Alle frontiere della conoscenza di Dio. Il prolegomeno linguistico alla teologia di Langdon Gilkey.

La vexata quaestio relativa al linguaggio teologico è d’indubbia attualità.  Essa viene affrontata alla luce della riflessione del teologo metodista nord-americano Langdon Gilkey (1919-2004), al fine di fornire la «materia prima» per un vero e proprio «prolegomeno» linguistico, capace di supportare una teologia sensata e rilevante per l’uomo contemporaneo.  Pressoché sconosciuto in Italia, Gilkey appare un acuto interprete delle tormentate vicissitudini del discorso teologico in un’epoca, come quella attuale, caratterizzata da crisi e incertezze.  Il riferimento fondamentale è la monumentale opera Naming the Whirlwind: the Renewal of God Language, in cui l’A. analizza la struttura del linguaggio teologico e propone una serie di piste di riflessione e ricerca affinché il linguaggio intorno a Dio superi l’attuale momento di crisi e possa essere nuovamente significativo per l’uomo contemporaneo, sostanziando un discorso teologico capace di favorire una positiva autoconsapevolezza dell’uomo secolare in termini religiosi.  L’analisi della problematica si propone di superare le criticità delle svariate radicalizzazioni teologiche, in nome di un fondamentale radicamento alla tradizione.  Lo stesso Langdon Gilkey, pur essendo un teologo riformato, non solo appare molto vicino alla sensibilità cattolica, ma, in parecchi punti, si manifesta addirittura molto vicino alla prospettiva tomista, soprattutto per l’apertura alla metafisica in nome di un pensiero teologico «forte», capace di superare la dimensione narrativa per abbracciare quella veritativa.  Gilkey stimola a promuovere una «ri-espressione» del messaggio cristiano, che sappia rapportarsi con l’esistenza concreta e sia inoltre capace di fornire una risposta soddisfacente agli interrogativi di senso dell’uomo, per «dire Dio oggi».  La convinzione di fondo è che il discorso teologico sia essenziale in ogni progetto umano, in quanto fondato sull’apertura, seppur atematizzata, dell’uomo secolare al sacro, che resta essenzialmente homo religiosus. Utilizzando una metodica fenomenologica ed un’ermeneutica di vasto respiro, si tenta di cogliere nell’esperienza secolare la presenza imprescindibile del sacro o «Incondizionato» ed in relazione a tale presenza il linguaggio teologico-religioso si palesa non solo come possibile, ma come necessario.