gesù patisce lasciando e accettando che questa scelta d’amore per l’umanità si consumi fino in fondo e lo consumi del tutto. È in questo atto supremo che si rivela la qualità dell’amore offerto da Dio, che in Cristo si consuma per tutti nonostante l’orrore che gli si abbatte addosso» (pp. 89-90).

Nel Vangelo di Luca

Il c. 3 analizza le parole di Gesù morente secondo Luca. Le si inquadra dapprima nella passione di Gesù nella prospettiva teologica di Luca. Gesù muore innocente, offrendo la sua vita in mezzo ai peccatori. Morendo, egli invoca dal Padre il perdono degli uccisori, perché non sanno quello che fanno.

La Pera analizza l’attendibilità del testo e il contenuto della parola: il perdono. Segue la parola detta al “buon ladrone”: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso». Si studia il contenuto della parola riguardante l’“oggi” e il “paradiso”. Gesù muore consegnandosi al Padre: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito».

Si getta uno sguardo sul Sal 31, mentre il contenuto della parola rivela la confidente consegna di sé al Padre. L’autore nota che «è opportuno sottolineare ancora una volta la consonanza con lo stile e la sensibilità teologica del terzo Vangelo. Gesù appare anche sulla croce come colui che “annuncia e domina gli avvenimenti”; pur essendone la vittima, non li subisce ma li assume pienamente. In questo modo la drammaticità si ammanta di una certa levatura teologico-narrativa efficace nel rappresentare Gesù quale modello ed espressione convincente di compassione, capace di perdono e di estrema obbedienza: con un atto di carità sublime prega il Padre per il perdono dei suoi uccisori, assicura al malfattore pentito la salvezza escatologica e, per concludere, mette la propria vita nelle mani del Padre, in un atteggiamento di fiducia filiale sconfinata» (p. 153).

«[La] preoccupazione che muove l’evangelista – annota La Pera – non è esclusivamente o primariamente cristologica – seppur quanto ne ricaviamo è sempre frutto di una cristologia elaborata da Luca – quanto piuttosto parenetica. In altre parole, l’autore non si domanda tanto che significato abbia la crocifissione per Cristo, ma piuttosto che cosa significhi per i credenti la croce di Cristo; possiamo riconoscere, dunque, che Luca si avvicina e racconta il patibolo di Gesù con gli occhi e la fede del discepolo; con la consapevolezza di colui che scorge il significato grande della vita e della morte del Crocifisso per la propria e altrui salvezza» (p. 153).

«La figura che effettivamente risalta e che l’evangelista comunica di Gesù è decisamente questa – afferma ancora La Pera –, quella del giusto, del profeta condannato, del martire per eccellenza nel suo testimoniare fino in fondo la compassione divina; osteso, visibile e credibile sulla croce quale modello e maestro da seguire» (p. 154).

«In un certo senso – continua lo studioso –, potremmo dire che le ultime parole con cui egli si affida al Padre concentrano “tutti i momenti di vita in cui Gesù interiorizzava il suo rapporto verso il Padre e la sua missione redentrice” (cit. di Broz); l’ultima preghiera ricapitola ogni sua preghiera e, facendo ciò, trasmette il senso della sua esistenza, della sua missione, comunica – anche così – qualcosa del mistero del Figlio, salvatore del mondo» (p. 156).

«[Nella] nella prospettiva tracciata da Luca nel suo racconto della passione emergono in modo preponderante i temi della fiducia, della preghiera, del perdono, della perseveranza; temi del tutto peculiari al suo Vangelo. Ora, alla luce delle considerazioni esposte, le tre parole pronunciate da Gesù in croce sembrano ricapitolare in modo sintetico questa visione teologica, tanto che nel loro insieme dicono già tutta la buona notizia precedentemente raccontata e annunciata dal terzo evangelista» (ivi).

Nel Vangelo di Giovanni

Nel c. 4 si esaminano le parole di Gesù morente secondo Giovanni.

Dapprima si studia il racconto della passione di Gesù nella prospettiva teologica di Giovanni.

Si analizzano quindi le parole: «Donna ecco tuo figlio!… Ecco tua madre», e il significato della presenza della “madre” e del “discepolo amato”. Il contenuto della parola sta nella relazione nuova nella nuova familiarità. La Chiesa è affidata alla madre e viceversa.

La parola «Ho sete» viene confrontata con il resoconto dei Sinottici; si analizza la menzione dell’issopo e gli echi dei Salmi 69,22 e 22,16. Il contenuto della parola sta nel fatto che Gesù è dissetato dal compiersi dell’ora. La parola «È compiuto» consiste nel fatto del senso di una vita spesa per il Padre e per i fratelli e nell’attualità della salvezza. L’ora di Gesù segna una svolta decisiva nella storia della salvezza.

Sembra utile riportare le parole riassuntive dell’autore circa la prospettiva giovannea sulle parole di Gesù in croce.

«Il Crocifisso di Giovanni potrebbe infatti essere compreso come perfettamente agli antipodi rispetto alla figura rappresentata nei Sinottici. La regalità, il dominio delle situazioni, la consapevolezza e il processo di glorificazione che presiedono a tutto il racconto della passione giovanneo, sembrano davvero tutt’altro rispetto all’umiliazione, al dileggio, alla terribile sofferenza e desolazione, nonché all’estrema solitudine che subisce il Crocifisso dei Sinottici. A dispetto di questo, il Crocifisso giovanneo potrebbe sembrare artefatto e distante dalla realtà complessa nella quale i credenti vivono e vivranno in ogni tempo; molta più affinità sembra stabilirsi con la figura del giusto sofferente che si delinea in Marco e Matteo o con il martire compassionevole e misericordioso di Luca; la preghiera di abbandono del primo caso e la preghiera fiduciosa del secondo sembrano corrispondere maggiormente alla desolazione dolente e alla tenace speranza che si intrecciano nel cuore umano.

Eppure, nel racconto della passione di Giovanni, il Crocifisso che solennemente viene innalzato e le cui ultime parole sono dense di significato teologico ci presenta il senso nascosto delle cose come solo Giovanni sa fare, lasciandoci scorgere quel piano ulteriore sul quale rileggere i fatti che si palesano comunque nella loro drammaticità, ma che simultaneamente vengono trasfigurati dalla rivelazione che in essi si compie.

Giovanni ci svela cosi il nesso profondo che sussiste tra umiliazione e gloria, sconfitta e vittoria, morte e vita, rilevando la discriminante fondamentale che anima l’agire di Dio stesso, ossia l’amore; e non un amore qualsiasi, ma quello che si è manifestato in Cristo, capace di compromettersi del tutto perché tutti siano coinvolti-attratti da quel dono di vita che egli offre consegnando la propria vita. Giustamente Grilli osserva come sia proprio l’amore a governare questa dinamica, quale forza capace “di trasformare il fallimento in forza feconda. Grazie all’amore, la morte è trasformata in vita e il chicco di frumento che “cade in terra muore”, ma “produce molto frutto” (Gv 12,24).

Questa è una prospettiva teologica che nasce però dall’esperienza del Crocifisso e, in quanto tale, è una prospettiva esistenziale che scagiona l’uomo e la storia di ciascuno dal senso di inutilità e di fallimento; non per mera consolazione di circostanza, ma perché solleva il velo su ciò che immediatamente non si vede, rivelando cosi l’influsso della forza redentrice che si è sprigionata dal compimento dell’ora e che nel dono dello Spirito è adesso in grado di raggiungere chiunque, per portare avanti dovunque l’opera del Padre compiutasi in Gesù, finché il mistero della sua Pasqua pervada completamente la storia e il tempo sia pienamente realizzato nell’eternità» (pp. 206-208).

Il percorso compiuto

Riassumendo il percorso fatto, La Pera annota: «[…] solo Marco e Matteo concordano sulla domanda che Gesù, gridando, rivolge al Padre; Luca e Giovanni, invece, ricordano altre tre parole ciascuno, ma completamente diverse tra loro.

Riguardo alla storicità delle parole, abbiamo sottolineato come sia pacificamente ammesso ormai che i discorsi, le parabole e i detti del Signore non sono stati sempre trasmessi letteralmente nelle comunità cristiane primitive come si trattasse di una registrazione, ma sono stati approfonditi e adattati alla situazione vitale delle varie Chiese» (p. 209).

Le parole sono state studiate seguendo l’ordine nel quale sono state riportate.

I Sinottici

«Dall’analisi della parola riferita da Marco e Matteo – scrive La Pera – è risultato che essa riassume sinteticamente la teologia della croce nei primi due Vangeli. La citazione del Salmo 22 riesce a coniugare l’estrema drammaticità, la desolante solitudine e sofferenza, perfino il paradosso dell’abbandono, ma il tutto orientato nell’orizzonte di vita e di salvezza che si compie attraverso la passione del Figlio di Dio, quale estrema dialettica tra il silenzio divino e la rivelazione della salvezza che, in modo eloquente, è testimoniata dai due evangelisti. Tanto che la croce diviene il luogo dove l’identità del Figlio è finalmente riconosciuta e professata.

Le tre parole riportate da Luca riflettono la preoccupazione parenetica del terzo evangelista. Anche sul patibolo della croce Gesù appare quale esempio e manifestazione della misericordia divina, chiedendo il perdono per i nemici, accogliendo il pentimento del malfattore e rimettendosi confidente nelle mani del Padre. Il Crocifisso diviene così modello credibile del vero discepolo, fedele testimone del Padre fino alle estreme conseguenze. In tal modo, Luca invita il lettore ad accostarsi con fiducia alla croce di Cristo che, da patibolo di condanna, diviene sorgente di perdono, strumento di salvezza.

Giovanni

Anche le tre parole riportate da Giovanni risentono della profondità teologica che anima il Quarto Vangelo – prosegue lo studioso –. Il tema dell’ora che segna tutto il racconto determina il compimento della missione del Figlio, il senso della sua vita e, quindi, l’attualità dell’opera di salvezza a vantaggio dell’umanità.

L’innalzamento del Crocifisso che attira tutti a sé inaugura il tempo escatologico e il coinvolgimento dei credenti nella nuova fase della storia salvifica, favorita dalla mediazione dello Spirito e sostenuta dalla testimonianza dei credenti. L’amore che, sul modello di Cristo-Agnello permane nelle relazioni tra fratelli, infatti, estende nel tempo il dono della vita eterna compiutosi sul Golgota.

Concludendo, alla luce di quanto abbiamo sposto – scrive La Pera –, confermiamo che le parole di Gesù in croce, a noi trasmesse dalla testimonianza quadriforme dei Vangeli, esprimono, in quanto tali, la riflessione credente sul mistero pasquale di Cristo in modo sintetico ed efficace – secondo la particolare prospettiva teologica di ogni evangelista –, offrendoci così un orizzonte di senso dentro cui leggere l’esperienza del Figlio di Dio e, insieme, rileggere la nostra stessa esperienza, lungo il cammino che conduciamo dietro a lui, il Crocifisso-Risorto» (pp. 209-211).

Il volume è molto ricco di analisi e di riflessioni teologiche. Si raccomanda per il linguaggio accessibile, in vista di una preparazione esegetica, teologica e spirituale a vivere con intensità la Quaresima e il periodo pasquale.

Le parole di Gesù in croce | Angelico Poppi | EMP – Edizioni Messaggero Padova | 2025 | pagine 216 | euro 17.50

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