Per questa intervista ho chiesto a Michele Mari di vederci nel suo appartamento milanese. Ero già stato in quello romano (Mari vive tra le due città) ed ero curioso di incontrarlo nella sua prima casa. Mi invita per l’ora di pranzo; insieme a noi il mio amico fotografo Emiliano di Mauro.
Mi colpisce subito la somiglianza tra i due appartamenti: per dimensioni (piccole), pienezza (anche se a Milano dominano i libri, a Roma i dvd), abbondanza di feticci sparsi tra pareti e scaffali, scarsa luminosità, sobrietà al limite dello spartano. Mobili, elettrodomestici, suppellettili, tutto è piuttosto vecchio, novecentesco. Osservo i molti quadri, soprammobili, gingilli sparsi e appesi: una grande tela rinascimentale, un ritratto di Mari fatto da Pericoli accanto a quello di Foscolo fatto da Mari, alcuni splendidi ready-made del padre, Enzo, e una miriade di oggettini che immagino essere solo apparentemente frivoli. Una foto di Maradona è incollata al muro del bagno.
Tra le cose di cui il padrone di casa mi sembra andare più fiero, alcune tavole originali di Chester Gould, l’autore di Dick Tracy: “Appena ho vinto il Bagutta con i soldi del premio sono corso a comprarmele” mi dice indicando i disegni. I libri occupano diversi volumi sparsi ma il nucleo bibliotecario della casa è un vero e proprio (bellissimo, allegorico?) tunnel, alla fine del quale spicca un cartello pubblicitario della marca di pneumatici Michelin. Chi ha letto Tutto il ferro della torre Eiffel conosce le ramificazioni nell’immaginario dello scrittore di questo marchio (che è anche il nomignolo di Mari da bambino) e annesso pupazzo Bibendum (la cui effigie pende da un altro scaffale, in salotto).
Durante il pranzo frugale l’argomento più ghiotto sono i cinema a luci rosse milanesi degli anni Settanta, di cui Mari, dotato in generale di una memoria prodigiosa, dimostra di conoscere molti dettagli. Gli suggerisco di scrivere un omologo indecente del racconto “Cinema” compreso in Euridice aveva un cane, dove si parla della scomparsa dei vecchi cinema milanesi, ma non sembra molto convinto.
L’anno scorso è uscita sulla rivista Orlando Esplorazioni un’inchiesta sugli scrittori che resteranno nel futuro canone italiano e in cima al podio ci sei tu, poi Siti e Moresco. Che effetto t’ha fatto?
Perché dubiti?
E come li vedi i tuoi compagni di podio?
Se avessi dovuto fare una prospezione di questo tipo chi avresti detto?
Tu che tendenzialmente sei molto legato alla tradizione letteraria, come ti poni rispetto ai classici: diffidi o hai un rapporto fideistico? Il canone è una costruzione di potere o un punto fermo di valori culturali a cui riferirsi a priori?
[Si infila nel tunnel-biblioteca e ne esce con tre grossi volumi Adelphi, li mette sul tavolo uno accanto all’altro: Mervyn Peake, la trilogia di Gormenghast.]
Insomma non ti piace il romanzo postmoderno americano.
Forse più ci si avvicina al presente…
Anzi, direi che oggi se non sei bravo a venderti è difficile avere successo. Rispetto alla tua opera quali sono i libri che credi “rimarranno”?
È abbastanza assurdo. Quello per me è un tuo libro minore.
Come te lo spieghi?
Che è il tuo primo.
A prescindere dai numeri e dagli affetti, quali sono secondo te i tuoi libri migliori?
Ma Fantasmagonia è un po’ una ripresa di cose che già avevi fatto, perché sei così attaccato a quel libro?
Esistono dei lettori a cui pensi quando scrivi, dei destinatari elettivi, qualcuno il cui giudizio ti sta particolarmente a cuore?
Quanti libri hai pubblicato in tutto?
[Mari si avvicina allo scaffale della libreria sopra lo scrittoio dove conserva ordinatamente una copia di ogni suo libro, e li conta. N.d.R.]
Se guardi l’insieme, quello che poteva essere all’inizio quando hai iniziato a scrivere e quello che è successo nel corso del tempo, come vedi la tua opera? C’è una linea, ci vedi delle promesse mantenute, o tradite?
Roderick Duddle è forse il romanzo dove ti sei più allontanato dalla matrice autobiografica, in cui ti sei più addentrato nel genere.
Pensi che è una strada che potresti continuare a percorrere, magari su altri generi?
A proposito dell’equazione meno coinvolgimento più divertimento, mi è venuto in mente Rondini sul filo. L’unico a non essere stato mai ristampato. Quel libro è di un’intensità autobiografica che forse non hai più messo in nessun altro testo.
Perciò non vuoi tornarci sopra?
Un romanzo autobiografico quindi?
[Il padre di Michele Mari, Enzo Mari, è uno dei più importanti designer italiani, la madre Gabriela Ferrario, in arte Iela Mari, è stata grafica, illustratrice e autrice di libri per bambini oggi riconosciuti come classici del genere. N.d.R.]
È anche in uscita la nuova edizione de I demoni e la pasta sfoglia, con il Saggiatore. Prima di questa ci sono state già due edizioni, Quiritta nel 2004, Cavallo di ferro nel 2010. Ogni volta aggiungi qualcosa, giusto?
Pur non essendo un vero e proprio testo teorico-programmatico, I demoni e la pasta sfoglia ha una forte coerenza interna ed è, possiamo dire, il libro della tua poetica. Prima parlavi di determinismo biopsichico, beh, io ci vedo una postura anche molto romantica in fondo, molto individualista e molto legata a una concezione creazionistica dell’opera d’arte. Una cosa che nonostante tutti i miei sforzi non riesco a superare. Anche quando voglio fare il decostruzionista o il culturalista poi devo riconoscere che si ricasca sempre lì: su questa irriducibile soggettività dell’autore. Edoardo Albinati in Oro colato, che è un po’ il suo I demoni e la pasta sfoglia, parla di un “narcisismo necessario” all’atto della creazione. E leggendo la nuova edizione critica di Eros e Priapo di Gadda ho notato anche lì un discorso sul narcisismo autoriale, e il concetto freudiano dell’opera d’arte come sublimazione.
A volte questa eccessiva presenza del soggetto mi allontana dalla letteratura e mi porta verso la saggistica. A volte questo ripiegamento continuo mi sembra un punto debole della letteratura.
Per Gadda la pulsione “narcissica” dell’artista è tipicamente alimentata da un sentimento di rivalsa, e questa cosa mi sembra centrale anche per te, la posizione di uno che sostanzialmente è un borderline, è stato escluso dal mondo e quindi in qualche modo odia il mondo.
Per fare grandi opere artistiche devi disprezzare il mondo?
Con lo scrittore marziano che si pone fuori dalla società e la fustiga siamo di nuovo in piena estetica romantica-decadente. E la curiosità di questa società che però poi lo premia, l’artista arrabbiato.
Un paradiso recluso.
“Libertà” non è una parola che esercita un grande fascino su di te.
Tornando al discorso di prima, sono usciti qualche mese fa dei pezzi di musica pop composti da dei computer progettati da un laboratorio di ricerca informatica francese. Non sono male. L’intelligenza artificiale si sta sviluppando tantissimo, pensa se a un certo punto un computer scrivesse un libro bello. Dove finirebbero i tuoi demoni?
Vedremo se succederà, ma metterebbe in discussione il ruolo unico dell’individuo all’interno della creazione.
Prima hai citato la tua traduzione di Steinbeck. Ultimamente tradurre ti ha impegnato molto, forse più della scrittura vera e propria.
Tutti libri scelti da te, immagino, o che ti sono stati offerti perché sapevano che ti avrebbero interessato.
Non ho letto le tue traduzioni, ci hai messo un’impronta stilistica forte?
Hai scritto pure un libro sulla traduzione, nel 1994.
Però mi interessa più il punto di vista dello scrittore che quello dello studioso. Come scrittore, traducendo, hai guadagnato qualcosa?
Vorrei chiederti qualcosa riguardo le tue pratiche di scrittura: hai tecniche o prassi specifiche? Come ti viene un’idea? Come la metti in opera? Visto che sei uno che ritualizza molto, hai delle regole precise che segui quando scrivi?
Scrivi a degli orari fissi?
E quanto produci in queste due tre ore?
Davvero? Una scrittura così elaborata ti viene fuori di getto?
Tra l’altro uno dei più sofisticati, linguisticamente. Lì non hai fatto un lavoro di ricerca? Sei andato a istinto?
Di solito è il contrario: gli scrittori scrivono di getto rapidamente poi passano la gran parte del tempo a rivedere, a limare.
Ci sono molte cose che hai scritto e poi hai lasciato perdere?
Quando scrivi un libro leggi altre cose che ti possano essere utili? Hai dei modelli specifici a cui ti riferisci?
Tu sei anche molto cinefilo. Il cinema come entra nella tua scrittura?
E le serie tv?
Per finire: a cosa servono le interviste agli scrittori?
Sono sicuro che i tuoi lettori, qualsiasi cosa tu possa aver detto qui di facinoroso o altro, ti perdoneranno comunque.
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