Da più di un anno e mezzo sto vivendo un’esperienza di cui sono infinitamente grata. Ogni settimana entro nel carcere di Ancona come volontaria insegnante di italiano, in una sezione dove ci sono detenuti protetti. In quel luogo di pena sto incontrando tante umanità profondamente ferite, ma anche desiderose di rinascere.
In particolare si è instaurato un rapporto di intensa comunionalità con un ergastolano ex 41 bis, pluriomicida, che si trova in una situazione di isolamento, ma che è stato evidentemente raggiunto dalla grazia di Dio che lo ha letteralmente trasformato e lo ha fatto innamorare del Bene (come lui dice). Mi è stato fatto il dono di contribuire al suo radicale cambiamento, alla sua conversione che si è nutrita anche delle letture che insieme abbiamo fatto: abbiamo letto “I Promessi Sposi” e lui si è totalmente identificato prima con fra Cristoforo e poi con l’innominato: avevo davanti a me un uomo che si stupiva di come fosse descritto dettagliatamente il dolore che lui, sulla sua pelle, stava vivendo, per questo la nostra lettura è stata spesso accompagnata dalle lacrime, lacrime di sofferenza e di commozione. Carmelo, questo è il suo nome, vorrebbe, come fra Cristoforo, poter chiedere perdono davanti a tutti i familiari delle sue vittime e vorrebbe vivere per fare il bene a chi ha accanto (e sta cominciando a farlo nella sezione del carcere dove ora si trova). La lettura delle pagine dell’innominato è stata struggente: avevo davanti a me l’innominato in persona, un uomo che non avrebbe dovuto provare scrupoli ad uccidere e che invece stava sempre più soffrendo per il male commesso, ma stava anche intuendo che poteva rinascere da quell’abisso di male in cui era precipitato.
Anche lui, mi ha confessato in seguito, aveva molte volte pensato al suicidio… “per i molti miei errori sono stato per tanto tempo in fondo al tunnel e non riuscivo a vedere niente, raschiavo il fondo con tutto il male che mi portavo dietro e spesso il mio pensiero era, diciamo, uno dei più tragici. Dopodiché è successo il miracolo, ho iniziato a vedere la luce dal profondo del mio tunnel, in questi anni la mia vita è stata stravolta giorno dopo giorno, ogni giorno nuove emozioni che prima non avevo mai provato, l’emozione del dispiacersi, del provare il dolore, del commuoversi, prima pensavo di avere tanto ma in realtà ero prigioniero di me stesso, del male che mi circondava. Nel pieno della mia disperazione sono arrivato ad Ancona e lì ho cominciato a confrontarmi settimanalmente con un volontario e ho iniziato a parlare del male che avevo commesso con una persona ‘estranea’, poi ho chiesto se si riusciva ad organizzare un corso di italiano. E così è iniziata per me qualcosa del tutto nuova…” Così scrive in una lettera del 13 giugno 2023 dal carcere di Padova dove si trova attualmente. Come l’innominato ha cominciato a poco a poco a intuire che poteva contare su persone che non lo giudicavano, che gli volevano bene e con le quali ha cominciato a ricostruire quella che ora chiama una “vita nuova” nella quale non gli manca nulla, neppure, paradossalmente, la libertà. Anche la lettura del Miguel Manara di Milosz è stata per lui molto importante: è stato colpito in particolar modo dal frate che dice al protagonista che Dio lo abbracciava così com’era e che il male da lui commesso ora non esisteva più!
Con commozione mi è dato di assistere allo spettacolo di un uomo catturato dal male che ne è uscito innamorato di Nostro Signore (così lo nomina lui). Di fronte a questa potenza di Dio anche la mia fede si è ravvivata e rinnovata in un modo per me sorprendente, del tutto inaspettato e imprevedibile. Questa, credo, è la gioia di Dio: la conversione del figlio prodigo.
Dopo 35 anni di insegnamento, da pensionata, ho potuto toccare con mano un’altra potenza, quella della letteratura, che può far crescere umanamente e provocare perfino cambiamenti radicali e soprattutto può farci rileggere il nostro vissuto e farci sentire in una profonda corrispondenza umana.
In questo periodo, con i detenuti che si trovano nella sezione dei protetti ad Ancona sto leggendo la Divina Commedia e mi sto convincendo, vedendo il loro coinvolgimento emotivo e la loro crescita interiore, che sia l’opera più adatta da leggere in un carcere. Sto riscoprendo, quindi, anche la grandezza del nostro Dante che talvolta ho dato per scontata.
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