Meccanismo computazionale e intelligenza, Alan M. Turing, Città Nuova, 2018
MECCANISMO COMPUTAZIONALE E INTELLIGENZA1
1. Il gioco dell’imitazione
Propongo di considerare la domanda: “le macchine possono pensare?”. Sarebbe bene partire dalle definizioni dei termini “macchina” e “pensare” formulate in modo da rispecchiare, per quanto possibile, il normale uso delle parole, ma un approccio del genere è insidioso. Se dobbiamo ricavare il significato delle parole “macchina” e “pensare” dall’esame di come sono comunemente usate, diventa difficile evitare la conclusione per cui significato e risposta alla domanda “Le macchine possono pensare?” dovrebbero essere ricavati da un’indagine statistica, come un sondaggio di Gallup. Il che è assurdo. Anziché tentare una definizione del genere, sostituirò la domanda con un’altra, strettamente connessa alla prima ed espressa in termini relativamente meno ambigui.
La nuova impostazione della questione può essere descritta nei termini di un gioco che chiameremo “gioco dell’imitazione”. Esso è giocato da tre persone, un uomo (A), una donna (B) e un interrogante (C), che può essere di entrambi i sessi. Quest’ultimo si trova in una stanza separata da quella degli altri due. Scopo del gioco è individuare chi dei due è la donna e chi l’uomo. L’interrogante li distingue con le etichette X e Y e alla fine del gioco affermerà che “X è A e Y è B” o viceversa. L’interrogante può porre ad A e B domande del genere:
C: “X, puoi dirmi per cortesia la lunghezza dei tuoi capelli?”
Supponendo ora che X sia A, è A che deve rispondere. Scopo di A nel gioco è di far sì che C sbagli l’identificazione. La sua risposta potrebbe quindi essere:
“I miei capelli sono tagliati alla maschietta, e le mie ciocche più lunghe sono all’incirca di nove pollici”.
Per non aiutare l’interrogante con il tono della voce le risposte dovrebbero essere scritte o, ancor meglio, dattiloscritte. Situazione ideale sarebbe quella per cui le due stanze comunicano attraverso una telescrivente, oppure che domanda e risposta siano riportate da un intermediario. Per il terzo giocatore (B) scopo del gioco è aiutare l’interrogante. La migliore strategia potrebbe essere quella di fornire risposte vere. B potrebbe aggiungere alle sue risposte indicazioni come “Sono io la donna, non ascoltarlo!”, anche se ciò serve a poco posto che anche l’uomo possa fare osservazioni simili.
A questo punto ci chiediamo: “Cosa accade se è una macchina ad assumere la parte di A nel gioco?” L’interrogante sbaglierà tanto spesso quanto avverrebbe se a giocare fossero un uomo e una donna? Queste domande sostituiscono la questione iniziale “Le macchine possono pensare?”.
2. Critica del nuovo problema
Oltre a chiedere “Qual è la risposta a tale nuova formulazione della domanda?”, ci si può chiedere “La nuova formulazione merita di essere indagata?” Senza esitare, ci dedicheremo a quest’ultima domanda, così evitando un regresso infinito.
La nuova domanda ha il vantaggio di tracciare una linea ben definita fra capacità fisiche e intellettuali di un uomo. Nessun ingegnere o chimico pretende di produrre un materiale che sia indistinguibile dalla pelle umana. È possibile che un giorno la cosa sia fattibile ma, anche supponendo un’invenzione del genere, avvertiamo che non è granché d’aiuto cercare di rendere più umana una “macchina pensante” rivestendola di carne artificiale. Il modo in cui abbiamo impostato il problema riflette la demarcazione nell’impedire all’interrogante di vedere o toccare gli altri concorrenti al gioco o di udirne le voci. Alcuni vantaggi del criterio scelto possono risultare dai seguenti esempi di domande e risposte.
D: Scrivi per cortesia un sonetto che abbia come tema il ponte di Forth2.
R: Mi tenga fuori da attività del genere. Non potrei mai scrivere poesie.
D: Somma 34957 a 70764.
R: (c’è una pausa di circa 30 secondi e poi arriva la risposta) 105621.
D: Giochi a scacchi?
R: Sì.
D: Ho il Re in e1 e nessun altro pezzo. Tu hai solo il Re in c3 e la torre in h8. Sta a te muovere. Che mossa fai?
R: (dopo una pausa di 15 secondi) Torre in h1, scacco matto.
Il metodo domande/risposte sembra adatto a inserire quasi tutti i tipi di prestazione umana che intendiamo considerare. Non vogliamo penalizzare la macchina perché incapace di fare una bella figura nei concorsi di bellezza, né penalizzare un uomo per perdere una corsa contro un aeroplano. Le condizioni del nostro gioco non rendono pertinenti incapacità del genere. I “testimoni [gli interrogati]”, se lo desiderano, possono vantarsi a piacere del loro fascino, della loro forza o eroismo, ma l’interrogante non può richiedere dimostrazioni pratiche.
Il gioco può essere forse criticato perché le difficoltà sono sin troppo a sfavore della macchina. Dovesse cercare di fingere di essere la macchina, l’uomo farebbe chiaramente una ben magra figura: sarebbe subito tradito da lentezza e imprecisione in aritmetica. Ma non può essere che le macchine compiano attività che descriviamo come pensare, in realtà ben differenti da ciò che fa l’uomo? L’obiezione è certo rilevante ma non deve impensierirci se si può quantomeno rispondere che, ciononostante, una macchina che partecipa in modo soddisfacente al gioco dell’imitazione può essere costruita.
Si può insistere che nel partecipare al “gioco dell’imitazione” la migliore strategia per la macchina potrebbe essere qualcosa di diverso dall’imitare il comportamento umano. È possibile, ma è improbabile che il risultato abbia in tal caso chissà quale peso. A ogni modo l’intenzione qui non è quella di indagare la teoria del gioco. Si supporrà perciò che la migliore strategia sia cercare di fornire risposte che sarebbero normalmente date da un uomo.
3. Le macchine interessate al gioco
La questione posta al paragrafo 1) non è ancora sufficientemente definita finché non specifichiamo cosa s’intende con la parola “macchina”. Ovviamente vogliamo si permetta che per le nostre macchine venga utilizzata qualsiasi tipo di tecnica ingegneristica. Vogliamo anche consentire che un ingegnere o un team d’ingegneri costruisca una macchina funzionante il cui modo di operare non possa essere descritto in modo soddisfacente dai loro stessi costruttori poiché il metodo applicato è in gran parte sperimentale. Infine, non consideriamo fra le macchine uomini che siano nati nel solito modo. È difficile formulare le definizioni in modo da soddisfare le tre condizioni. Si potrebbe insistere che il team d’ingegneri sia composto da individui tutti dello stesso sesso, ma l’idea non sarebbe davvero delle migliori poiché è probabile sia possibile produrre un individuo completo a partire da una singola cellula (ad esempio) della pelle umana. Un risultato del genere sarebbe un’impresa di tecnica biologica meritevole del più alto elogio, ma non siamo inclini a considerarlo come un caso di “costruzione di una macchina pensante”. E ciò ci spinge ad abbandonare il requisito che si possa permettere qualsiasi tipo di tecnica. Siamo tanto più disposti a tale rinuncia visto che l’attuale interesse per le “macchine pensanti” è stato suscitato da un particolare tipo di macchina, solitamente nota come “computer elettronico” o “computer digitale”. Seguendo tale interesse permetteremo che solo computer digitali partecipino al gioco.
La restrizione sembra di primo acchito drastica. Cercherò di mostrare che in realtà così non è, ma per questo occorre fornire una breve descrizione della natura e delle proprietà di tali computer.
Si può anche sostenere che identificare le macchine con computer digitali, come criterio del “pensare”, è insoddisfacente se poi risulta (diversamente da quanto credo) che essi non sono in grado di riuscire nel gioco.
Esistono già un buon numero di computer digitali capaci di funzionare, ci si può allora chiedere: “Perché non tentare subito l’esperimento? Sarebbe facile soddisfare le condizioni del gioco. Utilizzando un certo numero d’interroganti si potrebbero compilare statistiche sulla frequenza dell’identificazione corretta”. La risposta, in breve, e che non ci stiamo chiedendo se tutti i computer digitali riescano nel gioco, né se quelli oggi disponibili siano in grado di farlo, ma se possiamo immaginare computer che vi riescano. Questa è però solo una risposta breve. Più avanti vedremo il problema sotto una diversa luce.
4. Computer digitali
Possiamo spiegare l’idea alla base del computer digitale (digital computer) dicendo che si tratta di macchine che si ritiene possano compiere qualsiasi operazione eseguibile da un calcolatore umano (human computer). Si suppone che il calcolatore umano segua regole fisse e non possieda alcuna autorità per violarle in alcun punto. Possiamo supporre che le regole siano fornite in un libro, modificato ogniqualvolta l’essere umano intraprende un nuovo lavoro. Il calcolatore umano ha a disposizione anche una fornitura illimitata di carta su cui svolge i calcoli. Può anche eseguire le moltiplicazioni e addizioni su una “macchina da scrivania”, ma la cosa non è importante.
Se utilizziamo la spiegazione appena data come definizione corriamo il rischio di incappare in un argomento circolare che però evitiamo fornendo uno schema dei mezzi con cui ottenere l’effetto desiderato. Si ritiene di solito che un computer digitale consista di tre parti:
(i) Un dispositivo di archiviazione.
(ii) Un’unità esecutiva.
(iii) Un’unità di controllo.
L’archivio è un archivio d’informazioni e corrisponde alla carta del calcolatore umano, quella su cui l’essere umano fa i calcoli o su cui è stampato il testo di regole. Nella misura in cui il calcolatore umano esegue i calcoli nella sua testa, una parte dell’archiviazione corrisponderà alla sua memoria.
L’unità esecutiva è la parte che esegue le varie, singole operazioni richieste dal calcolo. Quali siano tali operazioni varierà di macchina in macchina. Se ne possono fare di piuttosto lunghe, come “moltiplica 3540675445 per 7076345687”, ma in alcune macchine sono possibili solo operazioni molto semplici come “scrivi 0”.
Abbiamo detto che il “libro di regole” fornito al calcolatore è rimpiazzato nella macchina da una parte dell’unità di archiviazione. Questa viene allora detta “tavola delle istruzioni”. Compito dell’unità di controllo è verificare che le istruzioni siano eseguite correttamente e nel giusto ordine. L’unità di controllo è costruita in modo tale da far sì che ciò avvenga necessariamente.
Le informazioni archiviate sono scomposte in pacchetti di dimensioni moderatamente ridotte. In una macchina, ad esempio, un pacchetto potrebbe essere composto da dieci cifre decimali. I numeri sono assegnati, in qualche modo sistematico, alle sezioni dell’archivio in cui i vari pacchetti d’informazioni vengono inseriti. Una tipica istruzione potrebbe suonare:
“Aggiungi il numero archiviato nella posizione 6809 a quello della posizione 4302 e inserisci il risultato nell’ultima posizione archiviata”.
Non c’è bisogno di aggiungere che tutto ciò non è espresso dalla macchina in inglese. Più probabilmente verrebbe codificato come 6809430217, dove 17 dice quale, delle varie possibili operazioni, deve essere eseguita sui due numeri. In questo caso l’operazione è quella sopra descritta, vale a dire, “Aggiungi il numero…”. Si sarà notato che l’istruzione utilizza 10 cifre e così compone, in modo certo vantaggioso, un pacchetto d’informazioni. L’unità di controllo assumerà di solito le istruzioni da eseguire a seconda della posizione in cui sono state archiviate, ma a volte si può trovare un’istruzione del tipo:
“Non eseguire l’istruzione archiviata nella posizione 5606”,
o ancora:
“Se la posizione 4505 contiene 0 esegui successivamente l’istruzione archiviata in 6707, altrimenti prosegui”.
Le istruzioni di quest’ultimo tipo sono molto importanti perché permettono che una sequenza di operazioni possa essere sostituita a piacere sino a soddisfare una determinata condizione, non ubbidendo però, volta per volta, a nuove istruzioni in ciascuna ripetizione ma appunto sempre alla medesima. Tanto per utilizzare un’analogia domestica si supponga che la mamma voglia che Tommy, andando a scuola, passi tutte le mattine dal calzolaio per vedere se le scarpe sono state riparate. Può chiederglielo di nuovo tutte le mattine, ma può anche attaccare, una volta per tutte, un biglietto all’ingresso che Tommy vede nell’andare a scuola e che lo informa di passare dal calzolaio, per poi distruggerlo allorché il figlio torna a casa con le scarpe.
Il lettore deve accettare come fatto che i computer digitali possano essere costruiti, che siano già stati costruiti secondo i principi appena descritti e che possano davvero imitare il comportamento umano in modo estremamente accurato.
Il libro di regole utilizzato dal nostro calcolatore umano è naturalmente una comodità fittizia. Gli esseri umani che calcolano ricordano cosa devono fare. Se si vuole che una macchina imiti il comportamento del computer umano in qualche operazione complessa occorre chiedere all’essere umano come viene eseguita, per poi tradurre la risposta in tavola d’istruzioni. La costruzione di tavole d’istruzioni viene di solito indicata come “programmazione”. “Programmare una machina a eseguire un’operazione A” significa inserire l’appropriata tavola d’istruzioni nella macchina in modo che compia A.
Una variante interessante dell’idea di computer digitale è quella di “computer digitale dotato di un elemento random”. Queste macchine possiedono istruzioni che comportano il lancio di un dado o qualche equivalente processo elettronico. Un’istruzione del genere può ad esempio essere: “Getta il dado e inserisci il numero che risulta nell’archiviazione 1000”. Una macchina di tal tipo viene a volte considerata in possesso di una volontà libera (per quanto io non utilizzerei tale espressione). Osservandola non è di solito possibile determinare se la macchina possiede un elemento random; un simile effetto è infatti prodotto da dispositivi che fanno dipendere la scelta dalle cifre del decimale di π.
La maggior parte dei computer digitali possiedono solo un dispositivo d’archiviazione finito, ma non c’è alcuna difficoltà teorica nell’idea di un computer che ne possieda uno infinito. Naturalmente solo una parte finita può essere usata in ciascun momento temporale. Analogamente, se ne può costruire solo un numero finito, ma possiamo immaginare che venga aggiunto un numero sempre maggiore d’entità come richiesto. Tali computer possiedono un particolare interesse teorico e verranno chiamati computer di capacità infinita.
1 A.M. Turing, Computing Machinery and Intelligence, in «Mind» LIX, n. 236 ott. 1950.
2 Ponte nei pressi di Edimburgo, in Scozia [N.d.T.].
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