La letteratura alla periferia dell’Impero Britannico – Irlanda, Canada, Nuova Zelanda, Scozia, Australia, Sud Africa – è stata sempre percepita come ancillare a quella della madre patria. In particolare, le scrittrici hanno dovuto elaborare questa differenza cercando una nuova terra letteraria e una voce. La lingua, che sarebbe dovuta essere il collante più efficace, si è rivelata spesso un ostacolo all’espressione di una cultura necessariamente diversa da quella inglese, perché influenzata dal territorio in cui si è sviluppata. Se è vero che la lingua è l’espressione della cultura di un popolo, e che la cultura è lo specchio di un Paese, gli scrittori di lingua inglese hanno sicuramente dovuto individuare un nuovo baricentro geografico-letterario che non fosse l’Inghilterra.
Margaret Atwood, canadese, settantasei anni, è nata a Ottawa, in Ontario. Il padre era entomologo e la madre nutrizionista e dietologa. Sin dall’infanzia, a causa della professione del padre, passa lunghi periodi nelle foreste del Québec in compagnia dei libri. È in quel periodo che nasce la sua passione per le fiabe. Margaret Atwood, prosa scintillante e raffinata, è una delle esponenti più poliedriche della letteratura mondiale anche grazie al suo romanzo più potente e significativo: Il racconto dell’ancella, uscito nel 1985. Ammesso che le etichette di genere abbiano senso quando il valore di un libro è assoluto, Il racconto dell’ancella – il titolo è debitore a Geoffrey Chaucer e ai suoi Racconti di Canterbury – è uno dei romanzi distopici più importanti e significativi di tutti i tempi. Più volte candidata al Premio Nobel, Atwood è un’autrice prolifica e curiosa, ha esplorato la scrittura in ogni declinazione: saggi, romanzi, racconti, poesie, letteratura pura e di impegno politico e etico.
Il tema fondante della letteratura di Margaret Atwood, sin dagli esordi, è il corpo della donna. L’ambizione a un femminismo consapevole e lontano dai fanatismi ha dato vita a uno dei romanzi più dolorosi e meno consolatori della letteratura: un libro su cui, negli Stati Uniti, gli studenti del liceo preparano l’esame di English Literature and Composition. C’è chi al Racconto dell’ancella rimprovera scene di sesso troppo esplicite, chi una visione negativa della religione, altri un urticante femminismo fondamentalista. Nella classifica dell’American Library Association sui cento libri più contestati del decennio 1990-2000, Il racconto dell’ancella si pone al 37esimo posto. L’accusa più recente di cui è stato fatto oggetto è quella di anti-islamismo per via della presenza di tante donne velate raffigurate come schiave sessuali. Margaret Atwood ha anticipato alcune delle tematiche care al femminismo – il rovesciamento dei ruoli sessuali e la liberazione della donna – di cui ha cominciato a occuparsi prima ancora che il movimento ne facesse la propria bandiera.
Ha vinto il Premio Arthur C. Clarke, il Premio Principe delle Asturie per la Letteratura e il Booker Prize nel 2000 con L’assassino cieco, romanzo in cui mescola in modo esemplare il gotico e il giallo, la fantascienza e il reportage.
Sia nei suoi primi libri, La donna da mangiare, Tornare a galla, L’altra Grace, Occhio di gatto, che nella più recente Trilogia di MaddAddam (di cui fanno parte L’ultimo degli uomini, L’anno del diluvio, L’altro inizio) i temi sono il corpo della donna, il degrado politico, l’ambiente – che, nei suoi ultimi lavori, ha guadagnato sempre più rilevanza – e l’integralismo religioso. Per scriverne Atwood ha scelto, dicevamo, la chiave distopica: descrivere il peggiore dei mondi possibili per capire il nostro. Tra le fonti di ispirazione ha sempre sempre avuto le fiabe e i miti, rielaborati con una cifra stilistica affatto personale. Elena di Troia balla sul bancone, contenuta nella raccolta di poesie Mattino nella casa bruciata, pubblicata nel 2007 da Le Lettere e curata da Giorgia Sensi e Andrea Sirotti, ne è un esempio convincente:
Certo che qua dentro solo tu
mi puoi capire.
Gli altri vorrebbero guardare
senza sentire nulla. Ridurmi alle componenti
come in una fabbrica di orologi o un mattatoio.
Spremere fuori il mistero.
Murarmi viva
nel mio stesso corpo.
Vorrebbero leggermi dentro,
ma non c’è niente di più opaco
della trasparenza totale.
Guarda – i miei piedi nemmeno toccano il marmo!
Come fiato o aerostato, mi sollevo,
lèvito a quindici centimetri da terra
nella mia luce di fiammeggiante uovo di cigno.
Pensi che non sia una dea?
Mettimi alla prova.
Il racconto dell’ancella e il peggiore dei mondi possibili
Nel caso del Racconto dell’ancella, i miti cui la Atwood si ispira sono di matrice biblica, mentre le vicende che racconta sono fatti realmente avvenuti in qualche parte del mondo, collocati nell’immaginaria Repubblica di Galaad – un regime dittatoriale insediatosi nel Nord America alla fine del Ventesimo secolo, dopo che la guerra e l’inquinamento chimico e radioattivo hanno devastato l’ambiente. Il problema fondamentale del mondo è la crescita zero, (tema che ricorre anche nell’ormai classico I figli degli uomini di P.D. James, scrittrice inglese di libri gialli, alla sua prima e unica incursione nella fantascienza): la percentuale di sterilità è altissima, e ogni governo, nella sua “sfera d’influenza”, sceglie i mezzi che ritiene più adeguati per mantenere il controllo sulla popolazione. Nella Repubblica di Galaad, dove vive Difred, la protagonista, le donne sono asservite all’uomo, private della propria identità, del conto in banca e di qualsiasi altro diritto fondamentale e tenute in considerazione solo in virtù della possibilità di procreare. Qualsiasi altra religione, fuorché quella cattolica, è fuori legge, non ci si può sposare se non in chiesa ed è severamente proibito leggere (come in Fahrenheit 451, uno dei romanzi cui la Atwood è debitrice).
Le “nondonne” sono le sterili o le anziane, ed essendo inutili al disbrigo persino dei lavori più umili, vengono fatte sparire. Ai vertici del potere ci sono i Comandanti, le cui Ancelle hanno la funzione di schiave sessuali a fini procreativi. I Comandanti che hanno mogli infertili – nella Repubblica di Galaad, l’impossibilità di procreare è sempre da imputarsi alle donne – hanno diritto a un’ancella, come è scritto anche nella Genesi: “‘Ecco la mia serva Bila: unisciti a lei, così che partorisca sulle mie ginocchia e abbia anch’io una mia prole per mezzo di lei’. Così essa gli diede in moglie la propria schiava Bila e Giacobbe si unì a lei.” All’educazione e al rigore morale – al lavaggio del cervello – di queste donne provvedono le Zie. Le Marte sono le governanti, e gli Occhi sono uomini appartenenti ai Servizi Segreti. L’esistenza delle prostitute non è ufficialmente ammessa, né consentita e, tuttavia, in una scena memorabile, il Comandante porta Difred in un bordello frequentato da altri notabili di Galaad. Uno dei punti di forza della narrativa di Atwood è la vena satirica. L’ironia in una prosa che descrive avvenimenti di una ferocia disarmante crea una sensazione di straniamento e consolida un intreccio già potente.
Le donne non hanno più un nome. Difred – nell’originale Offred – è composto dalla preposizione semplice di e dal nome di battesimo del Comandante cui viene assegnata. Dal momento in cui l’ancella – una donna in età fertile, ancora in grado di procreare – entra nella casa di un Comandante, diventa di sua proprietà. Veniamo a conoscenza della storia di Difred tramite un nastro registrato, trovato più di un secolo dopo gli eventi raccontati nel libro. In un mondo, che per l’appunto è il peggiore tra quelli possibili, le donne sono nemiche delle donne: “Zia Sara e Zia Elisabetta vigilavano, camminando avanti e indietro; avevano dei pungoli elettrici di quelli che si usano per il bestiame agganciati a delle cinghie che pendevano dalle loro cinture di cuoio.”
In un mondo che è il peggiore tra quelli possibili, le donne sono considerate solo un guscio per partorire, la gravidanza libera dall’inutilità e diventa salvezza da una morte certa: “Esiste più di un genere di libertà, diceva Zia Lydia. La libertà di e la libertà da. Nei tempi dell’anarchia, c’era la libertà di. Adesso vi viene data la libertà da. Non sottovalutatelo.” Nella stanza in cui deve sostanzialmente restare reclusa, Difred scopre una frase scritta in un latino maccheronico con la punta di uno spillo dall’ancella che l’ha preceduta e che poi si è suicidata: Nolite te bastardes carborundorum, “Non lasciare che i bastardi ti schiaccino”. La privazione dell’identità passa per il divieto di leggere e, va da sé, di scrivere. Di conseguenza, il desiderio di avere un corpo si identifica con la scrittura. La penna, simbolo fallico, diventa emanazione del potere maschile, oggetto di desiderio erotico, lotta per la vita:
La penna tra le mie dita si anima, diventa quasi viva, ne sento la forza, sento la forza delle parole che contiene. La penna è invidia, diceva Zia Lydia, citando il motto di un altro Centro, per ammonirci a stare lontane da tali oggetti. E aveva ragione, è invidia, il solo tenerla in mano è invidia. Invidio al Comandante la sua penna.
Difred cerca di dimenticare il suo passato, il suo compagno, la figlia che le è stata strappata e data in adozione prendendo le distanze dalla sfera emotiva e concentrandosi sulla sopravvivenza:
Tutto ciò che hanno insegnato al Centro Rosso, tutto ciò cui ho resistito, mi inonda come un’alluvione. Non voglio soffrire. Non voglio essere una ballerina, coi piedi sospesi da terra e la testa chiusa in un rettangolo di stoffa bianca. Non voglio essere una bambola appesa al Muro, non voglio essere un angelo senz’ali. Voglio continuare a vivere, in qualsiasi modo. Consegno il mio corpo nelle mani di altri. Possono fare di me quello che vogliono. Sono un essere abietto.
Nel Racconto dell’ancella la sospensione dell’incredulità è tanto più efficace quanto più verosimili sono gli eventi descritti: donne sopraffatte e donne complici, stati confessionali, abuso di potere, corruzione, ipocrisia. Atwood ha studiato a lungo il regime comunista e il nazismo, dei quali nel Racconto dell’ancella si coglie più di un’eco. Malgrado sia stato scritto più di trent’anni fa, testimonia la lungimiranza della scrittrice canadese e resta di un’attualità sconcertante, in particolare in Italia, per quanto riguarda la recente e sessuofobica campagna politica sulla natalità; curiosamente, proprio l’Italia è il paese in cui questo romanzo è meno conosciuto.
Tra le scene più raccapriccianti e indimenticabili del libro c’è la “cerimonia” durante la quale il Comandante si accoppia con Difred. Serena Joy, la moglie del Comandante, sdraiata sul letto, la tiene per le braccia. Il Comandante, davanti a lei, le solleva leggermente la tunica e la penetra. Il suo corpo diventa un prolungamento di quello della moglie del Comandante, non ha testa, non ha cuore, non ha carne. Il Comandante è sterile, ma naturalmente questo, a Galaad, è inammissibile: la responsabilità è sempre delle donne. La svolta nella vita di Difred arriva quando il Comandante si innamora di lei – per comprare il suo amore le permette di dedicarsi ad attività proibite e illegali, quali giocare a Scarabeo, leggere riviste di moda, fumare una sigaretta – e quando, quasi contemporaneamente, Difred inizia una relazione clandestina con Nick, il Factotum del Comandante, evento che segnerà il suo futuro. Ne Il racconto dell’ancella, la scrittura della Atwood rispecchia esattamente la vita di Difred: scarna, essenziale, crudele. L’identificazione tra scrittura e corpo, cui si è accennato in precedenza diventa assoluta, del tutto priva di artifici retorici, persino iperrealista.
La Trilogia di MaddAddam e la fantascienza sociale
Diciotto anni dopo la pubblicazione de Il racconto dell’ancella, nel 2003, Margaret Atwood dà alle stampe il primo romanzo della Trilogia di MaddAddam: L’ultimo degli uomini, che sarà seguito nel 2009 da L’anno del diluvio e nel 2013 da L’altro inizio. Il genere letterario che fa da cornice alle storie è sempre la distopia, ma in questa seconda fase della sua vita letteraria, l’attenzione della Atwood è più concentrata sulla genetica, sui disastri ambientali e sull’impatto irreversibile che hanno sugli esseri umani. Pur mantenendo sempre fisso lo sguardo sulla condizione delle donne, la Atwood allarga il campo sull’analisi del contesto e delle cause.
Mentre Il racconto dell’ancella rappresenta idealmente un primo piano sulla condizione disgraziata delle donne e sugli abissi dei fondamentalismi religiosi, con accenni inquietanti alle cause che li hanno determinati, la Trilogia di MaddAddam è una telecamera che si allontana lentamente dai protagonisti e rimanda allo spettatore il quadro completo entro il quale i personaggi sono costretti a muoversi. La scrittura resta chirurgica, ma il grottesco che, nel Racconto dell’ancella, era presente solo in sfumature occasionali, qui acquista consistenza e colore. Sempre attenta alle problematiche ambientali, l’attivismo di Margaret Atwood in questi ultimi tempi ha coinciso con la sua produzione letteraria.
Attivismo e attenzione all’ambiente che coinvolgono anche il rispetto per qualsiasi forma di vita: uno dei temi su cui la Atwood fonda il suo pensiero militante è l’alimentazione vegetariana, e – più letterariamente – l’identificazione delle donne con le prede. Ne L’ultimo degli uomini, i Craker, la stirpe di pacifici mutanti creata in laboratorio, puri e inoffensivi, è erbivora. Il caos che ha portato alla fine dell’ordine mondiale come lo conosciamo era la divisione tra la massa – che abitava nelle plebopoli – e i benestanti, che si proteggevano chiudendosi nei recinti. Gli animali, all’interno dei recinti, venivano allevati solo per l’espianto degli organi da trapiantare agli uomini. Malgrado il caos sociale precedente e successivo all’epidemia che ha azzerato tutto, la speranza, totalmente assente nel Racconto dell’ancella, riesce a trovare uno spiraglio sia in questo romanzo che nei due successivi volumi appartenenti alla Trilogia: uno degli aspetti – come i disastri ambientali, la scarsa natalità, la centralità delle donne – che la accomuna al grande romanzo distopico di Doris Lessing Mara e Dann, sudafricana, anche lei significativa esponente della letteratura dei paesi di lingua inglese che hanno saputo trasformare la distanza dal centro del canone in una nuova identità letteraria.
Il genere nel quale incasellare Il Racconto dell’ancella e la Trilogia di MaddAddam è da molti definito fantascienza tout court, essendo la distopia uno dei filoni della science-fiction. Contro questa definizione ha protestato la stessa Atwood, in un’intervista al Guardian del 2003 – all’indomani della pubblicazione de L’ultimo degli uomini – sostenendo che nei suoi libri non si parla di astronavi, di teletrasporto, di alieni o di mostri e che più che alla fantascienza, i suoi romanzi appartengono alla narrativa speculativa (speculative fiction), in cui compaiono anche elementi di fantasy e horror.
Successivamente, nel 2005, ha precisato che Il racconto dell’ancella e L’ultimo degli uomini sono romanzi di fantascienza sociale, e che benché per alcuni i termini narrativa speculativa e fantascienza siano intercambiabili, per quanto la riguarda, i libri di fantascienza descrivono luoghi che gli esseri umani non conoscono, eventi futuribili e inventati e imprese irrealizzabili nel presente, mentre le opere di narrativa speculativa descrivono mezzi e strumenti reali, a portata di mano, e avvenimenti che hanno luogo sulla Terra. In sintesi, la sua predilezione per la narrativa speculativa è motivata dalla possibilità di esplorare le tematiche che le sono più care in modi che il romanzo realistico non potrebbe consentirle.
Se Il racconto dell’ancella è centrato sulle vicende di Difred, ne L’ultimo degli uomini – benché i personaggi principali siano uomini – è una donna a rappresentare il nodo cruciale dell’intreccio: Oryx ha subito abusi sessuali da bambina, è stata ridotta in schiavitù e successivamente è diventata la divinità femminile della tribù dei Craker. Ma, nella Trilogia di MaddAddam, come accennavo in precedenza, quel che più conta è il quadro d’insieme. Ne L’anno del diluvio, un romanzo che nelle figure delle protagoniste, Toby e Ren, è ispirato al rapporto padre-figlio tra Ulisse e Telemaco dell’Odissea, tornano i temi della sterilità e dell’epidemia, della solidarietà tra gli ultimi e gli emarginati e, soprattutto, si lascia aperto uno spiraglio di speranza nei confronti del futuro. Nell’ultimo libro della Trilogia, i Craker e i pochi umani scampati al Diluvio Senz’Acqua, si incontrano e si uniscono a Toby e Ren, in un villaggio-rifugio: il viaggio infinito, l’Odissea – mito caro alla narrativa della Atwood – si conclude nell’incontro tra uomini e donne.
Invece nel Racconto dell’ancella il viaggio non si compie e il cerchio non si chiude. Non sappiamo come finisca la storia di Difred, una volta portata in salvo da Nick – appartenente ai Servizi Segreti ma anche all’organizzazione clandestina che mirava a rovesciare la Repubblica di Galaad. Dai frammenti di cui siamo a conoscenza, la figlia di Difred si è salvata, ma non sapremo mai se riuscirà a ricongiungersi alla madre. Il compagno di Difred, Luke, è stato presumibilmente ucciso, e di lei si perdono le tracce. Il finale niente affatto consolatorio di questo libro può sembrare spietato e amaro. Tuttavia, è l’unico modo per avviare una riflessione seria sui temi più controversi dell’attualità, per accrescere il valore letterario del romanzo che mantiene alta la sospensione dell’incredulità e che, con il suo rigore linguistico e a l’adesione fedele alla narrativa speculativa, non si piega a un morbido lieto fine.
Il racconto dell’ancella è considerato un libro fondamentale in tutto il mondo e tuttavia, in Italia, è pressoché sconosciuto anche tra i professionisti della scrittura, fatto salvo l’editore Ponte alle Grazie che lo ha ripubblicato, e che ha in catalogo buona parte dei libri della scrittrice canadese. Anche quest’anno Margaret Atwood è candidata al Nobel per la Letteratura, e anche quest’anno non le è stato riconosciuto il premio. La foto più commovente degli ultimi anni la raffigura seduta su un divano, mentre abbraccia e brinda insieme ad Alice Munro, cui era stato appena assegnato il Nobel per la Letteratura. Il gap, linguistico, geografico, identitario, culturale e di genere, – laddove l’Inghilterra ha sempre rappresentato il maschile – tra il centro e la periferia dell’Impero è stato colmato. Forse grazie a una consapevolezza nuova dei suoi autori, a una fluidità diversa della lingua, molto simile a quella cui la Atwood dà voce ne Il canto di Penelope. Il mito del ritorno di Odisseo: “Ricordati che per metà tu sei acqua. Se non puoi superare un ostacolo, giragli intorno. Come fa l’acqua.”
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