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Dall’unità alla crisi dello Stato liberale (Nicola D’Apolito, Studium, 2022)
16 Settembre 2022, ore 16:30
Dopo l’unità d’Italia, proclamata il 17 marzo 1861 a Torino, alla rappresentanza politica del nuovo Stato si presentarono due problemi fondamentali: l’unificazione politica, amministrativa, finanziaria dell’Italia e la forma istituzionale. Si richiamava l’attenzione del legislatore su questa complessa problematica: uniformare la macchina amministrativo-burocratica degli ex Stati preunitari, assai variegata, e riportare l’equilibrio del bilancio del neo-Stato. Per il bilancio si decise di uniformare i debiti pubblici degli ex Stati con un provvedimento governativo nazionale; per l’amministrazione delle entità periferiche si sancì l’esistenza delle amministrazioni locali.
L’avvicendarsi al potere della Destra e Sinistra storica non consolidava lo Stato liberale, ma lo conduceva ad una crisi irreversibile che avrebbe dischiuso le porte all’avvento del fascismo. Causa di questo declino del ‘liberalismo’ italiano era la mancanza di partiti moderni, espressione delle istanze delle masse. Né gli interventi di intellettuali e politici liberali: Ruggero Bonghi, Vilfredo Pareto, Antonio Salandra, Sidney Sonnino, Gaetano Mosca, Vittorio Emanuele Orlando, Giovanni Giolitti ed altri riusciranno, con le loro proposte ad arginare la crisi dello Stato liberale, ormai all’epilogo. E il dissenso ideologico-politico si acuì maggiormente con il maggior rappresentante dello Stato liberale che governò per un quindicennio: Giolitti. Figura controversa e discussa, ma importante nel panorama politico-amministrativo italiano all’inizio del XX secolo.