Rossellini, Fellini, Pasolini e ancora Bellocchio, Benvenuti, i fratelli Taviani, Olmi… Quando si accende la luce nelle sale di proiezione, vuol dire che il film è finito e di esso rimangono solo alcune tracce nella mente di chi l’ha seguito fino al termine. Le neuroscienze ci avvertono, però, che la proiezione non avviene solo sullo schermo, bensì sulla retina di chi lo guarda e da lì i nervi ottici inviano al cervello. Alla camera oscura della sala cinematografica corrisponde quella che è racchiusa nel bulbo oculare: come dire che l’obiettivo è sempre puntato sulla realtà.
Una realtà che Virgilio Fantuzzi dalle pagine di Civiltà Cattolica ha voluto scandagliare alla ricerca dei germi del divino “catturati” dalla macchina da presa dei registi, come dire la Luce oltre la luce della sala. Scoprendo che il più delle volte quei germi sono nascosti – ma ancora rintracciabili – tra la polvere e il fango, come Il Vangelo secondo Matteo di Pasolini o Francesco giullare di Dio di Rossellini o più indecifrabili ad una visione frettolosa come quella realtà del carcere eppure così presente nel film di Ermanno Olmi su Carlo Maria Martini, Vedete, sono uno di voi. «La Chiesa deve riconoscere i propri errori – dice Martini – ma lo scandalo storico dell’ingiustizia sociale è il fatto che l’umanità non sia riuscita a tenere insieme benessere, lavoro, libertà, democrazia e soprattutto pace».
Un tema, quello della ricerca del religioso, ben conosciuto dai molti animatori di cineforum rivolti prevalentemente a ragazzi e giovani. Ma che forse in questi anni va allargando per così dire gli orizzonti anche al mondo adulto: significativo l’editoriale del 1° marzo della rivista dei gesuiti America dal titolo “I temi cattolici (e morali) nei film candidati agli Oscar”, assegnati a Los Angeles nella tarda serata di domenica 4 marzo.
Fantuzzi in una serie di interventi pubblicati di recente su Civiltà Cattolica, e ora raccolti in questo ultimo testo, si addentra tra le immagini che scorrono alla ricerca delle intenzioni dei grandi maestri del nostro cinema italiano, talvolta con la compagnia virtuale del critico Gianluigi Rondi (autore del ponderoso volume che raccoglie mezzo secolo di diari, 1947-1997, a contatto con il mondo del cinema, Le mie vite allo specchio, Edizioni Sabinae 2016).
Il lettore spesso viene a conoscenza anche di quanto avvenuto dietro le quinte, come nel caso delle autentiche peripezie in occasione della lavorazione di Francesco giullare di Dio dove hanno lavorato dei veri frati minori.
«Il cinema è fatto di immagini. Le immagini si nutrono di sensazioni. Non resta dunque che lasciarsi andare come ogni spettatore al flusso della corrente. La visione di un film, infatti, può essere paragonata a un viaggio lungo un fiume su una barca che non ha bisogno né di motore, né di remi, perché si lascia trasportare dalla corrente. Talvolta sobbalza sulle rapide. Talaltra scivola con movimenti impercettibili sulla superficie dell’acqua liscia come l’olio. Il tempo scorre. La foce si avvicina. Da lontano si ode lo sciabordio delle onde del mare…» scrive l’autore, nato a Matera nel 1937, gesuita e redattore di Civiltà Cattolica, studioso di storia dell’arte, e appassionato di quella contemporanea, ma soprattutto di cinema e del linguaggio cinematografico che ha approfondito frequentando a Parigi il Séminaire publique sulla Sémiologie du cinéma tenuto da Christian Metz presso l’École Pratique des Hautes Études.
E il libro si snoda con lo stile di un racconto fatto di immagini e di ricordi (frutto delle tante frequentazioni di Fantuzzi sui set e non solo), di sensazioni e valutazioni. Spesso autorevoli, come quella confessione, per certi versi enigmatica, fatta da papa Francesco nell’intervista rilasciata a padre Spadaro: «La strada di Fellini è il film che forse ho amato di più. Mi identifico con quel film, nel quale c’è un implicito riferimento a san Francesco».
«Una cosa è il punto di vista del film e un’altra è il punto di vista di chi lo guarda – avverte quasi di passaggio il gesuita –, perché, per quanto si ispiri alla realtà, della quale conserva l’apparenza, un film è pur sempre una finzione e come tale merita di essere visto e interpretato. L’influsso letterario, riconoscibile all’interno di una pellicola, non si esprime necessariamente in citazioni riconoscibili come tali, ma nell’atmosfera culturale che avvolge i personaggi e determina il loro modo di parlare e di comportarsi». Significativo il Giulio Cesare dei Fratelli Taviani. O la vetta raggiunta dal film di Olmi sul cardinale Martini con quell’apertura sulla stanza nuda dell’Aloisianum dove ha trascorso gli ultimi anni di vita e il letto dove è morto.
Un testo che, vuoi per l’esperienza, vuoi per la competenza dell’autore, è destinato a diventare un classico per gli appassionati di cinema e per quanti si accingono ad animare cineforum su opere dei grandi registi italiani alla ricerca dei germi del sacro, il rovescio della medaglia della scoperta del
senso della vita.
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