Nonostante l’esiguità delle notizie e la scarsa attenzione riservata dai cultori di storia patria dell’Ottocento alla produzione artistica del secolo precedente, gli studi più recenti ed un fortunato scavo archivistico consentono di delineare un quadro sempre più puntuale della cultura figurativa nella Reggio del XVIII sec. e offrono significativi spunti per riflessioni dalle quali muovere per ricostruirne le coordinate.
La città conosce, infatti, dopo la depressione socio-economica dei secoli precedenti, una ripresa delle attività economiche incentrate sulla produzione serica e la conseguente affermazione della piccola nobiltà feudale e di una nuova borghesia terriera che si trasferisce dal contado in città dove hanno sede i nuovi interessi economici. Il rinnovato impulso economico si coniuga al rinvigorirsi del clima culturale di cui sono espressione tanto la creazione della prima biblioteca cittadina ad opera dell’abate Spizzicagigli quanto il mai sopito interesse per le arti figurative testimoniato dagli inventari delle più cospicue famiglie cittadine e da queste perseguito con spirito di emulazione e, quasi sempre, come espressione di status ed affermazione sociale.
In tale contesto si collocano in questa periferia del regno, quei fermenti culturali che spingono alcuni giovani – come ampiamente dimostrato per molti artisti calabresi di quel tempo – a recarsi nella capitale partenopea e a Roma per l’indiscussa attrattiva esercitata dalla città papale “tempio del vero gusto”. Anche gli ordini religiosi, da sempre committenti privilegiati di artisti molto spesso extraregionali, promuovono ambiziose imprese decorative coinvolgendo artigiani locali e “maestri” di pittura rientrati in patria con un aggiornato bagaglio figurativo e spesso con un prestigioso cursus studiorum.
Il percorso figurativo della mostra intende suggerire un approfondimento delle tematiche sopra esposte e porsi come proficuo momento di riflessione per una “rilettura” – attraverso testimonianze documentarie e stimolanti confronti stilistici – di un secolo durante il quale «non men che le lettere rifiorivano nel nostro paese le arti» ed in queste primeggiavano i reggini Antonino Cilea (1683?-doc. 1754) e Vincenzo Cannizzaro (1740-1768).
Nella selezione delle opere esposte, provenienti tanto dal territorio reggino e calabrese quanto da Roma e Parma, si è inteso “aprire” ad un’aggiornata analisi critica del corpus pittorico di questi maestri che come altri calabresi loro contemporanei, ma certamente più noti in quanto destinatari nel recente passato di importanti eventi espositivi, si fecero protagonisti del rinnovamento del gusto che nella Reggio di inizio Settecento risultava ancora attestato su consolidati modelli figurativi controriformati.