Capita di accorgersi di aver smarrito la strada o di sentire il bisogno di fermarsi, per guardarsi dentro e ripartire. La Quaresima ha senso se vissuta così, come tempo per conoscersi più a fondo e discernere l’essenziale. Le meditazioni qui raccolte ci fanno riscoprire il contenuto spirituale profondo di questo tempo liturgico: giorno dopo giorno ci portano al cuore del mistero, mettendo in luce le nostre malattie spirituali perché in Cristo non siano più impedimento alla comunione.
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Prefazione
Padre Matta el Meskin ripeteva spesso a noi monaci che la stagione del santo digiuno quaresimale è la primavera del monaco, un periodo nel quale il monaco immagazzina le scorte che gli serviranno per la lotta spirituale durante tutto il resto dell’anno. Chi si lascia sfuggire questo periodo a stento riuscirà a raccogliere ciò che è necessario a sostenerlo nel viaggio di questa vita.
Durante una delle Quaresime del santo digiuno trascorse insieme a padre Matta el Meskin, abbiamo ascoltato una serie di catechesi quotidiane che egli rivolgeva ai suoi figli monaci dopo la lettura del vangelo nella divina liturgia. Queste catechesi sono state pubblicate, poi, in un libro intitolato Hig˘rat al-masīhī ᾿ilā allāh (La migrazione del cristiano verso Dio). In queste catechesi abbiamo imparato che il monaco è come un uccello migratore che, dopo aver abbandonato la sua terra, pieno di nostalgia nel cuore, non vede l’ora di tornare alla sua patria di origine. Così il monaco che trascorre i suoi giorni come straniero sulla terra, quando sopraggiunge la stagione del santo digiuno, sente muoversi nel cuore la nostalgia del ritorno. Nella sua lotta quotidiana, più il monaco si sente straniero, più sente crescere il desiderio profondo di portare a compimento il suo cammino verso la vita eterna per poter godere di stare sempre alla presenza di Dio.
Partendo da una definizione del digiuno, padre Matta ha posto le basi di come vivere il santo digiuno quaresimale:
Esiste una definizione semplice, di poche parole, del digiuno: il digiuno è il tentativo di vivere senza cibo. È possibile? E a quale realtà rimanda? Rimanda al Regno e alla vita eterna. Il digiuno è rivelazione escatologica che si fonda sull’esperienza. La vita spirituale, infatti, è trasfigurazione. L’uomo creato è trasfigurato quando è capace di vivere senza cibo.
Il nostro padre spirituale ha messo in correlazione la trasfigurazione dei nostri corpi nel santo digiuno e la nostra unione a Cristo mediante l’eucaristia. Si chiede:
A che cosa serve il nostro digiuno? Con il nostro digiuno noi offriamo i nostri corpi come sacrificio (cf. Rm 12,1). All’apparenza noi facciamo fatica, ma nella sostanza è un accettare la morte sul piano della volontà affinché veniamo annoverati degni di unirci misticamente al corpo e al sangue di Cristo. Allora saremo, nel sacrificio di Cristo, un sacrificio puro e capace di intercedere e riscattare. Perciò bisogna che si metta fine a quel digiuno che è dono imperfetto a causa del peccato mediante la comunione o la partecipazione al corpo e al sangue puri perché diventi dono perfetto capace di preghiera e di intercessione.
Egli ritiene, quindi, che la lotta spirituale accompagnata dal digiuno e dall’unione all’eucaristia predispone il monaco a essere all’altezza della preghiera e dell’intercessione per tutti coloro che chiedono di pregare per loro.
Il libro che è tra le tue mani, caro lettore, ti offre alcuni brani scelti dagli scritti di padre Matta el Meskin sul santo digiuno quaresimale, sulla vita ecclesiale del digiuno, sulle sue basi scritturistiche, sulle benedizioni e sulle grazie celate in questa pratica stabilita dal Signore Gesù, il quale l’ha praticata di persona, e vissuta dai suoi discepoli e apostoli, quindi amata dai padri della chiesa e successivamente dai padri asceti. È un viaggio negli scritti di padre Matta el Meskin e una guida per la vita spirituale rivolta a ogni amante della lotta spirituale.
È un dono che ci offre il Monastero di Bose il quale da sempre traduce per noi i testi della tradizione della chiesa, pieni di ricchezze spirituali. Auspico che sia alimento per tutti i lottatori sulla via dello Spirito e anello di congiunzione all’interno del patrimonio ecclesiale di tutta la chiesa universale. Rivolgo il mio ringraziamento a chi ha curato, tradotto e revisionato questo libro, in particolare a fratel Markos el Makari e a tutti i fratelli e le sorelle del Monastero di Bose. Che quest’opera sia a gloria del nome di Dio.
✠ anba Epiphanius
vescovo e abate del Monastero di San Macario il Grande
(Wadi el Natrun, Egitto)
Meditazione 1, domenica di carnevale
Il “Padre nostro”: la preghiera di chi digiuna
Dopo aver dato alle folle le provviste dello spirito, Cristo iniziò a guarire le loro malattie, cioè le infermità del corpo. Solo dopo offrirà loro il pane per il corpo. Questa pericope (cf. Lc 9,10-17) è l’applicazione concreta delle parole del Signore: “Cercate, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta” (Mt 6,33). Nel nostro cammino sulla via che porta al regno dei cieli noi ci sentiremo bisognosi di tutto ciò che è del corpo, non solo del pane, ma di tutte le altre necessità del corpo. Affronteremo infermità, malattie diverse, avversità e angosce, fatiche senza limiti, fino alla tomba. Se in tutto questo non daremo allo spirito ciò che gli spetta, faticheremo invano e vana sarà la nostra speranza.
Se prestiamo attenzione al “Padre nostro” (Mt 6,9-15) ci renderemo conto che si tratta di una preghiera eucaristica. È la prima preghiera eucaristica che il Signore insegna ai suoi discepoli e a noi. I discepoli avevano chiesto al Signore: “Signore, insegnaci a pregare”, ed egli aveva risposto loro: “Quando pregate, dite: ‘Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo Regno”. Sia santificato il tuo nome: lo facciamo durante la liturgia, quando santifichiamo il nome di Dio con il trisághion. Venga il tuo Regno: chiediamo che il Regno venga a noi perché noi non siamo in grado di entrarvi da soli. Regno di Dio significa che Dio governa il nostro cuore, tutta la nostra vita, a lui affidiamo ogni cosa, tutto ciò che possediamo, pensiero, mente, sentimenti, corpo. Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra: vogliamo che la nostra vita sia conforme totalmente alla volontà di Dio. Gli chiediamo: “È come se noi vivessimo nel tuo Regno, Signore, nella pienezza della gioia e della letizia e nella luce dei tuoi santi. Così facci vivere fin d’ora questo Regno mentre siamo su questa terra”. Dacci oggi il nostro pane di domani: quando il Signore ha insegnato ai suoi discepoli il Padre nostro, voleva ricordare loro, essendo tutti di cultura ebraica, che nel deserto del Sinai i loro progenitori raccoglievano tutti i giorni la manna, tranne il sabato in quanto di venerdì ricevevano doppia razione che bastava sia per il venerdì che per il sabato. Se capitava che qualcuno raccogliesse la doppia razione in un giorno normale, la manna si avariava e veniva divorata dai vermi. Dunque: il pane di domani, di sabato, daccelo oggi (venerdì). Si noti che questa richiesta appare dopo: “Sia santificato il tuo nome, venga il tuo Regno”. Ciò significa che prima di provvedere ai bisogni del corpo, prima di soddisfare le sue esigenze saziandolo con il pane di oggi, il pane del mondo, ovvero il pane destinato a perire, è necessario, prima di tutto, santificare il nome di Dio. Il pane dello spirito deve avere la precedenza sul pane del corpo.
Facciamo attenzione al fatto che il Signore, prendendo i cinque pani e i due pesci, “alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla” (Lc 9,16). Questi sono i tre movimenti con cui viene santificato il pane eucaristico. Questo mistero ha coinvolto i cinque pani e i due pesci (cf. Mc 6,41). Ma le folle ne fraintesero il senso. Il regno di Dio era stato rivelato in Cristo, ma invece di accoglierlo come Salvatore e Messia, lo ritennero il re di Israele che li avrebbe liberati dai romani. Si verificò una visione distorta. Invece di accogliere Cristo come Salvatore della loro vita, gridando “Osanna al figlio di David! (cioè: ‘Salvaci dal cielo, o figlio di David!’) Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nel più alto dei cieli!” (Mt 21,9), quando videro il segno realizzato dal Signore Gesù, accorsero per prenderlo e farlo re, affinché li liberasse dai romani. Il Signore, invece, li lasciò e passò in mezzo a loro nascosto (cf. Gv 6,14-15).
Sbagliamo molto quando trasformiamo le cose spirituali in cose materiali. Ma se preghiamo, per esempio sul cibo, il pane ne è santificato perché in ogni pane che mangiamo nel nome del Signore scorre la potenza del Signore, tanto che è capace perfino di guarire il corpo ammalato.
Il miracolo del saziamento delle folle è avvenuto due volte: cinque pani e due pesci che hanno saziato cinquemila uomini senza contare donne e bambini (cf. Lc 9,13-17); sette pani e pochi pesciolini che saziarono circa quattromila persone (cf. Mc 8,1-9). Ancora oggi, queste cifre vengono usate quando offriamo i pani all’altare: cinque pani o sette.
Ecco il primo punto importante in questo vangelo, vangelo del passaggio, vangelo del viaggio felice, vangelo dell’indigenza sulla via che porta al regno di Dio: dobbiamo saziare prima lo spirito con la preghiera, poi la potenza della preghiera scorre dentro di noi e guarisce il corpo, poi offriamo al corpo il pane di cui ha bisogno.
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