L’editoria cattolica e i “sentieri interrotti”
La rivista “Vita e Pensiero” nei suoi ultimi numeri ha voluto proporre (dobbiamo dire con coraggio e determinazione opportuna) un dibattito sull’editoria religiosa. Ha iniziato Roberto Righetto nel segno di una ” provocazione”, seguito dall’intervento di alcune figure dell’editoria cattolica, tra cui anche quella del nostro direttore.
Vogliamo entrare in questo confronto per offrire un nostro contributo che presuppone la lettura degli interventi ricordati.
Iniziamo con una premessa. L’intervento iniziale di Righetto tende forse a ignorare una caratteristica dell’editoria cattolica. Intendiamo parlare dello stretto rapporto che essa intrattiene con il vissuto ecclesiale. Questo legame ha segnato la qualità della sua produzione, ma insieme anche la condivisione di incertezze o smarrimenti. Le sofferenze dell’editoria cattolica sono legate alle impervie vie dei vissuti ecclesiali. Non possiamo ignorare questa interazione (peraltro necessaria). Profeti e sapienti siamo tutti sulla stessa barca.
Sempre Righetto cita molti autori cattolici del secolo scorso secondo lui non sufficientemente sostenuti dall’editoria contemporanea. Sfuggono però alcune considerazioni. Tra il grande slancio ideale degli autori citati e la loro produzione editoriale ci sta qualcosa di mezzo che forse è il vero tema da affrontare. Se un tempo di mezzo ci stavano grandi tensioni valoriali, anche duramente contrapposte (lo scontro tra gli “ismo”: comunismo, liberismo, socialismo e forse anche cattolicismo), oggi troviamo invece una generica e fragile domanda di spiritualità. Se un tempo la questione Dio sollevava riflessioni radicali pro o contro la sua esistenza, oggi Dio non fa problema, ma rimane il grave compito di “dire Dio”. Ignorare questa terra di mezzo lascia certo spazi a movimenti di “provocazione”, ma non dice nulla sul merito dei contenuti.
Certo i grandi maestri rimangono tali, ma da loro dobbiamo imparare la capacità di mediazione per raccogliere i temi che possono incidere sul dibattito culturale-religioso. Imparare un metodo per produrre contenuti significativi per l’uomo di oggi: questa è la loro lezione.
In merito al legame con i vissuti della chiesa non vogliamo certo ignorare la capacità propositiva delle nostre comunità ecclesiali: la forza aggregativa delle sue strutture, lo slancio di solidarietà, I’amore verso le ferite della modernità. Purtroppo questa ricchezza ideale, quando raggiunge i tanti “sentieri interrotti” della domanda di spiritualità moderna, viene diluita e alla fine dispersa in rivoli che si perdono e scompaiono (o almeno così sembra). La stagione della “primavera” (come la definisce Dotti di Qiqajon) inaugurata da papa Francesco stenta a produrre frutti di stagione e trova una comunità cristiana ancora smarrita, divisa fra slanci verso il passato e progetti ancora sbiaditi verso il futuro. Gli steccati si allargano, ma i nuovi spazi trovano camminatori ancora smarriti.
Gli editori cosa possono fare? In questa situazione il loro ruolo è quello di essere una “cartina tornasole” di quanto accade nei contesti culturali ed ecclesiali contemporanei. Lo smarrimento scende anche sugli autori. Quello che si può condividere dell’analisi di Righetto sono i timori per i rischi di rassegnazione che abitano il mondo editoriale cattolico. La storia ricorda le battaglie combattute sul campo e non le fughe dei rassegnati.
Ci sono almeno due ambiti di riflessione che potrebbero aiutare il dibattito: la teologia e la spiritualità. La prima dovrebbe superare la pigrizia del ” manuale” per una attenta riflessione sui processi del “dire Dio” nel contesto della modernità , la seconda (dove questa distinzione non andrebbe accentuata troppo) potrebbe aiutarci nel superare le forme troppo emozionali e intimistiche della fede per rimettere in gioco un’idea di spiritualità che permea l’umano (fino alla sua dimensione etica: la fortuna del tema della misericordia dell’attuale pontificato non fa che riprendere una categoria della spiritualità per mostrarne le implicanze etiche).
Non vorrei assolvere troppo in fretta il mondo dell’editoria (da libraio li vedo come compagni di viaggio e condivido con loro virtù e vizi), ma un certo coraggio propositivo va ritrovato. Non ci si può accontentare della pubblicazione di quanto siamo sicuri di vendere (quanta inflazione produttiva in occasione dei grandi appuntamenti quali l’anno santo o l’esposizione della Sindone: forse la metà dei titoli pubblicati bastava per il fabbisogno dei lettori). Qualche progetto comunque si è realizzato in questi anni. Pensiamo alla pubblicazione del commentario ai vangeli scritto da donne (Ancora), o i manuali di teologia di Queriniana, o i titoli inerenti allo statuto della spiritualità di Glossa fino ai testi di spiritualità di Qiqajon o alla contaminazione nella produzione editoriale di EDB. Certo siamo di fronte più ad esercizi di stile, ma almeno siamo nella “terra di mezzo”. Semplicemente si devono radicalizzare questi movimenti.
Una maggiore sofferenza la riserva il tema delle librerie religiose. La loro collocazione potrebbe essere un luogo privilegiato per sperimentare nuove strade, ma qui lo smarrimento è ancora maggiore. La loro sfida passa dalla capacità di sviluppare un “Format” per la nostra “strada di mezzo”. Questo compito non è nuovo, già in passato vi è stata una evoluzione da librerie confessionali a librerie specializzate nel libro religioso. Ora una nuova sfida le attende. Se si vuole raggiungere il lettore dei “sentieri interrotti” l’esercizio della contaminazione di stili potrebbe essere un percorso possibile. Librerie “specializzate sul senso delle cose umane”, capaci di scovare e consigliare titoli presi dalla narrativa, dalla saggistica e da qualunque altra contaminazione editoriale per creare un contesto alla proposta dei contenuti religiosi. È certamente necessaria una libreria accogliente ed emozionale (ma oggi ci sono gli investimenti adeguati?), ma quanto poco oggi ci si confronta sul tema del “libro”.
Le vicende distributive degli ultimi anni (tema un po’ da addetti al settore) non hanno poi aiutato l’editoria cattolica. Anche qui verrebbe da dire: troppi “sentieri interrotti”; ma pensiamo anche ai canali di comunicazione in rete: quanti siti online “fotocopia” dei grandi competitor, ignorando che sul loro campo di battaglia gli imitatori possono solo soffrire, quante “newsletter” tutte uguali e ripetitive, quanta piattezza nel cavalcare il devozionalismo come fattore commerciale. Per non cadere nella lamentazione direi che la sfida su questi temi è simile al confronto fra Davide e Golia. Noi siamo nei panni del giovane Davide, con pochi mezzi rispetto alla forza gigante del nostro avversario. Eppure l’astuzia e la creatività del giovane lo hanno portato alla vittoria. Creatività, coraggio, capacità di riflessione (più che formule propositive spesso un po’ astratte) possono essere gli strumenti del nostro agire, capaci di supplire alle scarse e difficili risorse economiche.
Qualche intervento solleva il problema delle proprietà editoriali (ma io aggiungerei anche librarie) in mano a istituti religiosi e poco frequentate da figure laicali. Questa carenza dice la necessità che la filiera dell’editoria religiosa sia frequentata dalla totalità dell’esperienza ecclesiale. Dai carismi dei fondatori (che tanti frutti hanno generato e ancora oggi garantiscono) al carisma ecclesiale nella sua totalità. Non si possono pubblicare libri per i fedeli cristiani senza un loro contributo.
Un’ultima riflessione su UELCI, sigla crediamo ai molti sconosciuta (sta per Unione editori e librai cattolici italiani). Si tratta di una cinquantina di editori e di tutte le catene di librerie cattoliche con alcune indipendenti. Nata nel primo dopoguerra il suo intento è quello di sviluppare una ricerca professionale sulle tendenze e sui fenomeni di mercato legati al mondo dell’editoria cattolica. Non può certo andare oltre questo ambito di “riflessione” e “formazione”. Il suo lavoro ha avuto una certa eco nell’opinione ecclesiale con i suoi “Osservatori sull’editoria religiosa italiana” seguiti ad altre ricerche di settore e giornate di studio. Un ambito, quello di UELCI, forse ristretto, ma l’unico possibile per rispettare le diverse linee editoriali dei suoi soci. Con queste caratteristiche non può diventare il luogo dell’espiazione delle sofferenze.
Qui vogliamo ricordare almeno due temi che l’UELCI ha fatto emergere molto prima della comune condivisione. Il primo è quello della produzione religiosa da parte degli editori laici, dove si è invitato a una riflessione aperta alla sfida, evitando di piangersi addosso e leggendo il fenomeno come un possibile abbattimento di steccati (peraltro poi disatteso dalle stesse librerie ed editori “laici” ancora troppo resistenti a questo tema). Il secondo tema offerto alla riflessione è la qualità della domanda di libro religioso in forte crescita. Due indagini IPSOS hanno evidenziato, per molti lettori di libri religiosi, una generica ricerca di spiritualità, priva di tensione ecclesiale e forse neppure di una domanda su Dio, eppure inaspettatamente disposta a leggere autori cattolici. Una qualità di ricerca frammentata e, appunto, da “sentieri interrotti, alla quale si è chiamati a dare comunque risposte nella logica dell’aiuto più che della contrapposizione. Si tratta di riflessioni che UELCI offre ai suoi iscritti e occasionalmente può proporre a platee più ampie.
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