Nel suo ultimo libro Bruno Nacci indaga le grandi domande dell’umanità, dalla sofferenza alla fede. Un’arte che ha fatto sua seguendo lo scienziato convertito al cattolicesimo
Siamo in una Gerusalemme lacerata tra tensioni politiche, sociali e religiose. No, non è quella di oggi, ma un’epoca incerta tra la morte di Gesù e la distruzione del Tempio. In questo tempo sospeso tra fine e inizio si muove Hadas, un medico ebreo che esercita in semiclandestinità, timoroso di essere accusato di eresia dai suoi correligionari più intransigenti. Vedovo, sazio di esperienze e stanco di dottrine, Hadas si trova senza risposte di fronte al dilemma con cui si confronta da una vita: la sofferenza. È questa la cornice del romanzo La fine del viaggio (Ares, pp. 101), che Bruno Nacci, maestro del racconto, conduce con grande finezza, tra miracoli a rovescia, apostoli anonimi, spietati legati romani, sette segrete, e cristiani di dubbia irreprensibilità.
A quali decisioni approderà Hadas? Si convertirà alla nuova religione? Ritornerà alla fede dei padri? Conserverà il proprio spassionato disincanto? L’esito è tutt’altro che scontato e l’autore trapunta il testo di citazioni implicite, richiedendo al lettore un’indagine non meno attenta di quella affidata al protagonista del suo racconto.
IL MISTERO DELL’UMANO
«Non ero mai andato così indietro nel tempo prima», racconta Nacci, che pure ha all’attivo due romanzi storici scritti a quattro mani con Laura Bosio. «Quello che mi interessa non sono ricostruzione di suggestioni antiquarie, ma inseguire delle storie in un mondo apparentemente molto diverso dal nostro in cui si ritrova sempre l’umanità, che è più o meno la stessa». Nel caso di Hadas è lo smarrimento di un uomo che constata i limiti della religione ma anche della scienza, in un Paese occupato dall’invasore eppure dilaniato al proprio interno tra partitini incapaci di accordarsi.
Una fotografia che, in effetti, potrebbe essere scattata oggi in più di qualche angolo del mondo. «Credo che gli esseri umani, come sosteneva Kafka, siano portatori di “pensieri inconfessabili” che alcuni esprimono a danno di tutti, mentre in altri restano inespressi a danneggiano il solo individuo», prosegue Nacci, che ha dedicato racconti anche a soggetti impegnativi come Adolf Hitler o Pol Pot. «In fondo sono i miei e i nostri comportamenti, e solo passando attraverso di essi si può vedere qualcosa di più profondo di un rasserenante “happy end”». La sottolineatura tradisce la formazione filosofica dell’autore, che è stato assistente del professor Adriano Bausola all’Università Cattolica di Milano, e che da oltre quarant’anni traduce e cura classici della letteratura francese. Con alcuni amori elettivi, sopra i quali spicca quello per Blaise Pascal.
UNA CONVERSIONE FRUTTUOSA
Nato proprio 400 anni fa, il 19 giugno 1623, Pascal fu una delle menti scientifiche più brillanti della sua epoca – oltre a importanti scoperte nel campo della matematica e della fisica, inventò la prima macchina calcolatrice – ed è considerato tra i padri della lingua francese moderna. Si convertì al cattolicesimo a ventitré anni e da allora mise il proprio acume – anche polemico – a servizio della riflessione sulla fede cristiana e della sua difesa mentre sorgevano i primi raggi dell’Illuminismo. «Era un uomo drammaticamente a contatto con se stesso e il proprio tempo, con una fede luminosa e assolutamente non bigotta, che non chiudeva gli occhi su problemi e dubbi di cui non poteva non prendere atto», si accalora il nostro interlocutore. «Pascal stesso però voleva essere smitizzato e metteva in guardia le sorelle dal provare verso di lui “affetti eccessivi”. Né deve essere elevato a eroe in battaglie dove aveva torto, come quella contro i Gesuiti».
Ed è forse allo stesso filosofo francese che Bruno Nacci deve il proprio interesse per l’ebraismo, già trapelato in altre prove narrative. «La cultura ebraica mi affascina molto, amo i tre fratelli Singer, a partire dal Premio Nobel Isaac Bashevis Singer. Mi affascina questo mondo apparentemente chiuso e con tratti apparentemente maniacali. Forse sono stato suggestionato proprio da Pascal, quando diceva che l’unica vera dimostrazione dell’esistenza di Dio è l’esistenza del popolo ebraico».
INDAGARE LA FONTE
Pascal: una figura che ha ancora qualcosa da dire, dopo oltre quattro secoli? Sicuramente. «Il mondo di Pascal era un mondo molto simile al nostro, in cui stavano avvenendo mutamenti radicali e si registravano tensioni fortissime, anche all’interno della Chiesa. Pascal incarna queste tensioni: da una parte è la figura dell’uomo nuovo, votato a una visione razionale della realtà, e dall’altra si rifiuta – anche in maniera molto polemica e battagliera – di rinunciare alla fede dei padri».
Una prova dell’attualità di Pascal arriva, a sorpresa, dalle pagine dell’acclamato romanziere e Premio Pulitzer Cormac McCarthy, appena uscito con un attesissimo volume (Il passeggero, 2023) che pone al suo centro proprio il confronto tra domande metafisiche e le più aggiornate teorie quantistiche. «Tu ci credi in Dio?», chiede a un certo punto il protagonista. «Certo. Non so chi o che cosa sia Dio. Ma non credo che tutto questo sia arrivato qui da solo. Io inclusa. Forse tutto evolve esattamente come dicono. Ma se indaghi la fonte, a un’intenzione alla fin fine ci arrivi per forza». «Indagare la fonte?» «Ti piace? È Pascal».
La fine del viaggio | Bruno Nacci | Ares | 2023 | pagine 104 | € 14,00
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