Titolo: Piegare i santi. Inchini rituali e pratiche mafiose
Autore: Berardino Palumbo
Editore: Marietti 1820
Pagine: 176
Anno di pubblicazione: 2020
Prezzo copertina: 13,00 €
Recensione a cura di Mario Turco
Gli inchini di statue cattoliche durante celebrazioni religiose verso case di mafiosi agli arresti domiciliari o loro parenti sono cronaca di tutti i giorni. E lo saranno per ancora tanto tempo considerata l’endemia dei due mali nelle terre meridionali (ma non solo, come mostrato oramai dalle conclamate infiltrazioni ‘ndraghetiste nei distretti industriali del Nord). Ci si può affacciare all’evento con la solita postura illuministica che ritrae inorridita di fronte a tale commistione o si può scavare nell’entroterra e nel retroterra di tale pratiche per provare a gettare una luce diversa, dal di dentro accaldato piuttosto che dal di fuori di un elzeviro accalorato. Berardino Palumbo, professore di Antropologia sociale all’Università di Messina e con all’attivo ricerche etnografiche in Ghana e in Italia, sceglie per la fortuna di noi lettori di deporre le usuali retoriche etiche con il saggio “Piegare i santi – Inchini rituali e pratiche mafiose”.
Un libro solo all’apparenza agile, per formato e numero di pagine, ma che invece è un concentrato di notazioni interessanti su un fenomeno ancora “liquidato come pagano e premoderno. Esso richiede in realtà una lettura in grado di comprendere la complessa e più generale macchina rituale della festa”. Come sottolinea acutamente Palumbo gli omaggi devozionali ai boss vengono spesso descritti dai commentatori (e quasi un intero capitolo riporta esempi in tal senso) come “episodi che metterebbero in luce una religiosità non corretta, rispetto alla quale la Chiesa dovrebbe prendere energicamente le distanze”. Bisogna guardare invece, da attenti studiosi di scienze sociali più che da anime belle, allo spazio pubblico in cui si sviluppano tali inchini: “E’ da chiedersi, cosa intendiamo per “religione”? Pratiche devozionali come l’auto flagellazione, la spogliata di neonati sotto le statue di santi patroni e Madonne, lo stesso posizionarsi sotto le statue durante i riti processionali, le gare di vario tipo messe in atto per giocare questo ruolo o l’annacata (ossia l’andatura oscillante che i portatori delle vare processionali imprimono alle statue durante le processioni e che, spesso, gli attori sociali leggono come un’affermazione di forza personale, sociale e “politica” da parte dei portatori) sono atti religiosi – come rivendicano con decisione coloro che li compiono – o semplici manifestazioni esteriori di una distorta concezione della fede cattolica, facilmente manipolabile dalla criminalità organizzata, se non addirittura esempi di superstizione – come una parte sempre più significativa della Chiesa cattolica sembra supporre?”.
In tal senso le risposte che Palumbo fornisce non sono mai definitive. Egli allarga ad esempio anche alla commistione tra politica, amministrazione e comitati religiosi l’humus nel quale indagare. Clamoroso in questo senso il capitolo “Tram e spazi sacri” dove egli riassume la vicenda della progettazione e della realizzazione dell’infrastruttura pubblica del tram che si è dovuta plasmare in relazione alla devozione e alla ritualità popolari. Il percorso del tram urbano venne modificato perché quello previsto dal progetto si sovrapponeva al percorso della Vara dell’Assunta, la principale processione pubblica della città. Un racconto dunque emblematico di una sovrapposizione tra religione, cosa pubblica e politica che connota la realtà contemporanea e la modernità delle nostre città. In “Piegare i santi” in più punti la vicinanza quanto non proprio la contiguità dell’autore con certi ambienti diventa lente privilegiata per far capire al lettore quanto siamo ancora lontani dall’abbandonare certi comportamenti. Il lingere terram (l’usanza dei fedeli di leccare con la lingua le strade dove passa la statua del santo), le masculiate (i fuochi d’artificio, ricondotti da Palumbo all’aggressività fallocentrica) e le batoste fisiche da parte dei comitati parrocchiali perfino ai vescovi che non ottemperano all’uso delle tradizioni sono evidenze di contesti che non intendono nemmeno mettere in discussione il loro arcaismo. Se dal punto di vista antropologico comprendere non significa condividere certe pratiche religiose né tantomeno condannarle da un’ottica presuntuosamente civilizzata, con la lettura di questo denso saggio possiamo almeno sperare di conoscere un po’ meglio il perché l’inchino ai mafiosi sia una pratica rituale quanto quello fatto alle donne.
L’AUTORE
Berardino Palumbo, professore ordinario di Antropologia sociale all’Università di Messina, è autore di saggi pubblicati sulle principali riviste scientifiche internazionali di antropologia. Tra le sue pubblicazioni L’Unesco e il campanile (Meltemi 2003) e Politiche dell’inquietudine (Le lettere 2009).