A venticinque anni dalla sua prima edizione (1996), questo prezioso volume del card. Martini conserva intatta la sua freschezza e la sua attualità. Il compianto biblista e sapiente pastore della diocesi di Milano propone infatti al lettore un cammino biblico, spirituale e sapienziale che lo prende per mano con dolcezza e lo accompagna a fare sempre ulteriori passi nella conformazione a Cristo Gesù, salvezza e gioia dell’uomo.
I sei capitoli del libro sono tratti da opere e lettere pastorali di Martini scritte fino al 1996 (l’elenco cronologico si trova alle pp. 281-289). Alcuni termini del linguaggio civile ed ecclesiale comune comparsi negli ultimi anni non sono evidentemente presenti (ad es. globalizzazione, smartphone, Chiesa in uscita ecc.) ma nelle parole dell’autore sono poste tutte le premesse dei problemi odierni e delineati gli scenari più adatti per il loro scioglimento. Si dovrà tener presente anche che i testi sono presentati per lo più nella traduzione CEI del 1974 e non in quella attuale del 2008 (in Lc 1,34 a Maria si fa ancora dire: “Come è possibile questo?” e non “Come avverrà questo?”).
La proposta dell’autore è affascinante per la profondità dell’analisi psicologica, sociale, spirituale ed ecclesiale. Ciò che guida il pensiero è sempre l’intima unione fra la presenza di Cristo crocifisso e risorto nella parola di Dio e nell’eucaristia e la vita concreta dell’uomo di oggi. Martini è convinto che solo la parola di Dio, che culmina in Gesù crocifisso e risorto, può illuminare il cammino dell’uomo e smuovere i suoi passi da cammini di divisione e di oppressione a piste di riconciliazione, dialogo e fraternità.
L’amore di Dio per l’uomo
Il cammino proposto dall’autore parte dalla sottolineatura dell’amore di Dio per l’uomo, illustrato da varie pericopi – in specie parabole – presenti nel Vangeli (pp. 7-44).
In Marco si ritrova l’iniziativa amorosa di Dio che perdona, un Dio buono e fedele a cui tutto è possibile.
In Giovanni si parte dal Logos che è Gesù Cristo in quanto luce, vita e rivelatore del Padre con vari simboli, per arrivare alla seconda parte del vangelo (cc. 13-17) in cui ritrovare il senso dei segni che precedono. Il punto di arrivo della disciplina spirituale proposta da Giovanni è giungere a esser amici di Gesù. Il Vangelo presenta almeno sei ritratti di amici di Gesù che illustrano ciascuno un aspetto di intimità col Verbo tra gli uomini. Dio è Padre e in Gesù serve l’uomo (cf. c. 13). Il servizio è divino, non il comandare, il potere – conclude Martini.
Luca ci presenta la misericordia di Dio, specialmente con le parabole dei perduti e dei ritrovati (c. 15). È il Vangelo della grazia, della dignità umana.
Martini sottolinea, infine, il primato di Dio nella Chiesa. La Chiesa deve dunque ripartire sempre e di nuovo da Dio, ponendosi con coraggio le domande ultime, ritrovando «la passione per le cose che si vedono leggendole nella prospettiva del Mistero delle cose che non si vedono» (p. 41). Martini è convinto che il Dio con noi può aiutarci a trovare le vere ragioni per vivere insieme. Ripartire da Dio significa per la Chiesa trovare senso, slancio e motivazioni per rischiare, amare, essere nel cuore di Dio per un’esperienza di fede e di amore vissuti. Significa «farsi pellegrini verso di Lui aprendosi al dono della Parola, lasciandosi riconciliare e trasformare dalla grazia» (p. 43).
Ascolto e preghiera
L’ascolto e la preghiera, temi del secondo capitolo del libro (pp. 45-84), sono la risposta più adeguata al Dio che parla. Oggi occorrono silenzio, momenti di concentrazione, di ascolto e di appello a Dio con vari aspetti della preghiera (cf. Maria di Betania che si pone ai piedi di Gesù). Essa nasce a livello naturale come risposta che sale immediata dal cuore dell’uomo quando si mette di fronte alla verità dell’essere. Momenti previlegiati di incontro con Dio sono il raccoglimento, ma anche il dolore e la prova.
La specificità della preghiera cristiana sta nel fatto che essa parte da Gesù Cristo, dalla preghiera che egli ha insegnato, che ha come scopo quello di arrivare a compiere la volontà di Dio, per consegnarci nelle sue mani con fiducia e amore. Il Padre nostro ci insegna come deve essere ogni nostra preghiera: lode, ringraziamento, supplica e intercessione. Perché il Regno si realizzi, occorre perseverare nell’oggi attraverso il pane quotidiano, avere molta misericordia e perdono reciproco, poter contare sul sostegno di Dio per non cedere alla tentazione.
Martini spiega i vari aspetti della lectio divina come modalità principe di rapportare la Scrittura con la preghiera. Egli sottolinea il momento della contemplazione, in cui si adora la persona di Gesù, che riassume tutti i valori, li sintetizza, li esprime in sé e li rivela. «Si adora Gesù e si ama Gesù, ci si offre a lui, si chiede perdono, si loda la grandezza di Dio, si intercede per la propria povertà o per il mondo, per la gente, per la Chiesa» (p. 66). La contemplazione è il momento in cui si dà spazio corporeo allo Spirito Santo. Può esser chiamata anche “conversione”.
La consolazione è la gioia profonda, intima che viene dall’unione con Dio, il riverbero luminoso, gaudioso della comunione con Lui.
Il discernimento o discretio è la capacità di scegliere, per interiore connaturalità, secondo e come Cristo.
Deliberatio è l’atto interiore con cui l’uomo si decide per le scelte secondo Cristo e necessariamente sfocia nell’actio. Questa è, infine, il modo di vivere e di agire secondo lo Spirito di Cristo, accogliere totalmente dentro di sé la coscienza apostolica come realtà interiorizzata non solo con un atto di volontà, ma attraverso il dinamismo della preghiera. La contemplazione è importante. Senza di essa tutto diventa insipido, esecuzione faticosa, volontarismo, moralismo.
Occorre leggere tendenzialmente tutta la Scrittura, non per scelte o temi. Martini propone una lectio del Sal 23. Il Signore è il pastore che porta al pascolo in luoghi sicuri, ma anche colui che offre convivialità.
Il peccato
Lo sfondo realistico del cammino spirituale comprende il ricordo del dramma del peccato (c. 3, pp. 85-124). A partire dalla lettura di Gen 3,9-15, il peccato emerge come rifiuto del disegno di Dio, distorto dal tentatore. C’è una principalità del peccato, pervasiva e onnipresente, ma che non arriva davvero al fondo dell’uomo. La principalità della grazia fa sì che Dio si chini sull’uomo e lo risani fino in fondo, ricostituendo nell’intimo l’uomo e l’umano.
Altre tipologie di peccato nella Bibbia sono il racconto di Caino e Abele (tristezza dell’invidia, incapacità di vivere la fraternità nella diversità riconciliata), il racconto dei figli di Dio e delle figlie degli uomini (dimenticanza, perdita e confusione di rapporti fondamentali uomo-terra, uomo-corpo, disattenzione ai ritmi dell’esistenza), il racconto della torre di Babele (rottura della coordinata del timore di Dio, della soggezione dell’uomo al Signore del cielo e della terra, pretesa dell’uomo di essere al centro di tutto, di non aver bisogno di Dio, agendo per proprio conto; per Martini ciò corrisponde oggi al guazzabuglio culturale).
La Bibbia sottolinea la vastità del regno del male (cf. Rm 7,14-19). Esso si esprime attraverso peccati personali (cf. Rm 1,28-31), peccati strutturali e sociali (il “mondo” giovanneo, la situazione conflittuale del mondo e della sua mentalità), i peccati collettivi razionalizzati, assurti a dottrina. Sono le ideologie, filosofie e devianze delle religioni, filoni culturali che chiamano bene il male e lo razionalizzano.
Un grande peccato di ieri e di oggi è l’idolatria. Nella Bibbia essa poteva celare una venerazione religiosa, ma riposta in dèi della natura e della fecondità o rivolta a un simbolo di Dio che diventa manipolabile, dominabile. Idolatria è adorare un Dio non vivo e imprevedibile, restringerlo in un concetto. Il Dio della Bibbia è presente dove e come vuole, agisce dove e come vuole, ama l’uomo perché lo vuole amare e lo salva nel modo che lui sa. Idoli odierni che impediscono la conoscenza del Dio vivo esistono a livello personale (orgoglio, ambizione, pretese dell’uomo) e sociale (la razza, la cultura, il pensiero comune, le attese altrui, che schiavizzano). L’idolatria nel NT si presenta come adorazione del successo, del godimento, del denaro e del potere ad ogni costo. Dall’idolatria nasce la disumanità.
Fatto nuovo odierno è la crescita a dismisura del senso della libertà, disancorata da ogni forma di riferimento. La libertà oggi è altamente manipolabile. L’idolatria è oggi la separazione arbitraria tra libertà e verità per costruire ideali assoluti, in una linea o nell’altra, a cui sacrificare l’equilibrio delicato dell’esistenza creata.
Di fronte al male i vangeli ci presentano Gesù che piange, soprattutto per Gerusalemme che non ha riconosciuto il tempo della sua visita. Gesù non abbandona il sogno di raccogliere gli uomini e dona se stesso per vincere il male entrandovi dentro per farne uscire il bene. Gesù non cambia il mondo e non lo rigetta. Vince il male con il bene, con la sua morte e risurrezione (cf. Fil 2,5-11). In Gesù e con lui è possibile vincere il male «per trarne il bene vivendo lo spirito delle beatitudini evangeliche e il mistero della croce» (p. 123).
Riconciliazione e conversione
La riconciliazione e la conversione offrono il cammino dal peccato alla vita divina offerta da Gesù (c. 4, pp. 125-172). Il riconoscimento del proprio peccato segna l’inizio della conversione interiore. L’interiorità è il luogo decisivo per l’uomo in cammino verso la verità, «è la capacità di rientrare in se stessi, di comprendere il senso delle azioni compiute e che si compiono, perché solo nell’intimo si possono valutare e giudicare» (p. 125). Secondo Martini, l’esperienza attesta che c’è un nesso inscindibile tra la conversione del cuore e la riconciliazione sociale e politica. Questa non ci può essere se non si vive la prima.
L’autore compie una bella analisi del Miserere, salmo di conforto e di chiarezza. Dal riconoscimento di un situazione di peccato si passa alla supplica e al progetto per l’avvenire. Con un’iniziativa di amore e di misericordia, Dio proietta nell’oscurità dell’uomo la luce del suo progetto e in tal modo lo porta a scoprire la verità di se stesso in rapporto a ciò che è chiamato a essere, a ciò che avrebbe dovuto essere, a ciò che può diventare con la sua grazia.
Il peccato è sempre contro Dio, anche se l’azione malvagia ha coinvolto altre persone e la società.
Al riconoscimento degli atti sbagliati compiuti segue il dolore per i peccati. Il pentimento può evitate i blocchi e sciogliersi vedendo in Dio non il giudice ma la parte lesa. «Il dolore cristiano nasce dall’incontro con Colui che, offeso in sé e nel suo amore per l’uomo, offre, come contraccambio, uno sguardo di amicizia» (p. 140).
Il sacramento della riconciliazione immette il peccatore «in un rapporto personale con Dio Padre che colma di gioia e apre in noi la forza del perdono» (p. 141).
Martini illustra i tre momenti della celebrazione del sacramento: confessione di lode, di vita e di fede. La penitenza, come segno ed espressione della conversione, può essere indicata dal penitente stesso, ma sempre nella linea concreta degli aspetti vitali bisognosi di essere curati e guariti. Guardando a Zaccheo, si può scorgere che il primo frutto dell’incontro penitenziale è la gioia che traborda e la “penitenza” che egli stesso illustra a Gesù e che egli approva. È la sua personale, storica, precisa penitenza.
L’episodio dell’uomo ricco ma succube dei molti suoi beni (Mc 10,17-22) e le invettive di Gesù contro l’ipocrisia in vista di una religiosità vera (Mt 23,13-22) illustrano la necessità della purificazione del cuore. «La vera religiosità sa cogliere, al di sopra di tutto, al di là di tutto, al fondo di tutto, il mistero ineffabile dell’amore di Dio, la dolcissima presenza di un Dio che ci ama e che in tutto ci comprende, ci viene incontro, ci stimola, ci sorregge, ci consola» (p. 158).
La potente forza del perdono è illustrata dagli episodi della guarigione del paralitico (Lc 5,17-26) e della donna che entra nella casa di Simone (Lc 7,36-50). Gesù porta a conversione la donna non con rimproveri ma suscitando in lei il coraggio, l’energia, la libertà di cuore. La donna è «una perfetta immagine dell’uomo e della donna che percorrono la via della purificazione e ottengono da Dio il perdono in un atto di amore e di trasformazione della loro esistenza» (p. 164).
A Simone, invece, Gesù fa riconoscere che la situazione, nella realtà di Dio e della sincerità umana, è l’opposto di quello che sembrava a tutti. Chi si comporta in maniera degna della situazione, vera, reale, umana, è la donna: è lei che ha capito e ha vissuto questa realtà. La conversione cristiana, come svolta e cambiamento di rotta, di mentalità e di orizzonti è interiore, attuale e discreta. Ha quattro volti: è conversione religiosa, morale, intellettuale e mistica. Martini li illustra rapportandoli rispettivamente ad Agostino, a Ignazio di Loyola, a Henry Newman e a Teresa d’Avila.
Il combattimento spirituale
Il c. 5 è dedicato al combattimento spirituale (pp. 173-226). Martini illustra dapprima le vie dell’avversario, che maschera all’uomo la verità. Egli è il satan, l’“avversario”. È l’“intelligenza del male”. La Bibbia lo chiama in modi diversi, che illustrano la sua multiforme azione di inganno dell’uomo, della sua umiliazione e della sua estraniazione al progetto di Dio. Egli è il serpente, il tentatore, il nemico, l’omicida sin dall’inizio, l’accusatore o il calunniatore, il divisore e il mentitore. Non sempre satana è presente personalmente nelle varie realtà negative. È una complessa sfera del male di cui satana è responsabile.
Le vie del male oggi sono gli atteggiamenti che disprezzano l’uomo, lo deprimono, lo degradano, lo scoraggiano con scetticismi vari e gioia del male altrui. Hanno il volto dei delitti, dei suicidi, dei vizi gravi e della mutua soppressione e opposizione tra persone.
Le intenzioni dell’avversario sono innanzitutto quella di impadronirsi del cuore prima che delle azioni (cf. l’episodio di Anania e Saffira in At 5,3). Ciò si dimostra anche con Giuda in Gv 13,2. Seguendo alcuni codici molto antichi e autorevoli, Martini preferisce intendere: «quando già il diavolo aveva messo nel suo cuore (cioè nel proprio cuore) che Giuda Iscariota lo tradisse». Gesù mette nel suo cuore di passare al Padre e vuole amare i suoi sino alla fine; satana ha messo nel suo cuore che Giuda lo tradisse. La lavanda dei piedi diventa in tal modo la lotta tra Gesù e satana per salvare Giuda.
La requisitoria di Paolo (Saulo) contro il mago Elimas fa vedere la via dell’avversario contro la via di Dio: sconvolgere le vie diritte di Dio distogliendo il proconsole dalla fede (cf. At 13,9-10). Simon mago, in At 8,20-23, vuole ottenere lo Spirito Santo per avere il dominio sulle cose e sulle persone, un potere che supera quello dei singoli uomini. Una proposta diabolica come quella offerta da satana a Gesù nelle tentazioni (Lc 4,69).
Il cammino del Vangelo è quindi una lotta di natura sua contrastata. Esempi di azione dell’avversario nel tempo presente sono per Martini la disunità nel mondo e l’incapacità a comunicare. Il maligno tende a dividere.
Tutta la vita di Gesù è stata tentazione e lotta con l’avversario, a partire dalle tentazioni iniziali nel deserto, fino a quelle sulla croce («Scendi, salva te stesso…»). Gesù ha vinto con la forza dello Spirito e la preghiera. La Chiesa propone un’assimilazione a Gesù nel tempo della Quaresima, con la preghiera e il digiuno (del cibo, della lingua, dagli occhi o delle immagini). La parabola della zizzania (Mt 13,24-30.37-43) illustra la conflittualità permanente della vita cristiana, da vincere pazientando, resistendo e sopportando. Il NT è ricco di esempi e di termini indicanti la tentazione e le prove che Gesù ha affrontato: prove personali, familiari, politiche e sociali.
Martini suggerisce le modalità per affrontare il combattimento spirituale. Occorre anzitutto accogliere fino in fondo il discorso di Gesù sul regno di Dio come logica divina; è la stoltezza della croce che, ad esempio, Pietro fa fatica ad accettare (cf. Mc 8,27-33; a p. 209 si noti che la traduzione attuale CEI 2008 non suona più «Lungi da me, satana» ma, con maggiore esattezza e profondità, «Va’ dietro a me, Satana»!). L’esistenza cristiana esige una completa disponibilità del cuore a Dio e all’uomo, disponibilità all’ascolto e all’amore, accettandone tutte le conseguenza, anche quelle dello scacco e dell’insuccesso. È l’offerta della propria vita, lasciandosi mettere in questione come persona e non solo impegnandosi per le lotte sociali.
Ef 6,10-20 ricorda con sei metafore l’armatura di chi lotta, con vari allusioni all’AT (Is 11,4.5; 52,7; 59,17; Sal 11): la cintura della verità; la corazza della giustizia; i piedi calzati di zelo alacre per il vangelo della pace; lo scudo della fede, che interpreta tutta la realtà alla luce del Vangelo; accettare l’elmo dell’opera salvifica di Dio – il testo greco ha sōtērion e non sōtēria – come unica protezione del capo, la cosa più essenziale; la spada dello Spirito che è la parola di Dio (Is 11,4: Eb 4,12). Qui si rimanda agli oracoli divini (rhemata), che furono citati da Gesù a propria difesa nel deserto. Occorre inoltre una preghiera molto intensa, che parte da Cristo ed è mossa dallo Spirito.
Martini nota come ci troviamo in una situazione rischiosa, di lotta senza sosta e a tutto campo; solo chi si arma di tutto punto potrà resistere, con l’affinamento della preghiera che avvolge i vari elementi dell’armatura e li ritempra per la lotta.
La Pasqua di Cristo
L’ultimo capitolo del volume (c. 6, pp. 227-280) illustra la Pasqua di Cristo e il suo significato attuale. La morte di Gesù è un fatto storico. L’evento della risurrezione fa sì che il cristianesimo sia un evento, un fatto e non una dottrina religiosa. La Pasqua, il mistero di morte e risurrezione di Gesù, è il cuore della vita della Chiesa, perché ci dice che è Dio – Dio amante della vita –, chi è Gesù Cristo – il Figlio unico del Padre e centro della storia – e chi è l’uomo – tutti gli uomini chiamati a risorgere con Gesù vincendo il dramma della morte, per essere con lui per sempre. La Pasqua è il nodo risolutivo, il perno attorno al quale gira tutto il piano di Dio riguardante l’uomo e il cosmo. È il centro a cui tutto guarda e da cui tutto riparte.
Martini illustra le principali letture che la Chiesa propone nella liturgia nell’arco della Settimana Santa per vivere la Pasqua. Gv 12,12-16 presenta l’entrata di Gesù in Gerusalemme. L’evento della passione è di fatto una vittoria regale, perché ormai Gesù ha vinto la morte e ne ha superato la paura. Ci sono attese culturali e sociali della gente, ma Gesù vive una regalità umile, non bellica ma di servizio. Non si concede all’entusiasmo, ma mostra se stesso come uomo libero, con libertà sovrana. L’autore accenna quindi alla lettura tratta dal libro di Tobia, che illustra il primato della coscienza. Ciò che migliora l’uomo in forma permanente deve passare per la convinzione interiore, per la coscienza. Nella Settimana Santa la Chiesa educa la coscienza dell’uomo, lo invita a guardare la coscienza di Cristo, che è la più alta realizzazione dell’interiorità, della coerenza di una morte, della chiarezza dei fini, dell’ampiezza di visione umana e divina dei destini dell’uomo. La coscienza di Gesù è limpida, leale fino al sacrificio della vita. In essa il mistero di Dio si traduce in linguaggio umano in maniera inequivocabile.
Caifa mostra invece una coscienza oscura (Gv 11,47-54), che pone il dilemma di un vergognoso ricatto (la nazione o un solo uomo, Gesù), con la logica diabolica del consiglio che spinge in un vicolo cieco, per cui, per uscirne, bisogna alla fine avere l’apparenza di scegliere il male minore. Il falso dilemma porta a una falsa tesi (se ucciderete quest’uomo non verranno i romani…). L’evangelista compie un salto teologico, definendo profezia il suo consiglio. Il piano della provvidenza corre parallelo a quello delle contingenze umane, ma non prescindendo da esso.
La morte di Gesù ha come scopo quello di riunire in uno l’umanità. Rispetto al testo ebraico, Ger 38,8 LXX (TM 31,8) ha un’aggiunta che collega il raduno alla festa di Pasqua: «Li raduno dalle estremità della terra nella festa di pasqua». Nella morte di Gesù si esprime la lotta drammatica tra luce e tenebre, la vita e la morte, l’unità e la divisione, la volontà di comunione e l’opposizione totale a questa volontà.
Nell’ultima cena Gesù suscita un gesto, uno strumento, che attui l’efficacia universale della Pasqua, la sua forza di riconciliazione e di comunione. L’eucaristia, in cui è presente Gesù stesso, rende perenne in ogni tempo il sacrificio pasquale di Gesù, aprendo all’umanità l’accesso alla vita senza fine. Mt 26,26-29 e 1Cor 11,23-26 narrano l’evento della sua istituzione. La celebrazione dell’eucaristia fa memoria del passato, è celebrazione del presente in cui si realizza la nuova alleanza dell’uomo con Dio nel sangue di Gesù, è proclamazione del futuro dell’uomo e dell’umanità, lo stare a mensa con Dio, un vivere con lui una familiarità immediata.
Il mistero dell’eucaristia è quello del sangue dell’alleanza. Essa dona all’uomo la forza di lasciarsi totalmente attrarre nel movimento dell’amore misericordioso di Dio annunciato nell’AT, celebrato definitivamente nella Pasqua e culminante nella pienezza della venuta definitiva di Gesù. Egli dona se stesso con amore smisurato proprio mentre viene tradito.
L’eucaristia è donata non a persone elette, giunte a perfezione, ma a peccatori. Essa è per tutti gli uomini, di tutti i tempi. Nella vita dei cristiani l’eucaristia fa sì che Gesù giunga all’uomo con la sua Pasqua, perché partecipi al suo dinamismo d’amore verso gli uomini e il Padre. Il cibo eucaristico configura nel tempo un popolo che esprime a livello sociale un segno e una preparazione dell’unità di tutti gli uomini in Cristo.
Nel venerdì santo le letture illustrano il senso della morte di Gesù in croce, alla luce della misteriosa figura del servo di YHWH descritta in Is 53. Come lui, Gesù si affida al Padre, diventa segno dell’amore di Dio per tutti gli uomini, e il rappresentante degli uomini davanti a Dio. Egli è solidale con tutto il popolo. Tutto il male si condensa nella passione di Gesù, ma egli lo riscatta assumendolo in sé, arrestando la morte che diventa il trionfo dell’amore di Dio. Come il centurione romano, siamo invitati a contemplare il crocifisso, guardando negli occhi Gesù. Fissando lo sguardo sull’inermità e sulla mitezza con cui Gesù muore, il centurione intuisce l’amore, la sublime maestà di colui che muore con amore e per amore ed esprime una professione di fede: «Davvero costui era Figlio di Dio!».
Il messaggio di Cristo crocifisso è chiaro: Dio entra nel male con la carne del suo Figlio Gesù. Gesù proclama il perdono e il ritorno, subendo su di sé le conseguenze del male per redimerlo nella propria carne crocifissa. È la legge della croce: il male viene trasformato in bene sull’esempio e per la forza della morte di Gesù. La croce diventa la suprema legge dell’amore. Chi segue Gesù «deve entrare nel male del mondo per trarne il bene della fede, della speranza, della carità, dell’amore per i nemici. La legge della croce è formidabile» afferma l’autore (p. 262). È il mistero del regno, è il mistero del vangelo, non una legge accettabile dalla semplice intelligenza umana. «Nel cuore del crocifisso, tutto ciò che è “no” può diventare “sì” e dal tradimento può nascere l’amicizia, dal rinnegamento il perdono, dall’odio l’amore, dalla menzogna la verità. Questa è la forza di Gesù nella e dalla croce» (ivi).
La nuova azione di Dio nel mondo è espressa nella risurrezione di Gesù. La Chiesa la proclama con un gioioso grido di fede e di speranza: «Cristo è risorto!». Da quel momento la morte non avrà più alcun potere. Ogni realtà negativa è stata inghiottita da un abisso di bene, ogni morte ha il suo contrappeso di vita.
La risurrezione di Gesù è un evento storico di significato cosmico, l’inizio della trasformazione globale del mondo. Un evento unico che insieme rivela un’attesa costante e universale scritta nel cuore di ogni uomo, quella della segreta premonizione e di una irriducibile speranza nella propria durata oltre la morte. «Nel Risorto – afferma Martini – è glorificato un frammento di storia, di cosmo, quale segno e inizio del destino del genere umano e dell’intero cosmo, dell’uomo e della donna chiamati a formare il grande corpo dell’umanità risorta in Cristo. La risurrezione di Gesù ha quindi il senso di un definitivo essere salvato dell’esistenza umana, a opera di Dio e davanti a tutti» (pp. 265-266).
La Pasqua di Gesù non elimina ogni male presente nel mondo. Essa «non ci trasferisce automaticamente nel regno dei sogni – scrive l’autore –; ci raggiunge nel cuore per farci percorrere con gioia e speranza quel cammino di purificazione e di autenticità, di verifica del nostro comportamento, che ha come traguardo la certezza di una vita che non muore più» (p. 266).
Nessuno ha visto l’evento della risurrezione, ma i vangeli riportano i racconti degli incontri pasquali – denominati più comunemente “apparizioni” – del Risorto con i suoi discepoli, a partire da Maria di Magdala. Martini li commenta in modo ampio e profondo.
At 1 ricorda il periodo di quaranta giorni in cui Gesù si è manifestato ai suoi, e anche 1Cor 15,3-8 ricorda varie “apparizioni”. Il testo greco ricorda con tre verbi espressi all’aoristo puntuale la morte, la sepoltura e l’apparizione di Gesù ai suoi, mentre esprime la sua risurrezione con il tempo verbale del perfetto: è un evento accaduto nel passato, ma che continua ad avere i suoi effetti nel presente («è risuscitato… e resta tale anche oggi!»).
Gesù risorto ricostituisce «una serie di rapporti: con singole persone, con gruppi, con la folla, donando a tutti la capacità di vivere relazioni autentiche, di perdonare, di superare le conflittualità presenti nelle famiglie, nella società, nelle nazioni» (p. 269). Maria di Magdala è immagine di una società afflitta e smarrita, che riceve però la coscienza di essere da lui conosciuta veramente, nella sua pienezza e dignità profonda.
Ciascun uomo può fare l’esperienza del Risorto, scoprire nell’interiorità l’amore di Dio, la chiamata a «sentirci chiamati e restituiti alla nostra identità profonda, alla nostra vocazione di figli di Dio» (p. 271) e a prendere decisioni coraggiose, oneste, disinteressate. In tal modo gli uomini testimoniano, almeno implicitamente, di qualcosa al di là, che «guida ogni azione onesta e disinteressata facendoci intuire come i conti che quaggiù non tornano, alla fine torneranno» (p. 272).
Questa forza interiore e questa speranza sono un grido verso il Risorto, l’antidoto contro il decadimento sociale, morale, civile e politico. Gesù risorto «ci invita a cambiare modo di pensare e di vedere, ad accettare che l’amore di Dio dissolve la paura, che la grazia rimette il peccato, che l’iniziativa di Dio viene prima di ogni sforzo umano e ci rianima, ci rigenera interiormente» (ivi).
Il brano dell’incontro di Gesù con i due discepoli di Emmaus (Lc 24,13-32) fa emergere quattro esperienze umane fondamentali: il camminare, l’ospitalità, la frazione del pane e l’apertura degli occhi. Gesù spiega il significato profondo delle Scritture, il disegno d’amore di Dio. Gli occhi dei discepoli accecati dalla mancanza di speranza si aprono ed essi riconoscono in Gesù che Dio è loro amico, è loro Padre, che Gesù è loro fratello, che la fede è chiave di vita veramente umana. Alla luce delle Scritture e nella condivisione del bene del pane Gesù spiega il mistero dell’uomo e della storia.
Non va dimenticato che il Risorto è per sempre il Crocifisso e sta davanti al Padre come colui che è passato per amore attraverso la passione e la morte di croce. Con la Pasqua la vita di Dio si fa attuale nel presente. «La fede cristiana afferma che l’eternità, la vita nuova e definitiva è già entrata con la Pasqua di Cristo nella mia esperienza, è da me vissuta qui e adesso nell’indistruttibilità dei gesti che io pongo – di fedeltà, di pace, di amore, di perdono, di amicizia, di onestà, di libertà responsabile», afferma Martini (pp. 278-279). La risurrezione «è un fatto pasquale presente, che si attua giorno dopo giorno in colui che crede e spera, che soffre e che ama, che si lascia guidare dalla Parola nel quotidiano per seguire Gesù il quale, mediante la passione e la morte, compie il passaggio da questo mondo al Padre» (p. 279).
Un paragrafo del commento al brano evangelico di Emmaus mi sembra sintetizzare bene molti aspetti del messaggio complessivo che l’autore vuole trasmettere con il suo libro. «Nell’insieme, l’apparizione di Gesù ai due discepoli ci ricorda che l’uomo è un essere in cammino e bisognoso di significato; che in questo cammino è chiamato a riconoscere la parola di Dio che lo incalza, lo interpella continuamente sulla direzione del suo viaggio per spiegargliene il senso; che la libertà e la felicità dell’uomo consiste nell’accogliere questa Parola, nel non rifiutarla, nell’aprire gli occhi e il cuore al disegno di Dio rivelatoci pienamente nel mistero del suo Figlio Gesù morto e risorto per noi, vivo e operante in mezzo a noi» (p. 277).
Il volume del card. Martini si propone al cuore del lettore come un itinerario spirituale e sapienziale che, alla luce della Scrittura, diventa balsamo di serenità e di forza per ogni uomo. Il messaggio dell’autore, impregnato di sapienza umana, biblica e pastorale, illumina e conforta tutti, spronando a una vita responsabile illuminata dall’amore preveniente di Dio Padre, che in Gesù si comunica a coloro che lo accettano, in vista di un cammino personale, ecclesiale e sociale all’insegna della comunione e della fraternità.