Prospettive teologiche per il XXI secolo (a cura di Rosino Gibellini, Queriniana, 2003)
PASSIONE PER IL REGNO
Percorsi del Novecento teologico
(Introduzione)
I. Il secolo breve
Lo storico britannico Eric Hobsbawm nel suo documentato volume Il secolo breve (1994) ha segnato i limiti cronologici del Novecento come fenomeno politico tra il 1914 (con la Grande Guerra, 1914-1918) e il 1991 (con la caduta del muro di Berlino e con la dissoluzione dell’Unione Sovietica, 1989-1991). A differenza dell’Ottocento, che politicamente è un secolo lungo, che si estende dalla Rivoluzione americana (1776) e francese (1789) fino alla Belle Époque, per interrompersi all’inizio della Grande Guerra (1914), il XX secolo è, dunque, «il secolo breve»1. Secondo Hobsbawm, il concetto di «secolo breve», da lui utilizzato, risale a Ivan Berend, già presidente dell’Accademia Ungherese delle Scienze. Nella fitta ricostruzione dello storico britannico, non appare nessun nome teologico o ecclesiale, con l’eccezione di brevi e occasionali menzioni di due papi. L’opera, quindi, pur con la ricchezza di documentazione, si limita a dare le coordinate politiche del «secolo breve» (1914-1991).
Ma, anche sotto il profilo culturale e teologico, si può parlare del Novecento come del «secolo breve». Nel saggio Il cammino della teologia nel Novecento (1984) Jürgen Moltmann delinea il tracciato della teologia cristiana del Novecento, a partire dal retaggio dell’Ottocento, ossia di «quell’epoca della storia europea che ha il suo principio nel 1789 con la Rivoluzione francese, e la sua fine nel 1917-1918 con la prima Guerra Mon diale e la Rivoluzione russa»2, ed è un percorso che ha portato la Chiesa cristiana dall’epoca pre-ecumenica all’epoca ecumenica.
Anche Xavier Gorostiaga – già rettore dell’Università centroamericana di Managua nel Nicaragua – al Congresso di teologia (Madrid 1991) in preparazione al quinto centenario dell’America Latina (1492-1992) notava: «[…] Viviamo all’incrocio di cambiamenti copernicani, anche superiori a quello che significò il 1914-1917. In quell’anno incominciò con ritardo il XX secolo con il grande confronto tra il capitalismo e il socialismo. Il XX secolo è terminato nel 1989 con la caduta del muro di Berlino e con il confronto, che esso comportava, tra Est e Ovest. Il XXI secolo è cominciato già con il confronto tra Nord e Sud, Capitale-Lavoro, che suppone una nuova fase del vecchio confronto, con parametri qualitativamente nuovi»3. E il sociologo latino-americano – che si colloca nella linea della teologia della liberazione – ribadiva e precisava la sua analisi nel secondo Incontro dell’Escorial (Madrid 1992), in occasione del ventesimo anniversario dell’ormai storico primo Incontro dell’Escorial (Madrid 1972), che aveva costituito la prima presentazione a livello europeo ed internazionale della teologia latino-americana della liberazione, che era andata formandosi negli anni 1968-1972: «Il XXI secolo è cominciato con la decade degli anni Novanta. […] Il crollo del muro di Berlino e il collasso dell’esperienza del socialismo statalista in forma rapida e dirompente ha provocato una crisi di paradigmi, un periodo che possiamo qualificare come un’era di perplessità e di incertezza»4.
Nella teologia del «secolo breve» si possono individuare, se si va all’essenziale e ai grandi testi e contesti, applicando una metodologia né scolastica, né dialettica, ma prospettivistica, quattro movimenti5 (e non: correnti6; movimenti, Bewegungen, è categoria usata da Jürgen Habermas per delineare i percorsi della filosofia nel XX secolo7). Si tratta di movimenti, che caratterizzano la tipologia del far-teologia, senza esaurirne impianto, tematica e contestualità.
II. Teologie dell’identità
Il primo movimento della teologia del XX secolo va sotto il nome di teologia della Parola di Dio, o teologia della Rivelazione cristiana. Essa è intesa ad affermare, con Karl Barth, la trascendenza della Parola di Dio; o, con Hans Urs von Balthasar, la in-comparabilità della Rivelazione cristiana nei confronti di ogni filosofia e sapienza umana.
Per Barth, «la rivelazione di Dio è un fondamento che ha nessun altro fondamento, più alto o più profondo, sopra o sotto, ma è un fondamento assoluto in se stesso, e per questo esso è una corte per l’uomo dalla quale non c’è alcuna possibilità di appello ad una corte superiore», in quanto la rivelazione ha «la sua realtà e verità totalmente e sotto ogni aspetto […] all’interno di se stessa»8.
Per von Balthasar non si possono esibire criteri di giustificazione del cristianesimo, che invece ha in sé ed esibisce da sé la sua giustificazione: «Non esiste un altro testo che faccia da chiave al testo divino, che lo renda leggibile e comprensibile, o, diciamo, più leggibile e più comprensibile. Esso deve e intende spiegarsi da sé. Se lo fa, una cosa è certa in partenza: in esso non si troverà nulla di quanto l’uomo avesse saputo per conto suo – a priori o a posteriori, con facilità o con difficoltà, da sempre o attraverso un’evoluzione storica – scoprire del mondo, di se stesso e di Dio»9.
Si colloca in questa tipologia anche il teologo evangelico Eberhard Jüngel, soprattutto nella sua opera principale Dio, mistero del mondo (1977), dove propone una radicale teologia della rivelazione, e cioè, un discorso su Dio che lo pensa esclusivamente a partire dalla sua rivelazione. Le categorie che strutturano la riflessione di Jüngel sono quelle della interruzione e della corrispondenza. Il discorso cristiano di Dio non si pone in qualche continuità con la riflessione filosofica, bensì presuppone una interruzione (Unterbrechung) del pensiero umano nel suo autoporsi e autoassicurarsi; esso si costituisce solo sulla base della rivelazione di Dio, e solo così realizza una corrispondenza (Entsprechung) con la realtà e il mistero di Dio. Jüngel intende coscientemente fare teologia dopo Heidegger e dopo Barth. Dopo Heidegger, in quanto assume la critica heideggeriana di Identità e differenza (1953) alla metafisica come onto-teologia, che pensa Dio come ente supremo, e non nella sua divinità; ma insieme raccoglie l’indicazione che Heidegger dava alla teologia cristiana nella conferenza di Tubinga Fenomenologia e teologia (1927/1928) ad essere pienamente se stessa come «tematizzazione della fede»; e dopo Barth, in quanto assume da Barth la critica teologica della teologia naturale e l’impostazione di una esclusiva teologia della rivelazione10.
Questa prima tipologia della teologia del XX secolo è preoccupata dell’identità della fede cristiana e della specificità del discorso teologico. Le teologie dell’identità riemergono nelle ultime decadi del Novecento, nel contesto di quel complesso fenomeno di fine/inizio secolo, che va sotto il nome di postmodernità11. Indichiamo solo due direttrici: la teologia post -liberale e la teologia della contromodernità.
Precursore della teologia nordamericana postliberale è Hans Frei, secondo il quale il metodo storico-critico dell’ermeneutica moderna della Bibbia ha causato la perdita del realismo narrativo proprio della Scrittura, la quale narra la storia di Dio che coinvolge la nostra vita e ci invita a entrare in questa storia per comprendere la vita12. Questa tesi è poi illustrata nell’ambito della cristologia, dove la perdita del realismo narrativo biblico, in riferimento a Cristo, avrebbe portato a privilegiare il problema del “come” della sua presenza, a scapito del problema della sua “identità”, che è urgente recuperare nell’epoca del pluralismo, per dare identità alla comunità cristiana e alla sua teologia13. Le teologie moderne, che danno priorità sistematica alla filosofia, si espongono al pericolo di distorsioni della verità cristiana. Ma il teologo più rappresentativo in questo recupero dell’identità della teologia cristiana nel contesto dell’epoca del pluralismo è il luterano George Lindbeck (già osservatore delegato al concilio Vaticano II e già collega alla Yale School di Hans Frei) nella sua opera, incisiva e largamente discussa negli USA, The Nature of Doctrine: Religion and Theology in a Postliberal Age [La natura della dottrina: religione e teologia in un’epoca postliberale] (1984). Il termine postliberale non dice riferimento al liberalismo politico, ma alla tradizione liberal americana, e dunque richiama il concetto di progressismo e modernità, ma anche di teologia liberale, intesa però non in una sua precisa accezione, ma come caratteristica della teologia nel contesto della modernità, che ha cercato il dialogo con la filosofia e la cultura secolari sulla base di un comune fondamento di razionalità o di una fondamentale comune esperienza religiosa. Ma, per Lindbeck, bisogna prendere atto che siamo entrati nell’epoca del pluralismo, che deve essere assunto, e con il quale la comunità cristiana può convivere all’insegna della propria identità religiosa. Se nel mondo premoderno le dottrine religiose erano concepite secondo un approccio proposizionale-cognitivo: le proposizioni della dottrina facevano conoscere la realtà ontologica, come nella teologia di Tommaso d’Aquino; se nel mondo della modernità le dottrine religiose erano concepite secondo un approccio esperienziale-espressivo: le dottrine davano espressione all’esperienza religiosa, come nella teologia di Schleiermacher e dei teologi moderni; nel tempo del pluralismo, dopo la svolta linguistica operata dal secondo Wittgenstein con la teoria dei giochi linguistici, e da altri filosofi (Quine, Rorty), Lindbeck propone un approccio culturalelinguistico: le dottrine religiose sono la cultura ed il linguaggio di una determinata comunità religiosa. La comunità cristiana ha il suo proprio linguaggio, derivato dal testo della Bibbia che ne costituisce il lessico; la teologia si fa grammatica del linguaggio della fede (grammar of faith). I membri della comunità cristiana comprendono il mondo attraverso il proprio linguaggio, che rimanda al testo: «È il testo, per così dire, che assorbe il mondo, piuttosto che il mondo il testo»14. E cioè, la storia biblica è interpretativa della storia del mondo, anziché porre la storia del mondo interpretativa della storia biblica. Non si tratta di introdurre categorie extra-bibliche nel discorso teologico, ma di attenersi al testo; la teologia è descrittiva, e non teorica, e nel suo essere descrittiva, è «letteralmente intratestuale». Questo assicura identità alla teologia cristiana, senza decurtazioni e insieme senza toglierle la sua costruttività interpretativa. L’intratestualità (intratextuality) della teologia postliberale15 esclude la correlazione della teologia moderna, o teologia liberale in senso ampio, che tramite la mediazione sarebbe trascinata a introdurre elementi estranei e distorcenti nel discorso teologico, che deve invece conservare la sua integrità epistemologica. La Chiesa cristiana deve parlare e coltivare il suo proprio linguaggio e la sua propria pratica in un tempo che conosce la sua diasporizzazione: «Questa conclusione è paradossale: le comunità religiose diventano verosimilmente rilevanti sul lungo periodo nella misura in cui esse non si interrogano in primo luogo su che cosa sia pratico o rilevante, ma invece si concentrano sulle loro proprie prospettive intratestuali e sulle loro proprie forme di vita»16.
Tra i teologi postliberali si deve anche ricordare il metodista Stanley Hauerwas, che introduce questa prospettiva nel campo dell’etica, e per il quale la prima responsabilità della Chiesa cristiana è di essere se stessa nella fedeltà alla propria tradizione: «Il compito sociale della Chiesa è innanzitutto nella sua volontà di essere una comunità formata da un linguaggio che il mondo non condivide […] l’etica sociale della Chiesa non può essere rinvenuta in primo luogo nelle affermazioni tramite le quali essa cerca di influire sull’etica di quanti hanno potere, ma piuttosto […] deve essere rinvenuta innanzitutto e soprattutto nella sua capacità di sostenere il popolo che non si trova a casa nelle presunzioni liberali di civiltà e società»17.
La teologia postliberale, proposta da Lindbeck, si presenta come nonfondazionale (nonfoundational), in quanto non è interessata ad andare alla ricerca di un fondamento comune per la correlazione18. Ma si presenta anche scettica nei confronti dell’apologetica (le è estraneo il concetto di “teologia fondamentale”), ossia di un sistema difensivo messo in atto per dare giustificazione alla verità cristiana: in questo senso la teologia postliberale è teologia anapologetica, o non-apologetica (unapologetic), secondo la definizione del teologo postliberale William Placher19: la teologia può esplicare delle argomentazioni ad hoc, di volta in volta mirate, ma è scettica nei confronti di una apologetica sistematica, alla ricerca di fondazione e di giustificazione del discorso cristiano.
Di diversa configurazione dalla teologia postliberale è la teologia della contromodernità, che ha il suo principale rappresentante nel teologo britannico anglicano John Milbank, autore di Theology and Social Theory: Beyond Secular Reason [Teologia e teoria sociale: oltre la ragione secolare] (1990), ma che è convergente con essa nel uo caratterizzarsi come teologia nonfondazionale e nel presentarsi come teologia dell’identità. John Milbank afferma la superiorità premoderna del cristianesimo nel mondo della frammentazione postmoderna. La «metanarrazione nonfondazionale» del cristianesimo incorpora una teoria sociale, che è vitalmente adeguata alla nostra età postmoderna e che è significativamente superiore alle teorie sociali, con le quali ci si vorrebbe impegnare a dialogare. Da qui il senso dell’espressivo sottotitolo del libro, “oltre la ragione secolare”: il cristianesimo non deve attardarsi a confrontarsi con le affermazioni del mondo, piuttosto il mondo deve confrontarsi con la visione della tradizione cristiana20. La teologia della contromodernità di John Milbank è premoderna nel ritorno ai grandi racconti (e in questo si differenzia dalla teologia postliberale), ma è postmoderna nel riconoscimento del pluralismo, che impone di preservare la propria identità.
Queste teologie dell’identità hanno una radice barthiana; possono essere definite neo-barthiane, ma si presentano più sofisticate sotto il profilo epistemologico, in quanto si presentano come teologie nonfondazionali (e interpretano la teologia barthiana come teologia implicitamente nonfondazionale), e pertanto sono consapevoli del pluralismo della conversazione umana in cui si inserisce il discorso teologico. Sotto questo profilo è istruttivo il confronto tra il concetto di incomparabilità, o noncomparabilità del messaggio cristiano di von Balthasar, che include oggettivamente la rivendicazione veritativa del messaggio cristiano, e il concetto di incommensurabilità del linguaggio cristiano, teorizzato dalla teologia postliberale, che assume il pluralismo come orizzonte del discorso cristiano, rivendicando solo l’autorizzazione a praticarlo in nome della propria identità religiosa e culturale, che è pur capace di dialogo costruttivo nella rete della conversazione postmoderna, ma senza rivendicazioni veritative (truth-claims) nei confronti delle altre culture e religioni21.
III. Teologie della correlazione
Una seconda tipologia unisce alla preoccupazione per l’identità quella della rilevanza del discorso cristiano sulla realtà esistenziale, antropologica, culturale ed esperienziale umana. Si collocano in questo “movimento” la teologia esistenziale di Rudolf Bultmann, la teologia della cultura di Paul Tillich, la teologia antropologica di Karl Rahner, la teologia dell’esperienza di Edward Schillebeeckx, la teologia ecumenica e inter-religiosa di Hans Küng, la teologia ermeneutica di Claude Geffré e di David Tracy. Qui la teologia è concepita come una correlazione da svolgere tra due poli: da una parte, il polo della rivelazione e della tradizione che la trasmette, e dall’altra il polo esistenziale (Bultmann), culturale (Tillich), antropologico (Rahner), esperienziale (Schillebeeckx, Küng, Geffré, Tracy). Se le teologie dell’identità sono figurabili come un cerchio, che ha il suo centro, le teologie della correlazione sono figurabili come una ellisse, che ha due fuochi, e cioè i due poli che vanno posti in correlazione tra di loro.
Il metodo della correlazione è il metodo proprio proposto ed eseguito da Tillich nella sua Systematic Theology (1951-1963). Secondo Tillich, la riflessione teologica si svolge tra due poli: la verità del messaggio cristiano, e l’interpretazione di questa verità, che deve tener conto della situazione in cui si trova il destinatario del messaggio stesso: «La teologia, come funzione della Chiesa cristiana, deve servire alle necessità della Chiesa. Un sistema teologico è chiamato a soddisfare due necessità basiche: l’affermazione della verità del messaggio cristiano e l’interpretazione di questa verità per ogni nuova generazione. La teologia si muove all’indietro e in-avanti tra i due poli (two poles), la verità eterna del suo fondamento e la situazione temporale in cui la verità eterna deve essere ricevuta»22. La teologia «procede ellitticamente » tra due «fonti» (Schillebee -ckx), o tra due «poli» (Tillich, Küng), e soddisfa così a due «necessità basiche» (Tillich). La parola propria tillichiana per caratterizzare il secondo polo è quella di situazione. Una teologia, che osa coraggiosamente partecipare alla «situazione», si fa teologia «apologetica» (apologetic theology), in quanto «teologia-che-dà-risposte» (answering theology), andando oltre la fissazione ortodossa della teologia kerygmatica, dandole il necessario completamento.
La «situazione» può assumere svariate connotazioni, per cui il metodo della correlazione può essere praticato in molteplici modi. Molte teologie del XX secolo sono definibili come «teologie correlazionali», o «teologie della correlazione». Sono teologie sostanzialmente convergenti sul metodo della correlazione tra domanda, quale scaturisce dall’esperienza umana, e risposta, quale viene formulata dalla tradizione e rivelazione cristiana. Ma la correlazione tra domanda e risposta dev’essere ben calibrata, deve farsi «correlazione critica», e cioè – nelle precisazioni elaborate da Schillebeeckx – questa correlazione la si ottiene, se la domanda umana è configurabile come domanda di senso sulla realtà e sull’esistenza, a cui seguono risposte umane che tentano di articolare un senso, ma che riceve solo dalla risposta cristiana una sovrabbondanza di senso, un senso ultimo e definitivo. La risposta cristiana è, allora, la risposta risolutiva al cercare umano, che si articola in domande radicali e in risposte parziali. Alla domanda radicale sulla realtà e sull’esperienza risponde in modo radicale solo la fede, ma la risposta cristiana non cade perpendicolarmente dall’alto, ma si inserisce in un contesto di esperienza, in cui essa acquista senso, donando sovrabbondanza di senso23.
Questo modo di far teologia ha assunto il nome di «svolta antropologica in teologia», in quanto la teologia non si svolge autonomamente da sé, dalla fonte da cui sgorga la sua verità, ma si confronta, si rapporta, dialoga e risponde alle istanze antropologiche, assunte nella loro ricerca e progettazione di senso della realtà e dell’esperienza umana24. Quella che va sotto il nome di «svolta ermeneutica in teologia» è una diversa configurazione della «svolta antropologica» – determinata dalla svolta linguistica (Wittgenstein) ed ermeneutica (Heidegger, Gadamer, Ricoeur) avvenuta in filosofia – in quanto la teologia si fa consapevole di una correlazione critica tra i due poli, richiede un attento esame interpretativo del testo che porta a noi l’esperienza cristiana fondante delle origini, e del contesto o situazione esperienziale in cui trova espressione la nostra comprensione della vita e del mondo. Scrive Claude Geffré: «Con teologi come E. Schil le beeckx e D. Tracy […] io comprendo sempre più il compito attuale della teologia come una correlazione critica e mutua tra l’interpretazione della tradizione cristiana e l’interpretazione della nostra esperienza umana contemporanea»25.
La grande teologia cattolica francese (Chenu, Congar, Daniélou, de Lubac), che va sotto il nome di «teologia del rinnovamento» (théologie du renouveau), o, sotto quello, allora polemico, di nouvelle théologie, con il suo programma di «ritorno alle fonti», ha agito per far superare alla teologia cattolica «la nostalgia dell’equilibrio medievale»26 e ha preparato la svolta antropologica in teologia, senza portare avanti il discorso teologico fino ad un confronto con la “situazione”, come fanno le teologie della correlazione. Uno dei protagonisti della teologia francese della seconda metà del XX secolo, Christian Duquoc, riconosce una sorta di ridimensionamento di quel grande capitolo della teologia cattolica: «Il ritorno alle fonti non rompe con l’orientamento reattivo della teologia tradizionale. […] Altre teologie hanno voluto assumere la sfida moderna»27.
L’intratestualità, proposta dalla teologia postliberale di Lindbeck, esclude la correlazionalità, così come la escludono o la riducono le teologie cattoliche dell’identità, espresse da von Balthasar e da Ratzinger, che sono intese «a chiarificare e ad affermare la sua propria identità [della teologia cattolica] come tale, e non in correlazione con i contorni sempre mobili e pericolosi della situazione contemporanea»28. Le teologie correlazionali, invece, non rinunciano ad esplorare il polo situazionale, e ad assumere anche un compito apologetico sistematicamente praticato dalla teologia fondamentale: «Abbandonare questo compito critico correlazionale della teologia significa abbandonare, all’interno della teologia, il suo compito riflessivo e insieme abbandonare le rivendicazioni di tutti i profeti e mistici, che parlano direttamente e intenzionalmente alla ricerca umana di significato e di verità»29.
Le teologie dell’identità, anche nelle forme radicali della teologia postliberale e della teologia della contromodernità, rendono attente le teologie correlazionali a operare la correlazione in forma critica, senza maggiorare il polo situazionale, come è avvenuto nelle cosiddette teologie della secolarizzazione. Sotto questo profilo è istruttivo il percorso del teologo battista nordamericano Harvey Cox, dalle analisi di La città secolare (1965), dove aveva tentato di «formulare una teologia per l’era “post-religiosa”, predetta allora con certezza da molti sociologi», alla “ritrattazione” di Religion in the Secular City [La Religione nella città secolare] (1984), fino alla sua più recente opera Fire from Heaven. The Rise of Pentecostal Spirituality and the Reshaping of Religion in the Twenty-first Century [Fuoco dal cielo. Il sorgere della spiritualità pentecostale e la riconfigurazione della religione nel XXI secolo] (1995), dove constata: «È un fatto che la religione – o almeno alcune religioni – sembra aver guadagnato nuove prospettive di vita. Oggi è la secolarità, e non la spiritualità, ad essere incamminata verso l’estinzione», e dove propone l’alleanza tra la spiritualità pentecostale «emozionale, comunionale, narrazionale, aperta-alla-speranza, e radicalmente incarnata» e la spiritualità latino-americana della liberazione, quale si esprime nelle comunità ecclesiali di base: «Se questi due potenti movimenti, che si collocano entrambi sul versante “esperienziale”, dovessero associare le loro forze nei prossimi decenni, il risultato sarebbe di una potenza straordinaria»30.
IV. Teologie politiche
Una terza tipologia ha approfondito la svolta antropologica in teologia in svolta politica, in quanto si propone, in particolare con Johann Baptist Metz e con Jürgen Moltmann, di sviluppare i contenuti sociali e politici del messaggio cristiano. Nasce così negli Anni Sessanta la teologia politica, anzi la nuova teologia politica, per differenziarla dalla religione civile,che esplica invece una funzione di legittimazione religiosa di un ordine politico; la nuova teologia politica pone il problema del rapporto tra teologia e prassi. La fede dei cristiani deve farsi «prassi nella storia e nella società»; «l’ortoprassi è il prezzo dell’ortodossia»31. La teologia politica assume «l’opzione di entrare nel campo della storia» e concepisce la teologia come un «sapere pratico» che non s’interroga solo sul senso della vita e della storia, ma intende fare una «esperienza pratica del senso in mezzo alla vita storica»32.
Se von Balthasar – secondo la prima tipologia – metteva in atto una ragione estetica, nel senso di una ragione percipiente la verità in sé del cristianesimo; se le teologie della correlazione mettono in atto una ragione critica; la nuova teologia politica intende mettere in atto una ragione pratica: «La tanto discussa crisi d’identità del cristianesimo è primariamente una crisi non del messaggio, bensì dei suoi soggetti e delle sue istituzioni, che troppo spesso si sottraggono al senso inevitabilmente pratico del messaggio medesimo e così ne infrangono la forza della sua intel ligibi lità»33. Alla svolta antropologica, avvenuta in teologia (e che nell’ambito della teologia cattolica ha come protagonista il suo maestro Karl Rahner), Metz rimprovera «la riduzione antropologica di storia e società»: è ricuperato il soggetto nei confronti dell’oggettivismo metafisico, ma viene decurtato delle sue dimensioni storiche e sociali; è affermato il soggetto nei confronti dell’oggetto, ma viene privatizzato e come disancorato dalla sua prassi nella storia e nella società. Una apologia moderna del cristianesimo non può essere condotta solo sul piano astratto della storia, ma deve essere condotta secondo una dialettica di teoria e prassi.
Se si confronta il modello delle teologie correlazionali nelle sue svariate versioni e il modello della nuova teologia politica – come fa il teologo nord americano Matthew Lamb, che si colloca nella linea della teologia politica europea – si può notare che il primo modello opera «una correlazione critica teoretica» tra fede e cultura, mentre il secondo opera una «correlazione critica pratica» tra fede e prassi; nel primo caso la teologia ha un carattere dischiusivo di senso, nel secondo ha un carattere trasformativo della prassi; nel primo caso la prassi è derivazione e applicazione della teoria, nel secondo la teoria è orientata alla prassi e trova verifica nel la prassi34.
È una caratteristica che non si attua solo nella teologia politica europea, ma va affermandosi in settori più vasti e differenziati. Constata Jürgen Moltmann: «La teologia latino-americana della liberazione, la teologia nera negli Stati Uniti, la teologia minjung in Corea, la teologia femminista e molte altre forme della teologia mostrano la necessità e la fecondità di questa coscienza politica della teologia cristiana»35.
Nel bilancio del suo trentennale percorso teologico Johann Baptist Metz, in Sul concetto della nuova teologia politica: 1967-1997, riprende e ridisegna il programma di una teo-logia fatta «con uno sguardo sul mondo»; di un discorso su Dio «in questo tempo», di un discorso cioè determinato – secondo la categoria di Jaspers – dalla «situazione spirituale del nostro tempo», il cui tema pertanto è – con riferimento alla grande opera di Heidegger, Essere e tempo – «Dio e tempo». È una teo-logia che è andata assumendo le sfide del tempo: «In primo luogo, il conflitto insoluto con i problemi dell’Illuminismo, poi l’esperienza della catastrofe di Auschwitz e, infine, la presenzializzazione nel “mondo della teologia” di un mondo non-europeo, del Terzo Mondo»36.
Jürgen Moltmann in Dio nel progetto del mondo moderno (1997) mostra come la teologia debba coniugare identità e rilevanza pubblica: «Non esiste identità cristiana che non abbia rilevanza pubblica, né rilevanza pubblica priva di identità cristiana della teologia, perché se si vuole salvare Cristo la teologia deve essere teologia del Regno di Dio»37. Se la Chiesa cristiana è in funzione del Regno di Dio che viene, anche la teologia non può limitarsi ad autocomprendersi solo come «funzione della Chiesa» e proporsi quindi semplicemente come «dottrina della fede cristiana» (Schleiermacher), come «dogmatica ecclesiale» (Barth), o come «grammatica della fede» (Lindbeck): «Se prende la Chiesa sul serio, la teologia dovrà diventare, al pari di essa, una funzione del Regno di Dio nel mondo. E in questa funzione del Regno di Dio la teologia investe anche le sfere della vita politica, culturale, economica ed ecologica di una società. […] In ciascuno di questi ambiti la teologia del Regno di Dio è teologia pubblica, che partecipa quindi alla res publica della società e si coinvolge “in termini critici e profetici”, perché essa vede la realtà pubblica nella prospettiva del Regno di Dio che viene»38.
V. Teologie nell’era della mondializzazione
Il quarto movimento della teologia del XX secolo si attua con quello che può essere definito l’ingresso della teologia cristiana nell’era della mondializzazione.
In un articolo del 1979 (scritto nel ventesimo anniversario dell’annuncio dato da Giovanni XXIII di indire un concilio ecumenico), Karl Rahner scriveva: «Nel concilio la Chiesa ha cominciato ad agire dottrinalmente come Chiesa mondiale in misura germinale. Sotto il fenotipo di una Chiesa ancora in larga misura europea e nordamericana, se così possiamo dire, comincia a farsi notare il genotipo di una Chiesa mondiale autentica»39. Se il fenotipo è l’insieme dei caratteri visibili di un organismo vivente, la Chiesa che ha celebrato il concilio era, nella sua visibilità esteriore, ossia fenotipicamente, una Chiesa prevalentemente europea e nordatlantica, in quanto le tematiche discusse e i contributi apportati provenivano prevalentemente dalla teologia elaborata dalla Chiesa europea e nordatlantica, anche se l’orizzonte della discussione era la Chiesa universale. E tuttavia, se si osserva la Wirkungsgeschichte del concilio, ossia la storia degli effetti che l’evento conciliare e i documenti conciliari hanno operato nel tessuto della Chiesa, si può scorgere nella Chiesa del concilio Vaticano II il germe, ossia il genotipo, di una Chiesa non solo occidentale, ma mondiale, responsabilmente presente e operante nei diversi popoli e nelle diverse culture.
Un indice di questa svolta verso la mondializzazione si ha nella dislocazione dei luoghi, dove si elabora teologia, e dei soggetti che la elaborano. Nascono così nuovi movimenti teologici: la teologia della liberazione in America Latina; la teologia dell’inculturazione in Africa; la nuova teologia delle religioni in Asia; la teologia femminista nel movimento internazionale di emancipazione delle donne. Si potrebbero indicare alcune date significative per individuare il sorgere dei nuovi movimenti teologici: nel congresso di “Theology in the Americas” di Detroit (USA, 1975) si incomincia a parlare, al plurale, di teologie della liberazione: teologia latino-americana della liberazione, teologia nera della liberazione, teologia femminista della liberazione; nel congresso di Dar-es-Salaam (Tanzania, 1976) si costituisce la Ecumenical Association of Third World Theologians (EATWOT); nel congresso di Accra (Ghana, 1977) nasce la Ecumenical Association of African Theologians (EAAT); nel congresso di Wennappuwa (Colombo, Sri Lanka, 1979) il teologo singalese Aloysius Pieris introduceva una importante distinzione nella teologia asiatica, che vedeva caratterizzata da due poli: a) il polo della terzo-mondialità (thirdworldness), e cioè la situazione di opprimente povertà in cui vivono i popoli in Asia, e che rappresenta il contesto socio-economico comune alla teologia del Terzo Mondo; e b) il polo della asiaticità, e cioè il contesto specificamente asiatico caratterizzato dalla presenza di grandi culture e religioni40.
Con questi movimenti la storia dei popoli, nella sua fattualità, entra nel circuito della riflessione teologica. Si va oltre la coscienza storica del XIX secolo, oltre il concetto di storicità (Bultmann) del primo Novecento, oltre una pur recente teologia della storia (Cullmann, Daniélou, Pannenberg): la teologia assumeva la storia reale, segnata da radicale pluralità e da radicale ambiguità, a partire, secondo David Tracy, dalla teologia dopo Auschwitz, elaborata dalla teologia politica tedesca: «L’approccio positivo specifico di queste teologie (politica, della liberazione, femminista) è proprio quello di essere ritornate alla storia – e più esattamente alla storia di coloro che la storiografia ufficiale, e le elaborazioni teologiche cristiane, hanno rinnegato come non-persone, non-gruppi, non-storie; ed è questo che ha dato vitalità e forza a tali teologie»41. E la riflessione ha proseguito ancora oltre il recupero della storia, con il recupero del discorso cosmologico nelle «teologie ecologiche della postmodernità»42.
Nascevano le teologie cosiddette “contestuali”, perché determinate dal contesto – sociale e culturale – mostrando con la loro stessa consistente, continentale, presenza che le teologie universali erano solo teologie universalizzanti, che pretendevano alla universalità oltre il loro stesso contesto. Come argomenta il teologo nordamericano Robert Schreiter in The New Catholicity (1997), ogni teologia nell’era della globalizzazione si situa tra globale e locale, e pertanto deve prestare attenzione sia alle sue dimensioni contestuali, sia alle sue necessarie dimensioni universali. Ma la funzione di universalizzazione, attraverso la quale una teologia è abilitata a parlare oltre il suo proprio contesto, non può essere intesa nel senso di una totalizzazione, che tende a sopprimere le differenze, ma come capacità di apertura ad ascoltare le voci situate oltre i suoi propri confini. Da qui la necessaria dialettica tra contestualità e capacità di universalizzazione: «A me sembra che il concetto di cattolicità possa essere il più appropriato per sviluppare una visione teologica della teologia tra il globale e il locale in una Chiesa mondiale»43.
Questo nuovo passo e quest’allargamento di orizzonti segnano un tornante nella teologia cristiana di fine/inizio secolo. Utilizzando una intuizione di Karl Rahner, Johann Baptist Metz44 ha proposto una periodizzazione della storia del cristianesimo divisa in tre tappe: la prima tappa dura solo un secolo: è il secolo in cui il cristianesimo vive in contesto ebraico e nel quale si fissano le scritture cristiane nel Nuovo Testamento; la seconda è la lunga tappa del cristianesimo occidentale, nella quale il cristianesimo attraversa il mondo ellenista, romano, medievale e occidentalemoderno e giunge fino a noi. Ma con il concilio Vaticano II e con il movimento ecumenico inizia una terza tappa, che segna una svolta da unaChiesa occidentale ad una Chiesa mondiale, culturalmente policentrica, di cui le teologie del Terzo Mondo sono un chiaro indizio.
È uno schema interpretativo convergente con le teologie del Terzo Mondo. Per il teologo africano Oscar Bimwenyi45, la storia del cristianesimo è segnata da tre tornanti: il tornante del concilio apostolico di Gerusalemme, di cui narrano gli Atti degli Apostoli (15,5-29), nel quale si decide l’evangelizzazione dei Gentili; il secondo tornante si verifica con la caduta dell’impero romano e con la decisione dell’evangelizzazione dei popoli che la romanità chiamava “barbari”; ma, ora, la Chiesa, con il crollo del sistema coloniale, avvenuto a metà del XX secolo, si trova di fronte al compito della evangelizzazione delle culture. Anche in questo schema interpretativo l’esigenza è che l’evangelizzazione non sia più espressione di una Chiesa occidentale, ma di una Chiesa mondiale, capace di donare, nell’annuncio del vangelo del Regno, pienezza e integrità di vita ad ogni essere umano e ad ogni popolo.
Questa dilatazione di orizzonti, che è andata realizzandosi nella Chiesa e nella teologia del XX secolo, era già stata prospettata dal missiologo cattolico Walbert Bühlmann in un’opera sorprendente, La terza Chiesa alle porte (1974), in cui scriveva: «Ma dal momento che ormai tutti parlano di Terzo Mondo, perché non dovremmo introdurre anche il neologismo di Terza Chiesa? La Prima Chiesa sarebbe di conseguenza quella orientale, che possiede il privilegio della primogenitura […]; la Seconda sarebbe quella occidentale, che nel corso della storia è diventata sempre più la Chiesa per antonomasia e madre di quelle sorte nel Terzo Mondo; infine la Terza sarebbe quella dei nuovi paesi, che entrano ora come nuovo elemento nella storia mondiale e ecclesiale e che costituiscono le sorprese del nuovo futuro»46.
Robert Schreiter introduce una interessante periodizzazione relativa alla teologia moderna. Egli distingue tre tappe: a) il periodo dell’espansione (1492-1945) del mondo europeo, a cui corrisponde la missione mondiale nel senso della salus animarum e della plantatio ecclesiae; b) il periodo della solidarietà (1945-1989) in termini di crescita e sviluppo, che ha trovato interpretazione ecclesiale nella costituzione conciliare Gaudium et spes (1965) e nell’enciclica di Paolo VI Populorum progressio (1967); c) il periodo della globalizzazione (1989- ), che attende ora nuove risposte teologiche, che Schreiter individua nel concetto di nuova cattolicità: «Mi sembra che un concetto rinnovato e dilatato di cattolicità potrebbe servire bene come una risposta teologica alla sfida della globalizzazione. Esso può fornire un quadro teologico, a partire dal quale la Chiesa potrebbe comprendere se stessa e la sua missione nelle mutate circostanze»47.
I vari capitoli di quest’opera ambiscono a fornire elementi lungo queste direttrici.
Jürgen Moltmann nell’opera già citata Dio nel progetto del mondo moderno (1997) ha evidenziato il passaggio da una teologia come funzione della Chiesa a una teologia, che non si limita a questo compito, ma lo dilata e lo storicizza per porsi «in funzione del Regno di Dio nel mondo». In questa storicizzazione e concretizzazione, in questa «passione per il Regno», si può scorgere una delle più rilevanti caratterizzazioni della teologia del XX secolo.
Altri teologi, cui dà voce Christian Duquoc in La théologie en exile (2002), prospettano una condizione più umile, e pur intensamente partecipe, della teologia cristiana alla vita del mondo: «Essa [la teologia] non pretende di sostituirsi alla filosofia incerta, ma di nutrire nello scambio con essa il senso dei suoi propri limiti; essa si conforta nella frequentazione degli approcci esistenziali che romanzi, poesie e arti diverse mettono a disposizione; essa si fa umile in prossimità dei “buchi neri” della miseria; essa non si esonera dal pessimismo che la circonda e al quale condanna la violenza della nostra storia; essa si stupisce della bellezza del mondo e ammira le riuscite umane; essa riprende vigore al contatto delle donne e degli uomini di coraggio, cristiane/i o non, che non si lasciano andare alla fatalità»48.
VI. Prospettive
L’opera, che presentiamo, è concepita come un bilancio prospettico del Novecento teologico, steso da teologi noti in campo internazionale, che ripercorrono i tratti essenziali delle linee di riflessione emerse nel XX secolo, in particolare negli ultimi decenni, aperte a sviluppi ulteriori agli inizi del XXI secolo. I saggi, richiesti per quest’opera, sono sondaggi e non una panoramica enciclopedica esaustiva, e riescono a coniugare memoria e prospettiva sul futuro.
JÜRGEN MOLTMANN, uno degli artefici della teologia contemporanea, a partire dalla Teologia della speranza (1964), l’opera che ha messo in movimenti i fronti teologici, ripercorre la storia culturale della Modernità, che si focalizza sulla categoria di “progresso” nell’Ottocento, per rovesciarsi in quella di “abisso”, “catastrofe”, “catastrofi”, categoria che riemerge sempre più insistentemente nelle analisi dei più recenti avvenimenti, ma riesce a gettare ponti sul futuro per entrare nel nuovo millennio senza arroganza né rassegnazione, ma nel segno della speranza cristiana. Lo studioso dell’ermeneutica WERNER JEANROND, dopo aver tracciato gli sviluppi filosofici dell’ermeneutica fino a Gadamer e Ricoeur, e gli sviluppi della teologia ermeneutica fino a Geffré e Tracy, affronta le nuove problematiche della teologia nei confronti della sfida ermeneutica: il discorso su Dio si fa discorso sul linguaggio su Dio, e l’interpretazione biblica e teologica si fa plurale, contestuale e interculturale. EDMUND ARENS, che può essere considerato come uno dei più noti rappresentanti della nuova teologia politica della nuova generazione, ricostruisce gli inizi, gli sviluppi, le differenziazioni di questo nuovo percorso teologico, situandolo nel contesto della critica di matrice europea e di matrice latino-americana, ma anche delle più recenti critiche di matrice inglese e nordamericana (Milbank, Hauerwas), che contrappongono alla “teologia politica” una “politica teologica” postmoderna e comunitarista. Arens riprende il filo rosso della nuova teologia politica, svolgendolo nella direzione di una teologia pubblica, critica e comunicativa.
Dopo questi sondaggi nelle più vive e consistenti tendenze della teologia europea a nordatlantica, l’orizzonte si allarga e i saggi si impegnano a fare il punto su quelle che sono state chiamate teologie contestuali, ma nel duplice presupposto che il contesto ha determinato e determina ogni testo, e che il contesto, di volta in volta, si apre alle istanze universali e universalizzanti del discorso cristiano. Il teologo peruviano GUSTAVO GUTIÉRREZ, che con il libro dirompente Teologia della liberazione (1971) ha aperto una breccia nel discorso cristiano della seconda metà del XX secolo, che è andata sempre più allargandosi, situa la teologia latino-americana della liberazione nel contesto delle nuove sfide politiche e culturali in cui essa si trova ad operare in America Latina e nel Caraibico con la sua istanza fondamentale della “opzione per i poveri”. Il percorso della teologia africana è svolto dal teologo congolese SYLVAIN KALAMBA NSAPO, che recensisce i diversi livelli dell’inculturazione del Vangelo nelle culture africane, e mostra come il progetto teologico di inculturazione si coniuga con quello di liberazione e, più recentemente, con quello di ricostruzione. L’Asia è un continente vasto e complesso con un variegato contesto; da qui la varietà delle teologie contestuali asiatiche, che si sono sviluppate negli ultimi decenni, in corrispondenza del costituirsi delle chiese locali, promosse dal concilio Vaticano II, e da una nuova coscienza ecumenica. Il teologo indiano MICHAEL AMALADOSS presenta queste teologie asiatiche emergenti, che mirano con una particolare sensibilità, nel segno della diversità e della relazionalità, a trovare collaborazioni e convergenze nella lotta e nel dialogo, rendendo operante la categoria del Regno. Uno dei movimenti teologici più vivaci ed innovativi, gravido di conseguenze appena solo intraviste, della seconda metà del XX secolo, è quello della teologia femminista, di cui la teologa britannica ELIZABETH GREEN espone e discute gli ultimi sviluppi: i gender studies, le teologie femministe della intersezione tra genere/povertà/razza, l’ecofemminismo, la nominazione di Dio, la spiritualità della sapienza e l’ermeneutica post-coloniale della Bibbia. Ma, al di là dei temi che si sviluppano, è un fronte nuovo di riflessione e di pratica che sta avanzando.
Seguono due saggi dedicati alla teologia morale. MARCIANO VIDAL analizza i cambiamenti intervenuti nel campo dell’etica teologica a partire dal concilio Vaticano II, che hanno portato a un «cambiamento di paradigma», di cui analizza, con vasta documentazione, caratteristiche e prospettive, proponendo un «ridimensionamento della morale all’interno della fede». Convergente su questa linea di una morale autonoma nel contesto cristiano, DIETMAR MIETH cerca di rinvenire, oltre il biblicismo della teologia evangelica e il positivismo dottrinale della teologia cattolica, il principio etico fondamentale della «dignità umana», che deve guidare la riflessione e la pratica nell’ambito della bioetica.
In campo biblico una delle questioni che ha attraversato il XX secolo è la ricerca sul Gesù storico, che è stata aperta dall’ingresso del metodo storico-critico nelle scienze bibliche. Dopo una prima fase, che ormai va sotto il nome di Old quest (Schweitzer, Kähler, Bultmann), e una seconda fase, che prende inizio dal discepolo di Bultmann, Ernst Käsemann, e che va sotto il nome di New quest, ha preso avvio negli ultimi decenni del secolo una terza fase, che dal 1986 è chiamata, dietro indicazione del neotestamentarista britannico Nicholas C. Wright, la Third quest. Essa è caratterizzata dalla molteplicità delle fonti, dalla pluralità delle metodologie e dalla pluriforme varietà dei risultati, che la configurano come «ricerca nel paradigma della postmodernità», e che qui viene ricostruita con grande dottrina congiunta a perizia storiografica dal biblista padovano GIUSEPPE SEGALLA.
Tra i temi di teologia sistematica abbiamo scelto quello centrale della nominazione di Dio nel passaggio dalla modernità alla postmodernità. Aveva scritto il teologo nordamericano DAVID TRACY in un puntuale articolo, Il ritorno di Dio nella teologia contemporanea (Concilium 6/1994): «[…] Nella sua forma migliore, la teologia postmoderna è un onesto, sebbene talvolta disperato, tentativo di far sì che Dio sia nuovamente udito come Dio: frantumando la coscienza storica moderna, smascherando le presunzioni della razionalità moderna, esigendo attenzione per tutti quelli che sono stati dimenticati o emarginati dal progetto moderno». Su questa linea si muove il suo denso saggio, che è un’anticipazione dell’opera in preparazione ormai da tempo, This Side of God – «Questo lato di Dio», il lato di cui si può parlare – in cui mostra come la riflessione su Dio operi il passaggio dalla forma al frammento e debba impegnarsi nella raccolta dei frammenti e nel ricupero delle tradizioni emarginate del Dio nascosto e del Dio incomprensibile.
Segue una sezione, che spazia nell’area dell’ecumenismo e del dialogo inter-religioso. Lo studioso greco dell’Ortodossia, YANNIS SPITERIS, presenta un documentato panorama delle tematiche centrali della teologia ortodossa contemporanea di lingua russa, greca e rumena, mostrandone l’enorme potenziale teologico, destinato ad interagire con la teologia e la vita ecclesiale della altre comunità cristiane. PETER NEUNER ripercorre il cammino dell’ecumenismo, che rappresenta uno degli eventi maggiori, «inatteso e ancora incompiuto», della vita ecclesiale e della teologia del XX secolo. La teologia ecumenica di Oscar Culmann ha prospettato l’«unità attraverso la diversità»; per Karl Rahner e Yves Congar: «La teologia cristiana per il pagano di oggi è la miglior teologia ecumenica». Oltre l’ecumenismo urge un confronto dialogico con il pensiero asiatico dov’è in discussione la stessa concezione di Dio e della realtà ultima che qui viene proposto nelle sue linee essenziali da HANS WALDENFELS. Il confronto e il dialogo con le religioni ha portato ormai all’elaborazione, da parte della teologia cristiana, dei primi lineamenti di una nuova teologia delle religioni. A questo proposito Heinz Robert Schlette nel saggio pionieristico, Le religioni come tema della teologia (1963) riconosceva: «Qui ci si trova di fronte a un terreno dogmaticamente nuovo, paragonabile alle zone in bianco degli antichi atlanti». In questi ultimi decenni è stata tentata una prima mappatura, che CLAUDE GEFFRÉ, impegnato nella elaborazione di un cristianesimo relazionale, illustra nel suo saggio, in dialogo con teologi come Dupuis, Küng, Panikkar, Tracy. Come ha formulato Paul Knitter nella sua recente opera Introducing Theologies of Religions (2002), si pone il problema di come «essere religiosi inter-religiosamente».
Tra le più recenti categorie entrate nel dibattito culturale sono da annoverare quelle, discusse e controverse, della postmodernità e della globalizzazione, che rappresentano per vari aspetti un nuovo contesto epocale e nuove sfide anche per la teologia. Sono categorie presenti e operanti criticamente in numerosi capitoli di quest’opera, ma sono espressamente riprese nei due saggi conclusivi. Il teologo nordamericano ROBERT SCHREITER illustra il passaggio dalla modernità alla postmodernità, mostrando la varietà delle risposte teologiche. JOHANN BAPTIST METZ conclude l’opera con una attenta riflessione, ricca di rimandi culturali e di ispirazione per il futuro del cristianesimo nell’era della globalizzazione, che è anche «l’era del pluralismo delle religioni e delle culture». Aveva scritto il teologo di Münster in Capacità di futuro (1987) – e la sua ardita proposta di correlare il futuro dell’uomo e dell’umanità con il futuro del cristianesimo dà espressione al compito che impegna, e attende, la teologia cristiana: «Non di rado oggi si sente dire che il nostro tempo è da lungo un “tempo postcristiano”. Sarebbe quel tempo in cui si può guardare il cristianesimo solo ancora di spalle, attristati gli uni, ironici gli altri e forse indifferenti i più. Io ho voluto parlare di un tempo – ancora-moderno o post-moderno: lasciamolo qui tranquillamente in sospeso – di un tempo in cui si deve guardare il cristianesimo non di spalle ma in faccia, se si vuol parlare della capacità di futuro degli umani e dell’umanità. E questo tempo è tuttora il nostro».
1 Cf. il titolo originale dell’opera: E. HOBSBAWM, Age of Extremes – The Short Twentieth Century 1914-1991, New York 1994; ed. it. con il titolo abbreviato, Il secolo breve, Rizzoli, Milano 1995.
2 J. MOLTMANN, Il cammino della teologia nel Novecento (1984), in Che cos’è oggi la teologia? (1988), Queriniana, Brescia 1991, 9.
3 Cf. gli Atti del Congresso, V Centenario: Memoria y Liberación (11-15 Septiembre 1991), Centro Evangelio y Liberación, Madrid s.d., 74.
4 Cf. gli Atti del Congresso, J. COMBLIN, J. GONZÁLEZ FAUS, J. SOBRINO (edd.), Cambio social y pensamiento cristiano en América Latina, Trotta, Madrid 1993, 124.
5 R. GIBELLINI, La teologia del XX secolo, Queriniana, Brescia 1992, 559-560.
6 Cf. CHR. THÉOBALD, Le devenir de la théologie catholique depuis le Concil Vatican II, in Histoire du Christianisme, t. 13 (dir. J.-M. Mayeur), Desclée, Paris 2000, 178.
7 J. HABERMAS, Il pensiero post-metafisico (1988), Laterza, Roma – Bari 1991.
8 K. BARTH, Die Kirchliche Dogmatik I, 1, §§8-12, 321.
9 H.U. VON BALTHASAR, Solo l’amore è credibile (1963), Borla, Torino 1966, 50-51.
10 Cf. A. CISLAGHI, Interruzione e corrispondenza. Il pensiero teologico di Eberhard Jüngel, Queriniana, Brescia 1994; J.B. WEBSTER, Eberhard Jüngel. An Introduction to his Theology, Cambridge University Press, Cambridge/UK 1986; R. GIBELLINI, Dio nella teologia del Novecento, in G. PENZO – R. GIBELLINI (edd.), Dio nella filosofia del Novecento, Queriniana, Brescia 1993, 543-561.
11 P. LAKELAND, Postmodernity. Christian Identity in a Fragmented Age, Fortress Press, Minneapolis 1997; G. WARD (ed.), Postmodern Theology, Blackwell, Oxford 2001.
12 H.W. FREI, The Eclipse of Biblical Narrative: A Study in Eighteenth and Nineteenth Century Hermeneutics, Yale University Press, New Haven 1974.
13 H.W. FREI, The Identity of Jesus Christ: The Hermeneutical Bases of Dogmatic Theology, Fortress Press, Philadelphia 1975.
14 G.A. LINDBECK, The Nature of Doctrine: Religion and Theology in a Postliberal Age, Westminster Press, Philadelphia 1984, 118: «It is the text, so to speak, which absorbs the world, rather than the world the text».
15 G.A. LINDBECK, The Nature of Doctrine: Religion and Theology in a Postliberal Age, cit., 113-124.
16 G.A. LINDBECK, The Nature of Doctrine: Religion and Theology in a Postliberal Age, cit., 128.
17 S. HAUERWAS, Against the Nations, Augsburg Press, Minneapolis 1985, 11-12.
18 Cf. JOHN E. THIEL, Nonfoundationalism, Augsburg Fortress Press, Minneapolis 1994.
19 W.C. PLACHER, Unapologetic Theology: A Christian Voice in a Pluralistic Conversation, Westminster/John Knox Press, Louisville 1989.
20 J. MILBANK, Theology and Social Theory: Beyond Secular Reason, Blackwell, Oxford 1990.
21 È una posizione che ha una sua incidenza sulla teologia delle religioni: cf. P.F. KNITTER, Introducing Theologies of Religions, Orbis Books, Maryknoll/New York 2002, 216-237.
22 P. TILLICH, Systematic Theology, vol. 1, University of Chicago Press, Chicago 1951, 3.
23 Cf. E. SCHILLEBEECKX, Il criterio di correlazione: risposta cristiana ad una domanda umana, in Intelligenza della fede (1972), Edizioni Paoline, Roma 1975, 117-143. Cf. anche L. SWIDLER (ed.), Consensus in Theology?, Westminster Press, Philadelphia 1980 (in particolare gli interventi di H. Küng, 1-17; e di D. Tracy, 33-39); H. KÜNG, Teologia in cammino (1987), Mondadori, Milano 1987, 117- 139.
24 P. EICHER, Die anthropologische Wende. Karl Rahners philosophischer Weg vom Wesen des Menschen zur personalen Existenz, Universitätsverlag, Freiburg/Schweiz 1970; G. PATTARO, La svolta antropologica. Un momento forte della teologia contemporanea (postumo), a cura di M.C. Bartolomei e A. Gallas, Edizioni Dehoniane, Bologna 1990.
25 C. GEFFRÉ, Le christianisme au risque de l’interprétation, Cerf, Paris 1983, 9; ID., Credere e interpretare. La svolta ermeneutica della teologia (2001), Queriniana, Brescia 2002; D. TRACY, Plurality and Ambiguity. Hermeneutics, Religion, Hope, Harper and Row, San Francisco 1987.
26 CHR. DUQUOC, La théologie en exile. Le défi de sa survie dans la culture contemporaine, Bayard, Paris 2002, 42. Cf. anche W. KASPER, Teologia e Chiesa (1987), Queriniana, Brescia 1989, 5: «L’evento più appariscente che la teologia cattolica ha vissuto in questo nostro secolo è senza dubbio il superamento della Neoscolastica».
27 CHR. DUQUOC, La théologie en exile, cit., 43-44. Per la teologia francese, cf. la ricostruzione storica di É. FOUILLOUX, Une Église en quête de liberté. La pensée catholique française entre modernisme et Vatican II (1914-1962), Desclée de Brouwer, Paris 1998.
28 D. TRACY, The Uneasy Alliance Reconceived: Catholic Theological Method, Modernity and Postmodernity, in J. WEBSTER – G.P. SCHNER (edd.), Theology after Liberalism, Blackwell, Oxford 2000, 340.
29 D. TRACY, Theology after Liberalism, cit., 350.
30 H. COX, La città secolare (1965), Vallecchi, Firenze 1968; ID., Religion in the Secular City. Toward a Postmodern Theology, Simon and Schuster, New York 1984. Su quest’opera, cf. R. GIBELLINI, Dalla modernità alla solidarietà. Oltre la teologia della secolarizzazione, in Rassegna di teologia 30 (1989) 121-144; H. COX, Fire from Heaven. The Rise of Pentecostal Spirituality and the Reshaping of Religion in the Twenty-first Century, Addison-Wesley, Reading/Mass. 1995 (pagg. cit., XV, 319).
31 Cf. J.B. METZ, Chiesa e popolo ovvero il prezzo dell’ortodossia (1974), in R. GIBELLINI (ed.), Ancora sulla «teologia politica»: il dibattito continua, Queriniana, Brescia 1975, 175-201.
32 J.B. METZ, La fede, nella storia e nella società (1977), Queriniana, Brescia 1978, 160-161.
33 J.B. METZ, La fede, nella storia e nella società, cit., 7.
34 M. LAMB, Solidarity with the Victims. Toward a Theology of Social Transformation, Crossroad, New York 1982, in particolare il cap. 8: “The Relationship between Theory and Praxis in Contemporary Christian Theologies”, 61-99.
35 J. MOLTMANN, Politische Theologie – Politische Ethik, Kaiser/Grünewald, München/Mainz 1984, 9.
36 J.B. METZ, Sul concetto della nuova teologia politica: 1967-1997 (1997), Queriniana, Brescia 1998, 182. Cf. J.B. METZ (ed.), Diagnosen zur Zeit, Patmos, Düsseldorf 1994 (con contributi, tra gli altri, di D. Sölle, J. Habermas); T.R. PETERS – C. URBAN (edd.), Ende der Zeit? Die Provokation der Rede von Gott, Grünewald, Mainz 1999 (con contributi, tra gli altri, di J. Ratzinger, J.B. Metz, J. Moltmann).
37 J. MOLTMANN, Dio nel progetto del mondo moderno. Contributi per una rilevanza pubblica della teologia (1997), Queriniana, Brescia 1999, 8.
38 J. MOLTMANN, Dio nel progetto del mondo moderno, cit. 238 (trad. it. corretta). Cf. J. MOLTMANN – C. RIVUZUMWAMI (edd.), Wo ist Gott? Gottesräume – Lebensräume, Neukirchener, Neukirchen- Vluyn 2002.
39 K. RAHNER, Interpretazione teologica fondamentale del concilio Vaticano II, in Sollecitudine per la Chiesa (Nuovi Saggi VIII = Schriften XIV), Edizioni Paoline, Roma 1982, 351.
40 Per la documentazione, cf. R. GIBELLINI, La teologia del XX secolo, cit., cap. 15, “Teologia del Terzo Mondo”, 481-522; cf. anche V. FABELLA – R.S. SUGIRTHARAJAH (edd.), Dictionary of Third World Theologies, Orbis Books, Maryknoll/New York 2000.
41 D. TRACY, On Naming the Present. God, Hermeneutics, and Church, Orbis Books, Maryknoll/New York 1994, 64. Cf. E. SCHÜSSLER FIORENZA – D. TRACY (edd.), L’Olocausto come interruzione: un problema per la teologia, in Concilium 5/1984, 151.
42 D. TRACY, On Naming the Present, cit., 73-81. Cf. D. TRACY – N. LASH (edd.), Teologia e cosmologia, in Concilium 6/1983, 165-175. Cf. G. ALTNER (ed.), Ökologische Theologie. Perspektiven zur Orientierung, Kreuz, Stuttgart 1989; D.G. HALLMAN (ed.), Ecotheology. Voices from South and North, WCC/Orbis Books, Genève/Maryknoll, NY 1994; L. BOFF – V. ELIZONDO, Ecologia e povertà: grido della terra, grido dei poveri, in Concilium 5/1995 (cf. R. GIBELLINI, Il dibattito teologico sull’ecologia, ibid., 178-190).
43 R. SCHREITER, The New Catholicity. Theology between the Global and the Local, Orbis Books, Maryknoll/New York 1997, 119. Cf. D. MIETH – E. SCHILLEBEECKX – H. SNIJDEWIND (edd.), Cammino e visione. Universalità e regionalità della teologia nel XX secolo, Queriniana, Brescia 1996, 9: «I grandi movimenti universali della teologia non si dissolvono, ma si trasformano: quanto più globali noi siamo, tanto più regionali noi diventiamo».
44 Cf. F.-X. KAUFMANN – J.B. METZ, Capacità di futuro. Movimenti di ricerca nel cristianesimo (1987), Queriniana, Brescia 1988, 92-93.
45 Cf. O. BIMWENYI, Discours théologique negro-africain. Problème des fondements, Présence Africaine, Paris 1981, 59-60.
46 W. BÜHLMANN, La terza Chiesa alle porte (1974), Edizioni Paoline, Roma 1976, 19-20.
47 R. SCHREITER, The New Catholicity, cit., 116-133; qui: 127. Sui conseguenti temi della missione, cf. R. SCHREITER (ed.), Mission in the Third Millennium, Orbis Books, Maryknoll/New York 2001. Cf. anche D.J. BOSCH, La trasformazione della missione. Mutamenti di paradigma in missiologia (1991), Queriniana, Brescia 2000; per la documentazione K. BLASER (ed.), Repères pour la mission chrétienne. Cinq siècles de tradition missionnaire. Perspectives oecuméniques, Cerf/Labor et Fides, Paris/Genève 2002.
48 CH. DUQUOC, La théologie en exile, cit., 116.
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