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Miguel De Unamuno

di Giovanni Balocco

Un uomo che parla agli altri uomini in un linguaggio essenzialmente umano. Unamuno pensa che l’uomo può malamente invocare i suoi diritti senza una previa coscienza della sua umanità. L’ingente opera politica di Unamuno consiste nell’illuminare questa coscienza, con la sua parola e con il suo esempio, nelle viscere del suo popolo
Singolare è stata la storia della Spagna nel secolo Ventesimo o 1900. Ha fatto l’esperienza terribile della guerra civile (1936-1939), che fu il prodromo della Seconda Guerra Mondiale, per poi passare alla lunga dittatura Franchista, e quindi approdare alla democrazia e un notevole sviluppo economico-sociale, per poi entrare nel 1981 nell’attuale Unione Europea, di cui è diventata uno degli Stati trainanti.
Ha avuto anche, sempre nel ’900, un grandioso sviluppo artistico (basti pensare a Pablo Picasso) ed anche filosofico: quest’ultimo è documentato in particolare da Miguel De Unamuno e José Ortega y Gasset. Ci concentriamo, per adesso, su Miguel De Unamuno, nato nel 1864 a Bilbao, professore universitario a Salamanca, e poi aderente alla svolta Franchista della Spagna, dove morirà nel 1939.
Nel 1902 pubblica la sua prima opera significativa: La vita di don Chisciotte e di Sancio, in cui, rimeditando il capolavoro di Miguel Cervantes, mette l’accento anzitutto sul fatto che nella vita ciò che domina non è tanto l’intelligenza, quanto la volontà, rappresentata proprio dal cavaliere folle don Chisciotte: e chi di noi non ha nella sua vita bisogno di un pizzico di follia, come è avvenuto anche per quel cavaliere della fede che è stato Ignazio di Loyola?
Lo sviluppo della scienza è indubbiamente sempre più imponente e grandioso: ma la scienza non potrà mai dirci come spendere intelligentemente la nostra vita e quale senso profondo darle.
E a riguardo della vita, Miguel de Unamuno ha scritto, nel 1913, proprio alla vigilia della catastrofe della Prima Guerra Mondiale, l’opera sua più drammatica: Del sentimento tragico della vita, in cui analizza quella componente tragica e drammatica della vita umana, già intuita dai fascinosi miti Greci, a cominciare dal mito di Edipo, e poi meditata da tanti filosofi successivi, in particolare da Pascal e da Kierkegaard, che, non per nulla, De Unamuno considera come i suoi maestri più stimolanti.
E proprio rifacendosi ad essi, egli scrive la sua ultima opera rilevante: L’agonia del cristianesimo, in cui egli sente profondamente la tragicità della croce come simbolo della vita di Cristo e della vita di ogni suo seguace, con quella serietà di fondo e convinzione della estrema fragilità, ma anche preziosità ed irripetibilità della vita, che ha aveva attirato l’attenzione geniale di Pascal e di Kierkegaard.
E L’agonia del cristianesimo è stato un libro tristemente profetico, perché poco tempo dopo la sua pubblicazione (1926), l’umanità avrebbe provato la gravissima crisi economica e politica del 1929; e, dieci anni dopo, proprio l’anno della morte di Miguel de Unamuno, la storia umana sarebbe precipitata nel baratro della Seconda Guerra Mondiale.
La sua filosofia parte dall’uomo in carne ed ossa, che nasce, soffre e muore e in questo rivela saldi legami con l’esistenzialismo. Perché il vivere è ciò che più importa: per questo si filosofa per vivere. Non si tratta, dunque, di ragione pura, di dogmatismo sistematico, per il motivo che Unamuno pone ragione e vita in due piani opposti su cui è necessario decidere. O si razionalizza la realtà, e in questo caso la si devitalizza, oppure la si vive irrazionalmente. Perché la realtà è vita, esiste, è dinamica e difficilmente imbrigliabile entro la morsa di una ragione che astrae. In questo senso Unamuno ribalta la sentenza hegeliana: si legge nel Sentimento tragico della vita che «tutto ciò che è vitale è irrazionale, mentre tutto ciò che è razionale è antivitale ». Quindi la scienza, figlia della ragione, cosa può dire sui nostri dubbi, sui nostri più profondi bisogni e turbamenti? Cosa può dire sul senso autentico della vita individuale e sull’angoscia? La scienza è un cimitero di idee. Per questo il pensatore spagnolo oppone il conoscere per conoscere al sentimentalismo agonico e tragico della vita.
In effetti, i nostri desideri, i nostri affetti, i nostri timori, non provengono dalla ragione, ma sono a posteriori, così come ogni altra dottrina filosofica.
L’esistenza dell’uomo è contraddittoria: le lotte, soprattutto, sono le viscere della vita stessa. La nostra esistenza vitale è edificata su una lotta tra il cervello e il cuore, tra la ragione e la fede. Unamuno vuole costruire con la fede ciò che ha distrutto con la ragione.
Il Dio di Unamuno è un Dio che parla al cuore, la sua è una cristologia poetica che non rientra nella tradizionale teologia religiosa o filosofica. La prova dell’esistenza di Dio è data dalla nostra istintiva volontà di sopravvivenza, dall’incapacità di rassegnarsi di fronte alla morte, dal desiderio di immortalità. Credere è creare ciò che vogliamo.
Il sentimento tragico, la lotta, arriva fino a Dio stesso: Dio stesso soffre, ma «soffre in me e io soffro in Lui», questa è l’angoscia religiosa. Del resto la sofferenza, l’angoscia della morte, la passione per la vita è un costitutivo della vita del singolo. È ineludibile il problema di Dio, non è ammissibile un atteggiamento agnostico, non può fermarsi a dire «Non so. E’ vero, forse non potrò mai sapere, ma voglio sapere. Lo voglio, e questo mi basta!».

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